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Le leve interne ed esterne per raggiungere la democrazia globale

Daniele Archibugi, Marco Cellini
Articolo pubblicato nella sezione "La rappresentanza politica tra quantità e qualità"

Quali sono gli obiettivi della governance globale democratica?

I partigiani della democrazia hanno almeno due forme di disagio quando osservano la governance globale. La prima è che non tutti i paesi del mondo sono democratici. La seconda è che le decisioni globali non vengono prese democraticamente e anche i governi eletti spesso dimenticano i principi fondamentali in politica estera. Identificare chi ci rappresenta nella sfera internazionale è una questione cruciale perché accade spesso che questioni di portata generale - siano essi la sicurezza, l’ambiente o la necessità di fronteggiare una pandemia - vengono prese senza che si sappia chi ci rappresenta.
Questa incertezza su chi siano i nostri rappresentanti nella politica estera porta spesso a parlare di deficit democratico nella governance globale, ma il concetto rischia di essere sfuggente. Secondo il primo significato, il deficit democratico nella governance globale è imputabile al fatto che i membri della comunità internazionale, vale a dire gli Stati, non sono sufficientemente democratici. Stando al secondo, il deficit democratico è dovuto al fatto che la governance globale non è soggetta ad alcun controllo democratico (per una discussione si veda Nye 2001; Moravcsik 2005). Anche le istituzioni che sono state progettate con lo scopo di aumentare la legittimità, la rappresentatività, e la trasparenza nella politica mondiale, come le organizzazioni internazionali (OI) non corrispondono a criteri democratici. Si noti che il primo significato richiama ad una carenza interna dei sistemi politici, il secondo una carenza del sistema internazionale.
Queste carenze mostrano che non c’è una adeguata rappresentanza nel processo decisionale. Internamente, nonostante l'ondata democratica iniziata dopo la fine della guerra fredda, la metà dei paesi del mondo non ha ancora governi eletti. L’altra metà dei paesi, anche se democratica all’interno, non ha ancora trovato il modo di esserlo anche all’esterno. Non solo le autocrazie, ma anche le democrazie consolidate sono piuttosto riluttanti a rendere conto delle loro scelte globali, spesso anche di fronte ai propri cittadini.
La struttura costituzionale delle organizzazioni intergovernative (OIG) non assomiglia affatto a quella vigente all’interno dei paesi democratici, perché in esse sono rappresentati i governi e non i cittadini. Le Nazioni Unite, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, solo per citare alcune delle più importanti OIG, non contemplano l'elezione di rappresentanti da parte della cittadinanza. Anche l'Unione Europea, l'OI che più di tutte è stata permeata dai valori democratici, ha una costituzione che è molto meno democratica di tutti i suoi membri (cfr. Zurn 2000). Gli Stati sono riluttanti a limitare la propria sovranità in favore di organizzazioni internazionali o sovranazionali (cfr. Maffettone 2015). Una possibile soluzione potrebbe essere di creare canali diretti di rappresentanza dei cittadini negli affari globali. C'è qualcosa che si può fare al riguardo? E, soprattutto, se individuiamo l'esistenza di almeno due aree in cui la democrazia non è pienamente realizzata - quella interna e quella globale - come si collegano?

Questo articolo intende evidenziare i legami tra le dimensioni interna e globale del deficit democratico e offrire alcuni suggerimenti per azioni che potrebbero essere implementate dalle OI, dai singoli governi e dall'opinione pubblica. Ciò si basa su un presupposto che vale la pena esplicitare: un’autentica governance democratica globale richiede che ci sia un mondo composto da Stati che sono internamente democratici e dove le decisioni globali sono prese secondo alcune forme di democrazia. Il che richiede, in altre parole, raggiungere insieme la globalizzazione della democrazia e la democratizzazione della globalizzazione (cfr. Gould 2004; Scholte 2011). Il problema, come sempre, è come raggiungere questo così ambizioso obiettivo e, per capirlo, cerchiamo qui di identificare come la sfera interna e quella esterna interagiscono tra loro.


Cos'è la governance globale democratica?

