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Vittorio Bachelet:
una figura esemplare dell'Italia civile

Gian Candido De Martin

Il persistente interesse per Vittorio Bachelet


Tra le figure benemerite della Repubblica ci sono persone che hanno certo avuto responsabilità significative e riconoscimenti in vita, con attestati di stima di chi li ha conosciuti da vicino, ma poco inclini a cercare il palcoscenico e quindi ad essere protagonisti sui media, attirando l'attenzione dell'opinione pubblica. Ma la loro morte – a maggior ragione se legata a circostanze tragiche, che ne hanno esaltato il sacrificio per la comunità – ha contribuito a rendere sempre più evidente lo spessore della personalità e il contributo dato alle istituzioni civili e sociali e alla vita professionale e associativa cui hanno partecipato. Anzi, il tempo che passa finisce per consolidare la stima e il senso profondo e riconoscente del ricordo, facendo emergere a tutto tondo il loro profilo umano, privato e pubblico, e la lezione di vita di questi autentici protagonisti: cosicché essi diventano davvero esempi preziosi di valori universali e perenni, tanto più quando contribuiscono a far comprendere ciò che servirebbe alle istituzioni e ai vari mondi vitali (politici, sociali, ecclesiali) per guardare al futuro con speranza.

Una di queste figure è certamente costituita da Vittorio Bachelet (1926-1980), che la gran parte degli italiani hanno imparato a conoscere il giorno della sua tragica scomparsa, «ucciso nell'adempimento del proprio dovere», com'è scritto nella lapide che nell'atrio di Scienze politiche dell'Università La Sapienza di Roma ricorda il tragico evento, frutto di una follia disperata, alimentata da ideologie senza senso e crudeli, che in un periodo di impazzimento terroristico hanno privato il nostro Paese di eminenti servitori della cosa pubblica e di preziose figure simbolo del dialogo e della speranza. Certo, hanno contribuito a rendere lo spessore morale di Bachelet la serenità della sua famiglia e le alte parole del figlio al suo funerale, in cui aveva saputo unire con grande efficacia sia il senso della giustizia affidata alle istituzioni della Repubblica sia il senso del perdono cristiano. In occasione della sua morte è diventato di pubblico dominio quanto Bachelet era stato in vita, come responsabile di una grande associazione nazionale quale l'Azione Cattolica, come studioso di diritto e docente universitario e come Vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura, il massimo organo di garanzia dell'autonomia e indipendenza dei giudici.

In effetti, a 54 anni Bachelet ha lasciato una traccia indelebile e impensabile per la quantità e qualità degli apporti intellettuali, scientifici e operativi, con un profilo che dovrebbe sempre più essere indicato ai giovani come esempio di ciò che si può essere e di ciò che si può fare di positivo, partendo da valori spirituali profondamente radicati ed essendo animati da passione civile e da convinzioni democratiche costantemente aperte al dialogo. Non a caso si moltiplicano gli attestati e gli eventi in suo nome: da un lato, per via anzitutto dei convegni annuali promossi dall'Azione Cattolica e dal correlato Istituto Bachelet, che ripercorrono il suo pensiero legandolo al dibattito in corso sui principali problemi sociali e politici del nostro Paese, dall'altro per una serie di iniziative incentrate a vario titolo sulla sua figura, oppure aventi per oggetto i suoi scritti o le sue opere. Ci sono, in particolare, i volumi che raccolgono gli atti dei convegni per i dieci, i venti , venticinque e i trent'anni dalla sua scomparsa che dimostrano, da soli, la ricchezza delle riflessioni che il pensiero e l'opera di Vittorio Bachelet hanno saputo suscitare.

D'altra parte, per cogliere tratti significativi della sua statura d'intellettuale, di credente e di cittadino, basta richiamare alcune delle qualificazioni con cui Bachelet viene ricordato, senza enfasi, ma cogliendo aspetti essenziali della sua personalità e della sua eredità culturale e politica: se il card. Martini lo ha subito definito un martire laico, uomo del dialogo negli anni del conflitto, vi è chi ne ha sottolineato il carattere di profeta della speranza e di credente al servizio del proprio tempo (Marco Ivaldo), nonché il volto di cristiano autentico e al tempo stesso leale servitore della Repubblica (Virginio Rognoni), oppure ancora di uomo della Costituzione e del Concilio (Rosy Bindi). Tutti segni inequivocabili di una eredità ricca e stimolante, di cui sono d'altra parte significativa testimonianza anche i suoi scritti (sia quelli giuridici, ripubblicati in tre volumi di quasi 2000 pagine, sia quelli civili e quelli ecclesiali, racchiusi in due bei tomi di oltre 1000 pagine ciascuno), nonché gli scritti su di lui (v. i tre volumi di Studi in memoria frutto di contributi di colleghi universitari, le opere curate dal CSM a vario titolo a lui ispirate e la serie di pubblicazioni edite da varie realtà del mondo cattolico per illustrarne figura e pensiero). E si sorvola qui sulle molteplici iniziative associative e culturali a lui intestate, in moltissime parti d'Italia, spesso con un respiro nazionale: tutte promosse per spontaneo apprezzamento della qualità eccezionale di una testimonianza che davvero non è facile trovare racchiusa nella stessa persona.

