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Il fantastico:
implicazioni matematiche e giochi di spazi

Marianna Forleo

Nel panorama della letteratura fantastica non è inusuale il riferimento alle scienze e ai giochi matematici. Un testo esemplare della contaminazione matematica nel genere del fantastico è Flatlandia del reverendo Edwin Abbott Abbott[1]. Il testo, il cui titolo nella traduzione italiana è “Racconto Fantastico a più Dimensioni”, è stato scritto nel 1881. L’autore viene ricordato ai giorni nostri per i suoi importanti studi su Shakespeare, su Francis Bacon e per questo racconto, Flatlandia, un gioco geometrico che inizialmente risultò un testo minore nella sua produzione letteraria; in realtà la fortuna di Flatlandia prevarrà sui suoi scritti teologici e letterari, ricoprendo un ruolo esemplare nella letteratura e nella scienza sino ai giorni nostri.
Il racconto è ambientato in un mondo limitato tra due assi cartesiani, un piano infinito su cui giacciono figure geometriche delimitate da contorni luminosi. Il narratore è un quadrato, A Square, che descrive il popolo del piano in un racconto frutto della prigionia a vita cui è costretto perché ha osato sfidare le leggi di Flatlandia, sorte questa che, qui come altrove, tocca agli eretici e ai profeti.
La società che A Square descrive è strutturata secondo una scala sociale basata sulla complessità di configurazione degli individui: alla base c’è un segmento, la donna, umiliata e derisa perché totalmente priva di angolo, segno a Flatlandia di una intelligenza razionale e quindi patrimonio esclusivamente maschile, e definita da un linguaggio emozionale fuori luogo in un mondo geometrico. Al gradino successivo ci sono i Triangoli Isosceli, con angolo acuto e pericoloso, considerati classe inferiore perché figure non ancora regolari. Quindi i Triangoli Equilateri, che rappresentano la classe media, i Quadrati, la borghesia, i Poligoni regolari, la nobiltà, il cui prestigio aumenta in misura proporzionale all’aumento del numero dei lati, salendo nella scala sociale. Al vertice dell’organizzazione sociale ci sono i Cerchi, la perfezione, Sommi Sacerdoti e organizzatori di tutte le Arti e le Scienze. Questi detengono il potere e impongono leggi durissime e irrevocabili che garantiscono a Flatlandia un governo oligarchico al riparo da ogni pericolo di rivoluzione; misure, queste, precauzionali e dittatoriali che mantengono la società in una condizione di immobilismo politico.
La struttura fisica di Flatlandia segue le leggi proprie della geometria del piano. Il Piano non ha altezza, è sottoposto a una forza gravitazionale esercitata dal sud, che è il punto cardinale fondamentale: “Upwards, not Northwards” è la differenza sostanziale tra il nord e l’altezza, è il concetto che le figure sul piano non colgono perché mancano loro le strutture mentali per concepire o accogliere la terza dimensione. A Flatlandia il giorno e la notte hanno la stessa valenza, la luce è perenne, penetra nelle case da un punto sconosciuto e mostra un mondo senza ombre in cui tutto è definito in maniera netta e inesorabile, in cui l’assenza di sfumature e di chiaroscuri è la mancanza di altezza come impossibilità di innalzarsi per una visione globale del mondo e della realtà, come l’impossibilità di utilizzare la prospettiva come strumento di sistematizzazione del mondo.
Alla descrizione della vita quotidiana a Flatlandia segue quella dei tentativi di rivoluzione delle classi inferiori capeggiate da poligoni irregolari repressi e invidiosi del potere dei cerchi; A Square racconta che il pentagono Cromatiste scoprì le componenti dei colori più semplici iniziando così il paese alla pratica della pittura. L’anarchia e la confusione dettate da un nuovo arcobaleno portarono a una momentanea apparizione dell’Arte[2], che sino ad allora a Flatlandia era stata solo geometria e luce bianca. Durante la Rivolta Cromatica ogni figura si dipinse, rendendo così il riconoscimento facile e immediato. L’intuizione di un irregolare che le Donne e i Cerchi, rispettivamente alla base e all’apice della piramide sociale, se dipinti degli stessi colori si sarebbero confusi, instaurò sul piano un’organizzazione sociale di tipo egualitario. La sommossa venne subito sedata dall’intelligenza dell’angolo dei Cerchi che prevalse sulla moltitudine di plebe ottusa alleata con l’irregolare, riportando a Flatlandia l’ordine razionale e geometrico.