Esistono diverse definizioni di governance globale. In questo articolo, applichiamo la seguente definizione: «le azioni politiche intraprese da attori nazionali e/o transnazionali volte ad affrontare problemi che interessano più di uno Stato e/o dove non esiste un'autorità politica definita in grado di affrontarli» (Koenig-Archibugi 2002; cfr. anche Koenig-Archibugi, Zurn, 2006; Brown 2012). In un mondo globalizzato, le questioni che non possono essere adeguatamente affrontate a livello nazionale - dalla sicurezza alle crisi umanitarie, dall’ambiente alle epidemie, dai tassi di cambio al commercio – sono crescenti. Partiti politici, amministratori pubblici, imprenditori e opinione pubblica richiedono sempre più spesso che esse siano affrontate attraverso azioni e livelli decisionali appropriati.
Durante e dopo la crisi finanziaria del 2008, ad esempio, il settore imprenditoriale, i sindacati e l'opinione pubblica hanno chiesto un intervento efficace per prevenire il collasso delle attività economiche. Molte di queste decisioni sono state prese nei vertici del G8, G20, G4 o G2 (il G4 è l'etichetta data al vertice tra i quattro principali paesi europei “Francia, Germania, Italia e Regno Unito”. Il G2 è stato etichettato come il vertice tra Cina e Stati Uniti). Durante la pandemia del Covid-19, gli stati sono stati costretti a prendere misure di vario tipo, che hanno comportato coordinamento nelle restrizioni, condivisione di informazioni scientifiche, distribuzione di farmaci e vaccini. Tale governance globale è stata a volte efficace e altre meno, ma non molti criteri di democraticità sono stati soddisfatti: un numero ristretto di governi ha di fatto preso decisioni per tutta l’umanità senza averne delega.
Sebbene la rilevanza della governance globale sia cresciuta in modo esponenziale negli ultimi decenni (vedi Held, McGrew 2002; Woods et al. 2013), ciò non significa necessariamente che si sta procedendo verso una sua democratizzazione. Ciò è anche legato al fatto che non esiste una definizione condivisa di cosa sia la governance globale democratica. Studiosi, consiglieri e responsabili politici hanno fornito indicazioni su quale dovrebbe essere la governance globale democratica, e altri hanno sostenuto che la governance globale democratica sia impossibile o non desiderabile (per una raccolta di punti di vista diversi, si veda Archibugi 2003; Archibugi et al. 2011).
Alla fine della guerra fredda, con la democrazia cosmopolitica abbiamo tentato di esplorare in quali condizioni i valori e le norme democratiche potessero essere estesi anche alla governance globale (cfr. Archibugi, Held 1995; Held 1995), con la convinzione implicita che il progetto avrebbe acquisito un consenso generale tra i teorici della democrazia. Ma non tutti si sono dimostrati d'accordo su una simile estensione. In particolare, Robert Dahl, uno dei più importanti teorici democratici della seconda metà del XX secolo, ha sostenuto che fosse impossibile realizzare la democrazia al di là degli Stati (cfr. Dahl 1999; 2005. Vedi anche Urbinati, 2003).
Il vero problema è capire fino a che punto l'analogia interna è valida quando si tratta di democrazia oltre i confini dello Stato. Non tutte le procedure democratiche applicate all'interno degli stati possono essere estese su scala planetaria. La rigorosa applicazione del sistema statale a livello globale porterebbe alla creazione di uno stato federale mondiale. Il federalismo mondiale è una linea di pensiero che ha contribuito alla trasformazione delle organizzazioni internazionali e ha fornito nuove idee per un ordine mondiale più integrato (vedi Cabrera 2004; Levi 2008; Marchetti 2008). Tuttavia, il programma qui proposto è più modesto e, si spera, più facilmente realizzabile, volto ad aumentare la rappresentatività democratica nella governance globale anche in assenza di una concentrazione del potere in un unico stato mondiale.
In questo articolo, ci concentreremo sulle OI poiché sono la componente più trasparente della governance globale e quindi qualsiasi deficit democratico al loro interno testimonia quanto più severo esso sia nelle sedi informali, esclusive o addirittura segrete. Anche quando il potere, la legittimità e le risorse sono forniti dagli Stati membri, le OI hanno la loro agenda e non sono dei meri “agenti” dei governi. Inoltre, rispetto ad altre forme di governance globale, come i) azioni unilaterali intraprese da singoli stati (quali assistenza unilaterale allo sviluppo), ii) iniziative intergovernative bilaterali o multilaterali (quali iniziative di coordinamento finanziario intraprese nel G7), o iii) le attività svolte dal settore imprenditoriale (quali azioni e regolamenti adottati dalle associazioni di categoria), le OI incorporano già alcuni valori e principi caratterizzanti la democrazia. Proviamo ad elencarle:
- Le OI sono basate su carte, convenzioni, trattati e altri atti pubblici. Ciò le rende vincolate allo Stato di diritto e al diritto internazionale.
- Alcune OI hanno metodi giudiziari per affrontare le controversie.
- La maggior parte delle attività svolte dalle OI sono trasparenti e i loro funzionari se ne assumono le responsabilità nei confronti degli Stati membri e, indirettamente, nei confronti dei cittadini degli Stati membri.
Questi elementi sono sufficienti per considerare le OI istituzioni democratiche? Ovviamente no (cfr. Erman, Higgott 2010). Certamente, sono più legittime delle alternative come i vertici tenuti a porte chiuse o le decisioni prese da un gruppo di amministratori aziendali (cfr. Buchanan, Keohane 2006). Ma questi criteri sono altamente insufficienti se confrontati con i requisiti della teoria democratica. I criteri sopra elencati, infatti, non sarebbero sufficienti per qualificare alcuno stato come democratico (cfr. Patomaki, Teivainen 2004; Zweifel 2005; Levi et al. 2014). Non sorprende quindi che Dahl (1999, 2005) abbia contestato l’idea che le OI possano diventare istituzioni rappresentative. Dahl ha indicato alcuni criteri chiave che qualificano il termine moderno “democrazia” per dimostrare che nessuno di essi è pienamente applicato nelle OI. Ma il fatto che le OI attualmente non soddisfino i criteri democratici dovrebbe far sì che i partigiani della democrazia lavorino per riformarle adeguatamente.
Ciò dipende in gran parte dalla concezione di democrazia che vorremmo utilizzare per la governance globale. Non crediamo che sia fruttuoso replicare i modelli già noti semplicemente espandendoli a livello globale (cfr. Archibugi et al. 2010; Macdonald, Macdonald 2010). Al contrario, occorre costruire una teoria della democrazia non centrata sullo stato e applicabile a una varietà di diversi contesti umani (ad esempio famiglie, aziende, quartieri, associazioni politiche) così come alle organizzazioni al di sopra dello stato (cfr. Held 2006). Per quanto riguarda il nucleo della governance globale rappresentato dalle OI, la Tabella 1 illustra in che misura questi principi sono già applicati e qual è la loro potenziale applicazione. Emerge che tali principi possono ispirare una serie di azioni politiche necessarie per rendere le OI più trasparenti e più rappresentative.