Di qui anche lo stimolo a ricostruire in questa sede, sia pure in estrema sintesi, i fondamenti e le ragioni di questa vita dedicata interamente al bene comune, a maggior ragione preziosa in tempi in cui emergono con difficoltà uomini pubblici capaci di svolgere ruoli così densi e coerenti nel proprio percorso di vita. Limitandoci qui ad alcuni elementi che possono far emergere i fili rossi della sua personalità, si possono distinguere soprattutto tre dimensioni della sua vita: il periodo della formazione, quello delle responsabilità associative e professionali e quello del servizio nelle istituzioni civili e politiche.



Il periodo della formazione del suo profilo umano e culturale


Hanno certamente un valore fondativo per Bachelet – al di là delle esperienze familiari e sociali giovanili, in cui aveva avuto modo di coltivare anche alcune sue attitudini utili a forgiarne il carattere (tra l'altro, con l'abitudine alla fatica e alla gioia del camminare in montagna) – gli anni di partecipazione al mondo dell'Azione cattolica e della Fuci, in cui aveva potuto fruire, fin da giovanissimo, della fervida elaborazione che, alla fine del fascismo e durante la resistenza, aveva contrassegnato il contributo di pensatori di matrice cattolica alla ricostruzione delle istituzioni democratiche (v., ad esempio, il Codice di Camaldoli) e il legame ideale forte con Alcide De Gasperi, di cui aveva colto le radici del pensiero sociale e politico nel legame con il suo territorio, da quidam de populo. Sono gli anni dei molteplici scritti fucini, in cui approfondisce tra l'altro il ruolo dell'Università, le novità costituzionali e i nodi economico-sociali del Paese, con una serie di contributi di «incredibile equilibrio e maturità» (come ha osservato Piersandro Vanzan, recensendo i suoi scritti giovanili, dei quali vi è un ulteriore recente interessante rassegna critica ad opera di Alessandro Candido)[1].

Matura in quegli anni in Bachelet anche la profonda convinzione di quanto possa essere decisiva l'azione del mondo laico sul piano intellettuale, scientifico, politico e sociale, in una prospettiva di laico nella chiesta e cristiano nel mondo (secondo le parole di Giuseppe Lazzati), riprese di recente da Mons. Lorenzo Chiarinelli – nel XXX Convegno Bachelet del febbraio 2010 – che ha ricordato tra l'altro uno scritto di Bachelet a vent'anni in cui aveva evidenziato la chiave di volta per agire da cristiano nel mondo, ossia «parlare con coraggio, ma soprattutto con amore». Vittorio Bachelet, ha ancora osservato Mons. Chiarinelli, era «uomo della gioia», «era l'ottimismo che nasce dall'amore dei fratelli e dall'amore di Dio, l'ottimismo che sa cogliere i valori positivi per costruirne dei nuovi, che preferisce ciò che unisce»[2]: un filo conduttore della sua vita che, arricchito anche da una singolare vena di arguzia e umorismo, ne ha fatto un autentico operatore di pace, guidato da una fede adulta che gli anni del Concilio hanno contribuito a rinsaldare e motivare.

Di qui anche le radici del suo impegno associativo e, al tempo stesso, dell'attenzione per così dire naturale alle dinamiche delle istituzioni civili e politiche, alle quali d'altronde si dedicava anche sul piano della ricerca scientifica, polarizzata non a caso sulle prospettive innovative offerte dalla Costituzione e sulla necessità di attuarne i principi nell'amministrazione pubblica, eliminando le zone franche e realizzando un equilibrio virtuoso tra autorità e libertà, con un'attenzione specifica alle istituzioni in cammino, nonché agli istituti tipici delle società complesse (come il coordinamento) e alle riforme necessarie per concretare i valori democratici nella non facile ripresa del Paese e nella cittadinanza attiva.