La scarsa diffusione delle teorie di Abbott e la poca attenzione della critica al racconto geometrico sono dovute all’immaturità dei tempi a recepire un’opera di tale portata in tutte le sue sfumature, nonostante le numerose edizioni dell’epoca. Pubblicato anonimo nel 1882, Flatlandia non riscosse immediatamente il successo meritato[3], le recensioni consideravano il testo incomprensibile, e si giudicava impossibile la totale mancanza di altezza delle figure a Flatlandia. Una delle poche voci di plauso, fra tante pesanti stroncature, fu quella del critico del “Boston Advertiser”, che invece giudicò l’opera in maniera positiva, come una satira della conoscenza e delle certezza assoluta. Non a caso Flatlandia fu riproposta all'attenzione del pubblico da una lettera pubblicata anonima sulla rivista scientifica inglese “Nature solo nel 1920[4] che riabilitò il testo redimendolo dalle stroncature precedenti[5].
Nella seconda parte del testo A Square, durante un incontro inaspettato con una Sfera che intersecando il piano si rivela a lui prima come un punto e poi come una circonferenza di raggio sempre maggiore, viene bruscamente a conoscenza dell’esistenza di mondi a dimensione diversa da Flatlandia. La sfera ha scelto A Square come l’apostolo del Vangelo delle tre dimensioni, lo stacca dal piano e lo porta nello spazio; questi può vedere così il suo mondo dall’alto e avere una prova evidente dell’esistenza dello spazio a tre dimensioni da cui la sfera proviene. A Square ne deduce che, con un procedimento mentale analogo, si può dimostrare l’esistenza di mondi a “n” dimensioni; questa ipotesi, plausibile ma insolente, irrita la sfera che scaraventa il quadrato nel piano. A Square, che in un sogno aveva conosciuto oltre al mondo a tre dimensioni anche le singolari realtà di Pointland e di Linealand, regno del punto e della linea, cerca di rendere l’umanità partecipe delle sue conoscenze. Considerato eretico dalla società in cui vive per le sue affermazioni non dimostrabili, viene imprigionato fino alla fine dei suoi giorni.
Il testo ha vari livelli di lettura, il racconto può essere letto e interpretato secondo varie prospettive ma se il fantastico mondo di Abbott non può essere considerato precursore di teorie fisiche o matematiche, sicuramente il gioco geometrico riassume una serie di spunti che si riferiscono al dibattito filosofico-scientifico del tempo. Le figure geometriche del racconto spiegano come le apparenze possano nascondere realtà diverse e A Square, che scopre le tre dimensioni e ipotizza l’esistenza di un numero indefinito di dimensioni e di un paese nel pensiero che chiama Thoughtlandia, ipotizza il concetto di relatività, chiave di volta per la percezione di nuovi aspetti del mondo fisico. In Flatlandia la rivelazione del concetto di spazio, e quindi della possibilità di nuovi mondi e nuove idee, può essere letta come metafora dell’accettazione di una geometria nuova, non-euclidea, attorno alla quale all’epoca vi era un acceso dibattito.
Questo è stato uno degli sconvolgimenti più significativi della storia del pensiero umano, che ha comportato mutamenti drastici nella visione dettata della razionalità euclidea, e nello stesso modo a Flatlandia è difficile far accettare questa prospettiva rivoluzionaria che dimostra che una visione monoculare della realtà comporta una banalità infallibile perché volutamente unica. La quarta variabile che Abbott menziona è una quantità o una qualità[6] che si può rappresentare geometricamente o spazialmente: egli non considera il tempo come “la” quarta dimensione ma lo ritiene “una” quarta dimensione. Ma pur considerando che tale variabile è percepibile fisicamente solo a Thoughtlandia, ipotetico regno del pensiero, ciò non la rende meno reale per A Square che ha imparato che i mondi invisibili hanno la stessa possibilità di esistenza di quelli visibili.