Tabella 1 - Principi democratici e organizzazioni intergovernative

Principi Applicazione corrente nelle OI Riforma democratica delle OI
Non violenza Impegno degli Stati membri ad affrontare pacificamente i conflitti internazionali e ad usare la forza solo per l'autodifesa Applicazione del principio di non violenza attraverso:
i) giurisdizione obbligatoria del potere giudiziario internazionale;
ii) responsabilità penale individuale per reati internazionali;
iii) intervento umanitario per garantire la sicurezza dei popoli minacciati da genocidio e/o gravi violazioni dei diritti umani.
Controllo Politico Controllo esercitato dai governi membri
Pubblicità e trasparenza degli atti
Norme e procedure codificate in trattati, alleanze, carte e statuti internazionali
Espansione del controllo politico attraverso un Parlamento mondiale, l'Unione interparlamentare o altre rappresentanze dei cittadini
Allargare la rappresentanza nelle OI con canali aperti alla società civile globale e alle sue ONG
Monitoraggio dei governi nazionali da parte di istituzioni cosmopolitiche
Eguaglianza Politica Uguaglianza formale degli stati
Uguaglianza dei cittadini in termini di diritti sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo
Uguaglianza degli stati su base sostanziale piuttosto che formale (coinvolgimento degli stati associati alla partecipazione detenuta)
Uguaglianza politica tra i cittadini sulla base di un elenco minimo di diritti e doveri associati alla cittadinanza cosmopolita
Partecipazione diretta alla politica mondiale attraverso un Parlamento mondiale eletto direttamente o altre forme di rappresentanza dei popoli

Fonte: Archibugi 2009. Controllo e eguaglianza politica sono tratti da Beetham (1999).

La prossima sezione discuterà come il regime politico interno dei paesi membri può influenzare la possibilità di ottenere una governance globale più democratica, mentre la sezione successiva esplorerà il nesso causale opposto, vale a dire come la partecipazione alle OI può promuovere e consolidare la democrazia all'interno degli Stati. Le nostre ipotesi di partenza sono che:
a) Il regime interno dei paesi ha un impatto molto importante sulla governance globale. Se i regimi interni sono dominati da governi autoritari, qualsiasi forma di governance globale non riuscirà ad avviare la partecipazione dei cittadini e della società civile, mentre è probabile che il processo decisionale coinvolga solo le ristrette élite al potere. Al contrario, presumiamo che i regimi democratici possano consentire e facilitare una più ampia batteria di interconnessioni. Se un regime è democratico, i partiti politici, sia al governo che all'opposizione, i sindacati e le organizzazioni della società civile saranno in grado di sviluppare le proprie reti transnazionali e questo può essere un potente strumento per rendere la governance globale trasparente, responsabile, partecipativa e, in definitiva, democratica. La leva interna può quindi essere utilizzata per promuovere una governance globale democratica.
b) Il percorso a lungo termine verso la democrazia e la legittimità all'interno dei paesi è fortemente influenzato dal clima internazionale. Se la paura domina le relazioni internazionali, i paesi democratici tendono a ridurre le loro libertà civili e la partecipazione, mentre i regimi autoritari vengono rafforzati. Al contrario, le condizioni esterne possono fungere da potente motore per la transizione da regimi autoritari alla democrazia nonché per consolidarla ed espanderla in nazioni già democratiche. La leva esterna può quindi essere utilizzata per aumentare il numero di paesi democratici e la loro qualità.


La leva interna

Ogni stato ha un regime politico diverso. Grazie agli sforzi dei politologi è possibile identificare e misurare, su un'unica scala, il livello di partecipazione democratica in ciascuno di essi. L'indice Polity IV, uno degli indici democratici più utilizzati, fornisce una metrica in cui ai singoli paesi viene attribuito un punteggio da –10 (mancanza totale di democrazia) a +10 (raggiungimento totale della democrazia). Questo ci permette di vedere come la democrazia si è evoluta nel tempo e nello spazio. La Figura 1 riporta il numero di paesi classificati secondo tre categorie: democrazie (da +6 a +10), anocrazie (regimi intermedi, da -5 a +5) e autocrazie (da -6 a –10). L’asse verticale sul lato sinistro riporta il numero degli stati (crescente in conseguenza dei processi di decolonizzazione) e la loro classificazione. I dati mostrano chiaramente che le nazioni democratiche sono aumentate e, di conseguenza, le autocrazie sono diminuite.


Figura 1 - Tendenze globali nei regimi politici interni 1946-2018

Fonte: elaborazione degli autori su dati Polity IV. La media di Polity IV è la media dei punteggi ottenuti dai paesi da -10 a +10.

Sul lato verticale a destra, invece, abbiamo riportato la somma dei punteggi conseguiti da tutti gli stati considerati. Da ciò si vede che a partire dal 1960, con l’aumentare degli stati a seguito della decolonizzazione, nel sistema globale dominavano regimi autocratici. Nel 1990, a seguito della fine della guerra fredda, sono aumentati non solo i regimi democratici, ma anche il punteggio complessivo di democraticità.
La possibilità di classificare un regime politico con un solo numero è discutibile e spesso criticata. Tuttavia, i dati di Polity IV confermano che la democrazia ha notevolmente aumentato la sua popolarità come regime politico, che questo è diventato sempre evidente nell'ultimo quarto di secolo. Anche se negli ultimi anni sembra essersi esaurita quella spinta nata alla fine della guerra fredda (cfr. Repucci, Slipowitz 2021).
La connessione tra i deficit democratici interni ed esterni può essere illustrata con due diversi insiemi (vedi Figura 2). Da un lato, abbiamo il regime politico all'interno degli stati (sinistra). Questo insieme è cambiato nel tempo: il numero di stati è aumentato e anche il loro regime interno, come si vede nella Figura 1, si sta evolvendo. Possiamo misurare il sottoinsieme delle democrazie in base al numero di paesi democratici, alla popolazione totale che vive in questi paesi e persino alle risorse (in termini di quota del PIL mondiale, commercio, spese militari, seggi nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e così via) associati a democrazie e non democrazie.
Il secondo set è rappresentato dalle istituzioni della governance globale. La governance globale è composta da molti aspetti diversi, alcuni dei quali sono chiaramente identificabili, come le OI, altri meno visibili, come i negoziati diplomatici, e altri ancora sono segreti come l'intelligence. In questo caso, quantificare la relazione tra l'insieme “governance globale” da un lato e il sottoinsieme “organizzazioni internazionali” dall'altro è assai più complesso. Molte attività che rientrano nella governance globale sono misteriose e impenetrabili. Solo alcune di queste attività possono essere identificate e nello specifico sono quelle svolte dalle OI.
Il modo in cui agiscono i membri della comunità internazionale influenza la governance globale e viceversa. Definiamo leva interna il modo in cui i cambiamenti nel numero e nella qualità della democrazia all'interno degli stati influenzano la democratizzazione della governance globale. Il livello interno è sia descrittivo che prescrittivo: da un lato, dobbiamo sapere quando e come i regimi democratici hanno contribuito alla democratizzazione della governance globale. Ma dobbiamo anche chiederci cosa possono fare per migliorarlo, al fine di renderla più democratica.


