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Editoriale

L’immigrazione tra realtà e percezione

La questione dei migranti è molto complessa. Facile cedere alla tentazione di semplificare, anche in maniera strumentale. Lo vediamo quotidianamente. Tuttavia, anche quando ci allontaniamo dal campo accidentato della polemica politica, ci rendiamo conto che è quasi inevitabile, per il singolo studioso, avere un approccio parziale ad un fenomeno, come quello delle migrazioni, che ha dimensioni di natura diversa: politica, economica, etica, giuridica, religiosa, comunicativa, storica, e così via. È per questo motivo che, nella progettazione di questo numero, abbiamo deciso di coinvolgere studiosi di discipline e sensibilità differenti.
In anni in cui così frequentemente assistiamo ad una torsione propagandistica del tema, che arriva talvolta a creare una vera e propria immagine fittizia del fenomeno migratorio, è estremamente importante rimanere ancorati ai dati di fatto. Questo è vero ancora di più in un paese come il nostro, la cui opinione pubblica ha un’immagine fortemente distorta delle migrazioni che investono l’Italia. Noi siamo il paese europeo con la maggiore distanza tra la presenza reale di immigrati e quella percepita. A dirlo è la ricerca dell’Istituto Cattaneo Immigrazione in Italia: tra realtà e percezione (2018). Secondo lo studio, tra gli europei gli italiani sono quelli che mostrano un maggiore distacco tra la percentuale di immigrati non Ue realmente presenti nel paese (7%) e quella percepita, pari al 25%. Inoltre, l’Italia si conferma il paese collocato nella posizione più estrema, caratterizzata dal maggior livello di ostilità verso l’immigrazione e le minoranze religiose. Questo dovrebbe far riflettere tutti coloro che hanno a cuore i diritti della persona, che sono alla base del nostro ordinamento democratico, sul degrado del tessuto culturale del nostro paese e sull’urgenza di un lavoro su questo terreno. Anche perché la questione dei migranti non è semplicemente una tra le tante dell’agenda politica, ma è ormai diventata il cavallo di Troia, non solo in Italia, attraverso il quale le forze ostili alla forma che la democrazia ha assunto nel secondo dopoguerra stanno cercando di entrare nel suo edificio istituzionale per smantellarlo.
È dunque di fondamentale importanza ricondurre il fenomeno migratorio alle sue dimensioni reali. Nel numero si potranno trovare molti dati. Con questo non si intende certo affermare che sia sufficiente spostare lo sguardo dalle immagini fittizie alla realtà empirica, per superare la montante ostilità e conflittualità sociale legate alle migrazioni. Questo almeno per due ragioni. In primo luogo, perché i dati ci restituiscono situazioni la cui criticità è spesso reale, ossia non semplicemente indotta dalle strumentalizzazioni propagandistiche. Rifiutarsi di vedere gli aspetti problematici vuol dire, al di là delle buone intenzioni, favorire le reazioni regressive di fronte al fenomeno.
In secondo luogo, perché lo sguardo con cui guardiamo ai dati dipende da presupposti che trascendono il piano della mera analisi empirica. La nostra comprensione della realtà, infatti, è sempre orientata da “pregiudizi”, ossia da un insieme di elementi che costituiscono l’orizzonte di precomprensione all’interno del quale si strutturano le nostre esperienze. Si tratta di assunti valoriali, disposizioni emotive, quadri categoriali, atteggiamenti spirituali, profili autobiografici (con le loro relative narrazioni), che affondano le loro radici nella vita interiore delle persone. Una vita interiore la cui configurazione, naturalmente, dipende sempre anche dal contesto sociale nel quale ciascuno di noi si trova a vivere, ma la cui specificità e importanza non vanno trascurate, se vogliamo salvaguardare il principio di responsabilità personale. È su questo livello che emerge l’imprescindibilità di un approccio al fenomeno che sia anche etico. L’etica che è qui in gioco, ovviamente, è tutt’altro che astratta normatività; è piuttosto l’essenziale correlato dell’agire politico, se si parte dalla consapevolezza che i fenomeni collettivi passano sempre attraverso i singoli e che, lungi dall’essere dei meri processi anonimi, fanno sempre leva sulle disposizioni interiori delle persone. È dunque essenziale coniugare l’analisi empirica con la riflessione sui presupposti cognitivi ed esistenziali che orientano l’atteggiamento nei confronti del fenomeno migratorio, coscienti del fatto che alla considerazione dei dati vada sempre affiancata quella dei vissuti. Il numero che presentiamo vuole offrire un piccolo contributo in questa direzione.



Vincenzo Sorrentino


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