Emergono già allora tratti di uno stile inconfondibile, basato su un naturale equilibrio e una serenità interiore, finalizzati ad un discernimento attraverso l'ascolto e il dialogo, spesso facilitato da un sorriso intenso e da un'attenzione costante all'altro, improntata ad una laicità naturale nel perseguimento del bene comune concretamente possibile. Uno stile di vita e di relazioni ispirato sempre a curiosità per gli interlocutori, a mitezza e semplicità, dote quest'ultima di grande significato quando è frutto di autenticità e di tensione etica senza orpelli, con obiettivi di concretezza. Uno stile inconfondibile, che ne ha esaltato le doti di maestro, di formatore e di servitore delle istituzioni: in tal senso si può del tutto convenire con Paolo Giuntella quando ha osservato che, fin dagli anni giovanili, «la sua vita era la sua lezione»[3].



Le responsabilità associative e professionali


Anche se non è questa la sede per mettere a fuoco il ruolo svolto da Bachelet in seno al mondo ecclesiale (e, in particolare, come dirigente prima di componenti dell'Azione Cattolica e poi per molti anni come Presidente nazionale della stessa) non si può non accennare al modo con il quale ha saputo gestire compiti così rilevanti di governo di una grande Associazione, in anni difficili di trasformazione anche del rapporto dei cristiani con la politica: in tal senso del tutto significativa è stata la cd. scelta religiosa che ha saputo imprimere, in parallelo con l'insegnamento del Concilio, alla vita dell'Azione cattolica, in modo da evitare improprie commistioni tra la dimensione associativa e l'impegno politico. Comunque, a voler mettere qui in evidenza soprattutto il suo ruolo professionale di studioso e di docente di diritto pubblico, si può agevolmente cogliere la capacità di Bachelet di essere insieme "maestro di vita e di diritto", due profili davvero in lui strettamente congiunti, a sottolineare l'intensità e la pienezza della sua vocazione e del suo ruolo di formatore. Se rigoroso è stato certamente il metodo delle sue ricerche giuridiche, evidente è stata al tempo stesso la sua propensione a occuparsi non di temi astratti, in vista di una elaborazione essenzialmente formale, ma ad approfondire questioni aventi risvolti realmente concreti e legati alla vita delle persone; sempre con la pazienza del confronto con gli interlocutori e con altrui punti di vista, nonché di frequente con un approccio interdisciplinare e comparatistico, frutto di interessi culturali molteplici (in cui il mondo del diritto si arricchiva di stimoli provenienti dalle scienze filosofiche e morali, dall'arte e dalla letteratura, dall'economia e dalla sociologia, con un vivo interesse anche per problemi all'epoca ancora poco arati, ma essenziali per l'uomo, come quelli dell'equilibrio ambientale e dello sviluppo sostenibile).

Quindi può dirsi senz'altro che l'insegnamento di Bachelet sul terreno dei suoi studi legati alla professione di docente universitario siano diventati occasione costante per diffondere un seme buono. In sostanza, emerge continuamente in Bachelet, anche nei suoi rapporti con colleghi e studenti, questa sua naturale propensione ad essere sale e lievito, attirando l'attenzione su questioni e riforme a vario titolo importanti per attuare la Costituzione e rafforzare le istituzioni, con un approccio partecipativo indispensabile per la tenuta del sistema democratico. Il suo successo professionale, d'altra parte, è scaturito anche da uno stile di vita che, come già accennato, è stato sempre improntato all'ascolto e al dialogo, all'essere più che all'avere o all'apparire: uno stile che ha suscitato tante volte ammirazione e riconoscenza in chi ha avuto la fortuna di conoscerlo e frequentarlo, al punto che si è parlato autorevolmente di un "modello Bachelet" (Giovanni Conso). Dunque, un esempio preclaro di impegno professionale e sociale capace di coniugare pensiero ed azioni in fasi cruciali della vita del Paese, dopo le macerie della guerra e durante la lotta ad un terrorismo pericoloso per le fondamenta della Repubblica.



Il valore del servizio civile


Questa sua vocazione a svolgere un ruolo alto di formazione in Università, abbinando ricerca e didattica su temi di forte rilevo sociale e pubblico, si è d'altra parte facilmente saldata con l'altro versante emblematico della personalità di Bachelet, quello del servizio alla società civile, frutto anche delle radici cristiane del suo impegno politico che considerava naturalmente connesso alla sua veste di giuspubblicista. In altre parole, gli sembrava doveroso mettere il bagaglio tecnico e culturale dello studioso delle istituzioni e dell'amministrazione al servizio del sistema repubblicano, con responsabilità assunte in prima persona. Un servizio alle istituzioni concretamene vissuto, più che proclamato, con una tensione etica ed una adesione profonda ai valori che reggono la convivenza democratica e le istituzioni sociopolitiche. In sostanza, per lui – come ha sottolineato Leopoldo Elia[4] – «il servire lo Stato attuando la Costituzione» era la molla per un impegno congiunto sia sul piano scientifico che della società civile: il che lo ha portato a non tirarsi indietro di fronte a compiti che gli sono stati sollecitati dal mondo politico, prima come amministratore del Comune di Roma, poi come Vicepresidente del CSM. Testimone, in certo senso, di una prospettiva di "servizio" da quidam de populo, sulla scia dell'esempio di De Gasperi, che aveva apprezzato molto per l'unità e armonia tra ispirazione ideale e azione politica concreta; con una spiccata attitudine al discernimento, inteso come mediazione tra principi e storia, mettendosi alla stanga per fare la propria parte sul campo, con un alto profilo morale e una precipua attenzione al bene comune, in funzione dei problemi reali delle persone, specie quelle più bisognose.