Figura 2 - Le leve interna ed esterna per la democrazia globale

Fonte: elaborazioni degli autori

C'è un modo ovvio in cui ha operato la leva interna, ossia la nascita delle OI, visto che esse sono state generate per volere dei paesi democratici occidentali. La Società delle Nazioni, le Nazioni Unite e la Fédération Internationale de Football Association sono state create dall'impulso di paesi, dei leader e dei teorici democratici. Ci sono ben poche OI che siano sorte per iniziative di regimi autocratici, come la Lega Araba. Supponendo che le OI rappresentino comunque un miglioramento rispetto ad altre forme di governance globale, un modo in cui ha operato la leva interna è la creazione stessa delle OI. La volontà delle democrazie di partecipare alle OI è confermata anche per i regimi democratici più giovani, come indicato da Mansfield e Pevehouse (2006).
Le OI sono generalmente onnicomprensive e raramente hanno discriminato in base al regime politico dei paesi membri. Infatti, la maggior parte accetta membri in base al principio del controllo effettivo su un dato territorio piuttosto che alla legittimità dei loro governi. Per molti anni, il regime interno dei membri non è stata considerata una questione su cui le OI avrebbero dovuto interferire. L’ONU, l’FMI, la Banca Mondiale, l’OMC danno pari dignità a tutti paesi, senza curarsi della natura interna del regime. Quando le OI hanno interferito con i regimi interni, la loro attenzione si è concentrata più sulle violazioni dei diritti umani che su quanto i governi fossero rappresentativi dei voleri dei cittadini. Tuttavia, si possono trovare alcune eccezioni. L’Unione Europea (UE), il Consiglio d’Europa, il Mercato Comune del Sud (MERCOSUR) e l'Organizzazione degli Stati Americani (OSA) sono esempi di IO che contengono clausole che richiedono ai membri di avere governi democratici (cfr. Pevehouse 2002; Whitehead 1993; Dominguez 1998; Hakim 1993).
Data l’adesione eterogenea della maggior parte delle OI, è comprensibile che non vi sia consenso sulla loro architettura. In linea di principio, dovremmo aspettarci che, da un lato, le democrazie desiderino replicare il loro sistema interno anche nelle OI, mentre d'altra parte che i regimi autoritari siano riluttanti a introdurre sistemi che consentirebbero una maggiore partecipazione della cittadinanza poiché ciò potrebbe portare a chiedersi perché gli stessi dispositivi non siano introdotti a livello nazionale, minando la legittimità stessa dei regimi esistenti. Se così fosse, ci sarebbe una piena somiglianza tra i regimi interni degli stati e la forma di governance globale a cui aspirano. Ma nella politica internazionale c’è spesso una mancanza di congruenza. I regimi autoritari si sono spesso lamentati del fatto che il potere di veto nel Consiglio di sicurezza non è democratico e nelle OI sono diventati inaspettati sostenitori della stessa democrazia che negano ai loro cittadini. Al contrario, i regimi democratici si sono spesso opposti all'espansione di una governance globale più partecipativa, soprattutto quando devono condividere il potere e il processo decisionale con governi non eletti. Il regime interno di un paese, dunque, non è sempre un buon indicatore della volontà di un governo di sostenere o ostacolare la democratizzazione della governance globale.
Una ricerca empirica condotta da Jonas Tallberg e dai suoi colleghi (cfr. Tallberg et al. 2013, 2014; Agné et al. 2015) indica che le OI sono diventate più trasparenti, responsabili e accessibili agli attori transnazionali. Gli attori non governativi sono spesso riusciti ad aumentare la partecipazione e la consapevolezza dell'opinione pubblica anche al di fuori delle OI, ad esempio attraverso campagne specifiche che hanno effetti indiretti sulle politiche dei governi e delle OI. Ci sono casi significativi di ONG che riescono a interagire oltre confine in aree definite (aiuti allo sviluppo, commercio, promozione dei diritti umani) a volte anche in assenza di accordi intergovernativi specificatamente deliberati (per uno studio di caso, cfr. Macdonald, Macdonald 2006). Secondo Tallberg e colleghi, l'apertura delle OI è stata guidata da governi democratici piuttosto che da attori transnazionali.
Tuttavia, possiamo chiederci perché i governi democratici siano spesso riluttanti ad espandere la loro governance interna anche a livello globale. Qui si pone un enigma fondamentale per gli stati democratici: è possibile introdurre dispositivi democratici nelle OI anche quando molti dei suoi membri sono autoritari? Norberto Bobbio (1995) si è chiesto se sia possibile essere democratici anche con un regime non democratico. Le democrazie possono essere riluttanti a stringere accordi più progrediti se sono circondate da autocrazie. Naturalmente, questa è una spiegazione benevola che presuppone implicitamente che gli stati democratici siano disposti ad espandere i controlli e gli equilibri democratici con stati a loro simili. È una spiegazione che i teorici realisti trovano ridicola, sostenendo che tutti gli stati, inclusi gli stati democratici, partecipano alle OI quando le trovano utili per i loro scopi (cfr. Morgenthau 1948).
Il problema, tuttavia, non dovrebbe essere visto solo staticamente. Dinamicamente, abbiamo un contesto in cui i regimi interni degli stati (Figura 2, insieme A) sono cambiati drasticamente come conseguenza dell'ondata democratica iniziata nel 1990: le democrazie sono ora il gruppo più numeroso e hanno un potere ed una influenza politica molto maggiore. Nonostante questo importante cambiamento nei regimi interni, l'impatto sulle OI è stato piuttosto limitato. È vero che l'ONU, l'FMI, la Banca mondiale e l'OMC hanno iniziato a essere più trasparenti e disponibili a ricevere input e suggerimenti dalle ONG, ma non è stata introdotta alcuna riforma costituzionale di rilievo. È anche vero che le organizzazioni regionali sono aumentate, spesso, come nel caso del Mercosur, composte da giovani nazioni democratiche ancora in fase di consolidamento (cfr. Telò 2013; Triandafyllidou 2016), ma la leva interna si è rivelata troppo debole.
Che cosa possono fare i governi democratici all'interno delle OI con appartenenza eterogenea, per renderle più rappresentative? Indichiamo qui quattro punti.
Utilizzare le OI invece di altre forme di governance globale non trasparenti. Per prima cosa i governi democratici dovrebbero usare forme di governance trasparenti e rappresentative, piuttosto che strutture segrete. L’obbligo di rendere conto ai propri cittadini è una delle caratteristiche principali del metodo democratico e rimandare le questioni globali alle istituzioni internazionali progettate si muoverebbe sicuramente nella direzione della democratizzazione della governance globale. Anche se indirettamente, infatti, un tale impegno consentirebbe ai cittadini di controllare le azioni dei governi sulla scena internazionale e quindi di sentirsi meglio rappresentati. Le esperienze passate e recenti dimostrano che è necessaria una partecipazione attiva e robusta dell'opinione pubblica per impedire ai governi democratici di utilizzare metodi illegittimi nella politica internazionale. Grazie a Julian Assange, Edward Snowden, Chelsea Manning e tanti altri abbiamo avuto chiara prova che i governi democratici usano metodi illegittimi e illegali nella politica internazionale (così come in quella interna) tanto quanto i governi autoritari.
Creare e rafforzare le Assemblee Parlamentari Internazionali (API). Negli ultimi decenni, c'è stato un aumento delle API nelle OI, specialmente in quelle regionali. Due rassegne hanno censito addirittura un centinaio di API (cfr. Kissling 2014; Rocabert et al. 2014). Ad eccezione del Parlamento Europeo, nessuna è eletta direttamente dai cittadini, mentre i loro membri sono generalmente nominati dai parlamenti nazionali. Inoltre, la maggior parte delle API possiedono solo poteri consultivi e solo il Parlamento Europeo condivide con la Commissione alcuni poteri legislativi. Nonostante queste limitazioni, le API aiutano ad aumentare la rappresentatività delle OI poiché le attività di queste ultime sono esaminate non solo dai governi. Poiché i membri delle assemblee legislative nazionali sono selezionati da partiti politici sia governativi che di opposizione, c'è un aumento nella capacità di controllo. È certamente sorprendente che diverse API abbiano membri provenienti da nazioni democratiche e non democratiche (come nel caso dell'Unione Interparlamentare) poiché ci aspettiamo che un'assemblea parlamentare sia composta solo da membri eletti democraticamente. I governi democratici dovrebbero usare il loro peso politico per rafforzare il ruolo politico e la rappresentatività delle API. Da un lato, dovrebbero promuovere la creazione API in tutte le IO. D'altra parte, utilizzando la leva interna, dovrebbero impegnarsi a migliorare il ruolo e il funzionamento delle API sostenendo con forza le riforme volte a fornirle di poteri legislativi e per renderle elettive.
Dare più voce ai dispositivi giudiziari internazionali. I governi democratici dovrebbero promuovere il ruolo dei dispositivi giudiziari internazionali. L’indipendenza del potere giudiziario è una componente fondamentale delle democrazie moderne. Anche le procedure giudiziarie sono molto importanti per la risoluzione pacifica di conflitti e controversie e, come per le API, il numero dei tribunali internazionali è cresciuto costantemente (per una rassegna, cfr. Mackenzie et al. 2010). Un ruolo e un potere maggiori nel controllo giudiziario aumenterebbero sicuramente la legittimità delle OI, soprattutto se gli stati sono pronti ad accettare la loro giurisdizione. Diversi stati hanno accettato la giurisdizione obbligatoria della Corte internazionale di giustizia (CIG) se chiamati da altri stati che l'hanno accettata. Il presupposto di fondo è che alcuni paesi democratici sono disposti a rispettare lo stato di diritto (e le sentenze di tribunali indipendenti) anche se la controparte ha un regime dispotico. Una persona onesta non si sente autorizzata a rubare il portafoglio a un ladro, e allo stesso modo un regime democratico dovrebbe rispettare lo stato di diritto anche quando ha una controversia con un’autocrazia.
Apertura dell'accesso alle ONG e alla società civile. I governi democratici dovrebbero anche consentire un ruolo più preminente alle ONG e alla società civile. In assenza di canali elettorali, le ONG svolgono un ruolo cruciale per aumentare la rappresentatività delle OI. Negli ultimi vent'anni, le OI sono diventate molto più propense ad aprire le loro porte alle ONG (cfr. Tallberg et al. 2013). In aree selezionate che vanno dai diritti umani al cambiamento climatico, le OI hanno sostanzialmente cambiato le loro strategie anche per il coinvolgimento di attori non statali e transnazionali. Ma l'impulso più importante verso la democratizzazione si è spesso verificato al di fuori della struttura formale delle OI: in questioni centrali come il cambiamento climatico, i diritti umani, la giustizia economica e la costruzione della pace, i movimenti sociali globali sono riusciti a plasmare l'agenda della politica mondiale meglio e prima delle OI (cfr. Della Porta et al. 2009; Scholte 2011).