La testimonianza di Bachelet è quella del cristiano chiamato ad impegnarsi in politica che deve cominciare con l'amare la propria città: infatti la città è laboratorio di convivenza, luogo di vita e di crescita delle relazioni umane… e un cattolico impegnato in politica è chiamato ad un supplemento di capacità di dialogo, tenuto conto che l'azione politica – che pure deve ispirarsi a principi etici e, per i cristiani, al Vangelo – non consiste di per sé nella realizzazione immediata di principi etici assoluti, ma nella realizzazione del bene comune concretamente possibile in un determinata situazione. In sostanza, Bachelet – come hanno sottolineato Rosy Bindi e Paolo Nepi[5] – aveva una concezione ampia della dignità della politica come costruzione della città dell'uomo, con la paziente ricerca attraverso il dialogo di una sintesi utile in grado di ricomporre un punto di vista unitario. Una lezione di laicità nel solco del Concilio e della Costituzione, con quella che Bachelet chiamava «la spiritualità del ponte», visto che da laici cristiani dobbiamo sì sentirci ancorati alla Chiesa, ma al tempo stesso solidamente piantati nella comunità civile e politica alla quale si deve la lealtà dei cittadini.

In tal senso Bachelet non ci ha lasciato in eredità un'opera politica, ma piuttosto una lezione di metodo sulle esigenze della politica e sulle linee orientative di un agire politico che deve essere frutto di una coscienza vigile e appassionata. Ecco perché Bachelet può essere considerato a tutto tondo un punto di riferimento solido, un gigante nell'impegno civile, di persistente attualità, una "pietra d'inciampo" anche per il nostro tempo, caratterizzato da crescente disorientamento e superficialità nell'approccio alla politica, da scarsa coerenza tra etica privata ed etica pubblica e da una frequente prevalenza della cura degli interessi particolari rispetto alla ricerca del bene comune.

D'altra parte è del tutto significativo che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a margine del convegno per il 30° anniversario dell'assassinio di Bachelet ad opera delle Brigate Rosse, abbia osservato che «la sua lezione è sempre viva» e «c'è ancora molto da attingere dall'esempio di Vittorio Bachelet… personalità straordinaria che ha dato un grandissimo contributo sia alla cultura giuridica sia alla vita pubblica come alla vita morale».

In definitiva, è una storia che andrebbe raccontata tutti i giorni, di generazione in generazione. Infatti, se Giovanni Bachelet ha di recente voluto sottolineare che quello con suo padre è un dialogo che non muore, egualmente tutti coloro che hanno a cuore un impegno serio al servizio delle istituzioni civili del nostro Paese debbono sapersi misurare con la nitida testimonianza di questo esemplare laico cristiano.



Riferimenti bibliografici:


Scritti di V. Bachelet:


Scritti su o per V. Bachelet:


Si segnalano, inoltre, i volumi di atti dei Convegni Bachelet, annualmente promossi dall'ACI e dall'Istituto Bachelet (per lo più pubblicati dall'ed. Ave).

[1] P. VANZAN, L'eredità di Vittorio Bachelet, in "La Civiltà Cattolica", IV, 2007, p. 473; A. CANDIDO, Giovane dal pensiero maturo. Gli scritti fucini di Vittorio Bachelet, in "Coscienza", n. 2/2010, pp. 2-8.
[2] L. CHIARINELLI, Vittorio Bachelet: una pietra d'inciampo per il nostro tempo, in L. DILIBERTO, G. PANOZZO (a cura di), Vittorio Bachelet testimone della speranza, Atti del XXX Convegno Bachelet, Ave, Roma 2010.
[3] P. GIUNTELLA, Per Vittorio Bachelet, in "Orientamenti sociali", n. 1/2000, p. 48.
[4] L. ELIA, Bachelet servitore delle istituzioni, in "Segno sette", n. 5/2000, p. 10.
[5] Cfr. R. BINDI, P. NEPI, Introduzione a V. BACHELET, La responsabilità della politica, scritti politici a cura di R. Bindi e P. Nepi, Ave, Roma 1992.
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