La leva esterna

Le OI hanno effetti positivi sulla democratizzazione interna agli stati? E se sì, attraverso quali canali? È ciò che chiameremo la leva esterna. L'arena internazionale può influenzare sia i processi di transizione che di consolidamento democratico attraverso quattro principali metodi di influenza: “imposizione”, “esempio”, “socializzazione” e “condizionalità” (cfr. Archibugi 2009; Morlino 2011; Morlino, Magen 2008; Pevehouse 2002). A questi metodi, bisogna aggiungere un'altra funzione che le OI possono svolgere al fine di promuovere la democrazia all'interno degli stati, vale a dire la funzione di “controllo”, come attore imparziale, dei processi di transizione verso la democrazia.
L’”imposizione” rappresenta il ricorso all'intervento militare per rovesciare un regime autocratico e instaurare un governo democratico. L’”esempio” riguarda il ruolo che i paesi democratici possono svolgere nel mostrare il vantaggio derivante dall'istituzione di un governo democratico. In effetti, il benessere economico, la sicurezza e le libertà di cui godono i paesi democratici sono fattori importanti che possono spingere le élite e i cittadini degli stati non democratici a intraprendere una transizione democratica (cfr. Haveman 1993). La “socializzazione” riguarda l'interiorizzazione di norme, politiche, istituzioni e pratiche democratiche che si verifica quando un paese in transizione stabilisce e rafforza i legami con gli stati democratici (cfr. Johnston 2001; Kelley 2004; Way, Levitsky 2005; Morlino 2011). Nel caso dell’”esempio” i paesi democratici hanno solo un ruolo passivo, con la “socializzazione” svolgono un ruolo attivo fornendo una sorta di “learning mentoring”: scambi istituzionali, interscambio tra società civili, associazioni professionali e commercio sono tutti metodi in cui i diversi sistemi politici - direttamente e indirettamente - riescono a socializzare. La “condizionalità” rappresenta i casi in cui i paesi non democratici sono spinti a intraprendere il percorso di democratizzazione per l'eventualità di una punizione o di una ricompensa. Esempi di condizionalità possono essere le sanzioni economiche (condizionalità negativa) o la possibilità di accedere a una linea di credito subordinata alla condizione di intraprendere riforme democratiche (condizionalità positiva). Infine, il “controllo” è quando le OI svolgono un ruolo diretto nel modo in cui la vita politica è organizzata e amministrata all'interno dei paesi. Una forma di controllo a bassa intensità si ha quando alle OI viene chiesto di agire come garanti dell’equità del processo elettorale, specialmente nei paesi in cui le elezioni non si sono mai tenute o sono state sospese per lunghi periodi e dove i partiti politici in competizione nutrono una radicata diffidenza l’uno dell’altro (cfr. Koenig-Archibugi 1997). Altre forme di controllo includono il monitoraggio dei diritti umani.
I diversi metodi, tuttavia, non hanno lo stesso successo. In particolare, l'imposizione e la condizionalità negativa hanno mostrato, in media, scarso successo rispetto agli altri mezzi di influenza. L'imposizione - che può prendere la forma estrema di una occupazione militare compiuta da uno stato o da una coalizione di stati democratici o quella più limitata di partecipazione alle operazioni di mantenimento e consolidamento della pace condotte da ONU e altri OI - si è rivelata spesso debole e controversa perché avviene dall'alto verso il basso e non riesce a realizzare la componente più importante per attuare una transizione democratica, vale a dire il sostegno della cittadinanza. Germania, Giappone e Italia hanno ottenuto regimi democratici attraverso l'imposizione militare degli Alleati nel 1945-1946, ma negli ultimi settant'anni non ci sono stati casi significativi di transizione alla democrazia attraverso l'invasione militare. Per una discussione e una revisione delle evidenze empiriche, vedere Archibugi (2009), capitolo 7. Allo stesso modo, la condizionalità negativa non ha ottenuto risultati significativi e non riesce a generare sostegno interno alla democrazia, come hanno dimostrato le sanzioni economiche imposte all'Iran o l'embargo imposto a Cuba.
L’esempio, la condizionalità positiva e la socializzazione si sono invece dimostrati strumenti preziosi per favorire la diffusione e il consolidamento della democrazia. La condizionalità positiva e la socializzazione possono essere giocate direttamente dalle OI e possono incoraggiare e facilitare le transizioni democratiche in un contesto multilaterale. Il controllo viene generalmente esercitato quando le autorità nazionali accettano di aprirsi a influenze esterne per specifiche funzioni e pertanto il suo ambito può essere limitato nel tempo (come nel caso dell'assistenza elettorale) o con un termine più lungo (quando esistono accordi sul monitoraggio dei diritti umani).
Di seguito ci concentriamo sul ruolo che le OI possono svolgere negli affari interni degli stati attraverso questi metodi e su come possono contribuire alla diffusione e al consolidamento della democrazia all'interno delle nazioni. È possibile individuare almeno quattro modi pratici in cui le OI possono effettivamente promuovere la democratizzazione interna (cfr. Pevehouse 2002).
In primo luogo, le OI possono utilizzare la condizionalità positiva attraverso la concessione di fondi specifici per promuovere governi democratici o sostenere riforme democratiche. Questo è, ad esempio, il caso del Fondo per la democrazia delle Nazioni Unite. Ancora più importante, le OI possono specificare che nuovi stati possano essere accettati come loro membri al raggiungimento di una soglia democratica minima. L'UE, il MERCOSUR e l'OSA sono esempi di OI che richiedono ai potenziali membri di raggiungere una certa soglia di democraticità prima di essere accolti (cfr. Hakim 1993). L’appartenenza ad alcune OI fornisce spesso vantaggi materiali, che vanno dall'accesso alle zone di libero scambio, alla cooperazione in materia di sicurezza e nei settori culturale, scientifico e tecnologico. Questi incentivi forniscono validi motivi ai potenziali membri per avviare e consolidare la transizione verso la democrazia.
In secondo luogo, utilizzando la socializzazione, le OI possono fornire uno spazio in cui i paesi in transizione, attraverso la vicinanza con democrazie consolidate, possono imparare a sviluppare le istituzioni democratiche e possono interiorizzare le norme richieste per governare una politica democratica. In questo senso, le OI possono essere una forma di trasmissione della conoscenza sulla governance democratica e sulle sue istituzioni (cfr. Torfason, Ingram 2010). Le OI possono aiutare i partiti politici nazionali, le associazioni professionali e l'opinione pubblica a imparare come gestire le controversie in un formato agonistico piuttosto che antagonistico. Spesso le OI svolgono anche un ruolo più attivo come consulenti di istituzioni pubbliche e private. Durante le transizioni democratiche, le OI hanno contribuito a formare o riqualificare la polizia, il sistema giudiziario, i media. Particolarmente importante è il ruolo svolto nella socializzazione dei militari, tipica istituzione su cui si basano i regimi autoritari. All'interno delle OI, le forze militari dei paesi in transizione possono imparare dai loro colleghi dei regimi democratici qual è il loro ruolo in una società democratica.
Terzo, le OI hanno dimostrato di essere un potente strumento di controllo e quindi possono svolgere un ruolo cruciale nelle transizioni democratiche. I governi autoritari in carica sono spesso riluttanti a rinunciare al loro potere anche perché temono per il proprio futuro. Possono paventare che se gruppi politici opposti accedono al governo, imporranno la propria dittatura piuttosto che un regime liberale. Le forze autoritarie in carica hanno maggiori probabilità di farsi da parte se intravedono uno spazio politico come partito di opposizione e se viene loro garantito, anche dalle OI, che nel prossimo regime, poiché democratico, siano possibili cambiamenti di governo associati a elezioni libere e ricorrenti. L'appartenenza a OI aiuta a fornire un centro di gravità (cfr. Pevehouse 2002) in cui tutti i membri possono agire come mediatori per garantire il non uso della violenza del governo in carica contro le opposizioni.
Quarto, le OI sono spesso chiamate a fare da mediatori nelle democrazie giovani e deboli, dove esiste ancora una fondamentale mancanza di fiducia tra le fazioni politiche. Ad esempio, le OI sono state sempre più attive nel contribuire all'organizzazione e al monitoraggio delle elezioni, fino al punto che sta emergendo come una nuova norma (vedi Kelley 2012). Una organizzazione relativamente recente, l'Istituto Internazionale per la Democrazia e l'Assistenza Elettorale (IDEA) ha spesso aiutato i paesi a progettare i loro sistemi elettorali e altre OI sono state attive in questo ambito, specialmente a livello regionale (cfr. Lean 2007).
Non necessariamente le OI devono avere al proprio interno dispositivi democratici affinché abbiano un effetto positivo sul regime politico dei loro paesi membri (cfr. Koenig-Archibugi 2015). Tuttavia, quando sono dominate da paesi democratici, esse rappresentano un potente strumento per indurre altri membri a introdurre riforme democratiche.


Cosa si può fare per rendere più efficace la leva esterna?

La leva esterna non fornisce risultati unici, ma può essere un veicolo cruciale per la democratizzazione interna. Che cosa si può fare per renderla ancora più efficace?
L'impegno esplicito delle OI verso la democrazia. L'impegno esplicito per la democratizzazione e il consolidamento democratico da parte delle OI può generare importanti implicazioni interne. Le fazioni politiche pro-democratiche possono trovare sostegno nelle OI, rafforzando il loro potere contrattuale interno. Le pressioni portate avanti dalle OI sono state più fruttuose dei tentativi unilaterali e coercitivi degli anni 2000 di esportare la democrazia, che sono ancora ben lungi dall’aver conseguito una transizione verso la democrazia in Afghanistan e in Iraq. Al fine di impiegare efficacemente la leva esterna, le OI e i loro stati membri devono essere percepiti come istituzioni credibili. Ovviamente, alcune OI (e alcuni stati) sono stati più credibili di altri. Come ambasciatore democratico l'UE è stata credibile ed efficace, mentre l'OSA lo è stata molto meno. La NATO, dominata da membri con regime democratico, piuttosto che favorire la democrazia in Portogallo, Grecia e Turchia, ha di fatto sostenuto i regimi autoritari in carica.
Tuttavia, un atteggiamento mutevole è anche evidente nella maggior parte delle OI. Ad esempio, l’ONU, organizzazione nata sulla premessa della non interferenza in questioni interne, ha iniziato ad essere attiva anche nella promozione democratica. Due ex segretari generali, Boutros Boutros-Ghali e Kofi Annan, hanno esplicitamente impegnato le Nazioni Unite a promuovere i cambi di regime (Boutros-Ghali, 1996; Annan, 2002). Il Fondo per la democrazia delle Nazioni Unite (UNDEF), nonostante il suo budget molto limitato, soprattutto rispetto alle risorse che sono state spese per la democrazia con la guerra (con risultati nulli), indica un impegno a lavorare con i paesi verso la transizione e il consolidamento democratico.
Maggiore utilizzo di incentivi. Al di fuori dell’UE, non molte OI mettono a disposizione incentivi per favorire transizioni e consolidamenti democratici. Ciò può essere spiegato dal fatto che la maggior parte delle OI non discrimina i membri in base al loro regime. Mentre nell’UE l’incentivo più potente è rappresentata dall'adesione, che non è mai stata concessa a paesi al di sotto di una certa soglia di democrazia, lo stesso non si può dire per la maggior parte delle altre OI. Le istituzioni economiche, l’FMI, la Banca Mondiale e l'OMC, nonostante siano dominate dalle democrazie occidentali, hanno fatto solo blandi tentativi per utilizzare i propri strumenti per promuovere la democrazia e per proteggere i diritti umani
Utilizzare le ONG per sviluppare collegamenti tra le società civili. Quando le OI consentono un ruolo attivo alle ONG si generano effetti positivi sulla loro trasparenza e responsabilità. Ma le OI possono anche essere un contesto istituzionale in cui le ONG, soprattutto quelle che agiscono in paesi autoritari, possono acquisire riconoscimento e legittimità internazionale. Un maggiore utilizzo dei forum delle ONG all'interno delle OI può quindi rafforzare sostanzialmente le forze pro-democratiche nei paesi autoritari, aiutandole ad organizzarsi e fornendo collegamenti con i paesi democratici.
Pari dignità tra i membri. I regimi politici in trasformazione sono particolarmente sensibili al ruolo che i loro paesi acquisiranno nel contesto internazionale, comprese le OI. In molti paesi, la possibilità di acquisire pari dignità nella definizione di un’agenda comune può spesso essere una forza decisiva. Il caso dell'UE ha mostrato come questo sia stato un fattore cruciale per indurre le élites al potere in Grecia, Spagna e Portogallo ad abbandonare i regimi autoritari e ad abbracciare la fede democratica.
Evitare di usare l'imposizione. La storia recente ha mostrato come la democrazia sia una merce che non può essere facilmente “esportata” e imposta con la forza. Le esperienze afghane, irachene, libiche e siriane, per citare alcuni esempi chiave, hanno chiaramente dimostrato che imporre militarmente un governo democratico è inefficace o addirittura controproducente, soprattutto se il compito è svolto da uno stato, un gruppo di stati o un’OI percepita come ostile. Queste esperienze hanno anche dimostrato che l’instabilità derivante da questi interventi può influire negativamente sull'intera comunità internazionale. Pertanto, la comunità internazionale dovrebbe evitare l'uso di tale strategia preferendo l'impiego di altri mezzi di azione come la condizionalità positiva e la socializzazione, che si sono dimostrati più efficaci.


Dal deficit democratico ad una rappresentatività democratica globale

In questo articolo abbiamo cercato di evidenziare la presenza di due deficit democratici: quello interno e quello esterno. Le due dimensioni sono ovviamente strettamente interconnesse e, in entrambi i casi, l’assenza di propri dispositivi di rappresentanza limita la legittimità delle decisioni globali. Abbiamo indicato due diversi meccanismi causali che possono affrontare e, si spera, ridurre questi deficit democratici:
- La diffusione della democrazia all’interno degli stati contribuisce a rendere la governance globale più rappresentativa e democratica; quello che abbiamo etichettato come leva interna.
- Le OI possono aiutare la democratizzazione interna dei suoi paesi membri attuali e futuri, ciò che abbiamo etichettato come leva esterna.
La leva interna si è rivelata un fattore decisivo nell'organizzazione della governance globale attraverso le OI piuttosto che attraverso forme più segrete, come i vertici segreti o la diplomazia a porte chiuse. Tuttavia, abbiamo anche notato che l'effetto della leva interna nell'ultimo quarto di secolo è stato troppo debole; i paesi democratici sono aumentati, anche la qualità della democrazia in molti paesi è migliorata, ciò nonostante le OI non hanno cambiato radicalmente il loro modo di operare. Hanno iniziato ad essere più aperte nei confronti delle ONG e di altre istituzioni, ma non abbiamo sperimentato né riforme costituzionali democratiche né un adeguato allargamento della rappresentanza, nonostante ciò sia stato ritenuto auspicabile dai loro stessi più elevati funzionari (cfr. Boutros-Ghali 1996; Annan 2002; Lamy 2005).
Abbiamo anche notato che le storie di successo non sono solo associate all’azione dei governi democratici, ma anche all'impulso e alla forte pressione esercitata dalle ONG e dalle altre organizzazioni della società civile. Se la rappresentatività, la trasparenza e la partecipazione sono aumentate, ciò è spesso dovuto per pressioni che hanno avuto luogo al di fuori delle OI piuttosto che al loro interno. Sebbene i governi democratici siano stati disposti a ricevere suggerimenti e a trasmetterli all'interno delle OI, raramente sono stati una forza trainante della democratizzazione della governance globale.
Abbiamo esplorato come le OI possano agire da agenti per la democratizzazione interna. Anche se non può essere dato per scontato, sono diversi i casi in cui sono riusciti a operare efficacemente per la transizione e il consolidamento democratico.
Abbiamo indicato alcune azioni politiche che potrebbero essere intraprese per rendere queste leve più efficaci. Le leve interne ed esterne sono chiaramente collegate nei loro effetti, ma troppo spesso i governi eletti non sono disposti a perseguire coerentemente la loro natura democratica anche per quanto riguarda la governance globale. L'approccio muscolare alla democratizzazione, con i tragici esempi delle invasioni in Afghanistan e in Iraq, i tentativi di risolvere le guerre civili attraverso bombardamenti aerei, come è successo in Libia e in Siria, hanno seriamente minato l'autorità morale e politica delle democrazie occidentali e hanno portato a un decennio di incertezze. Se gli stati liberali intendono riacquisire la propria autorevolezza nel promuovere un ordine mondiale rappresentativo e legittimo, dovrebbero meditare su questi fallimenti e ricercare altri mezzi meno onerosi e più efficaci per aumentare la democraticità della global governance. Aumentare il coinvolgimento e la partecipazione dei cittadini nella sfera globale richiede molte meno risorse di scatenare una guerra e si dimostra essere assai più efficace.


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