Nel concetto di spazio su cui si basa l’intero testo, fondamentale è la regolarità di configurazione: nella piramide sociale ogni figura regolare ha un proprio ruolo stabilito dalle leggi geometriche; altro discorso è per le figure irregolari che, esasperando le leggi imposte dallo Stato, esulano dalle regole e sono portavoce di fantasia e imperfezione. La regolarità dei lati nel Piano è essenziale per garantire l’ordine e la salvezza dello Stato come base per le modalità di riconoscimento reciproco delle figure. In tale mondo crudele e preciso non si ammette l'imperfezione o il dubbio, tutto è subordinato al miglioramento della configurazione individuale e collettiva, che tende ad approssimarsi il più possibile alla forma circolare. La tensione della società di Flatlandia verso la perfezione è perseguita a qualsiasi costo.
Le figure irregolari hanno così delle caratteristiche proprie che evidenziano, nella loro forma e nel loro comportamento, un’assoluta autonomia rispetto alle leggi del Piano. L’irregolarità in questo mondo teso alla perfezione è bandita, sia per un rigore geometrico, sia per la difficoltà di controllo sociale; le tecniche di riconoscimento reciproco non sono efficaci se viene meno la possibilità di definire una figura, e quindi di misurarla, controllarla e gestirla; nella forma come nel comportamento gli irregolari sono fuori dagli schemi, quindi considerati pericolosi e messi ai margini; è una metafora delle realtà sociali in cui sono emarginati gli individui non conformi alle regole per culto o per ideologia.
Nel Piano di Flatlandia l’irriducibilità dell’Irregolare può essere letta metaforicamente come una forma esplicita del fantastico, e quindi come una forma d’arte[7], oltraggiata e censurata in quanto tale; è la fantasia imperfetta, individuale e creativa che si ribella allo standard geometrico e ai fondamenti obiettivi della matematica[8]; l’arte è marginale rispetto alla centralità della scienza e se ne distacca, vivendo di vita autonoma e assumendo regole proprie, che sostituiscono l’intelletto con l’immaginazione. L’Irregolare è colui che, posto ai margini di una società che lo rifiuta per la sua imprevedibilità nella forma e nel comportamento, non si può inserire nel sistema che, nella sua uniformità, è sin troppo prevedibile. Il concetto di arte platonico è lo stesso che si ritrova a Flatlandia, per cui l’irregolarità e l’autonomia dell’arte hanno il potere di intensificare e amplificare le emozioni; il grande artista è dunque pericoloso, perché intacca le regole della società, sconvolgendole.
Anche a Flatlandia, durante la rivoluzione del Colore capeggiata dagli irregolari, la città del Piano perdeva le proprie caratteristiche e si indeboliva politicamente. L’estraneità delle figure ai canoni dettati dalla regolarità degli angoli e il comune pregiudizio della combinazione di difetto fisico e criminalità confermano un’inclinazione caratteriale spregevole; del resto, a Flatlandia la figura che alla nascita presenti una irregolarità anche di appena mezzo grado viene sommariamente eliminata; è una misura estrema che ricorda la stessa sorte che, in una società militare come quella di Sparta, spettava ai bambini esposti sul Taigeto se giudicati non idonei per la vita militare per malformazioni o gravi difetti fisici. L’Irregolare a Flatlandia è sempre considerato il più probabile indiziato del sovvertimento dell’ordine pubblico, perché tenta di introdurre il suo mondo di fantasia, di possibilità, e quindi il caos e l’Arte, in un universo ordinato e prevedibile.
Flatlandia segue un processo di geometrizzazione dell’universo definito da Cartesio, ma la razionalità voluta è scalfita proprio dalle figure irregolari che aprono nel testo delle possibilità altre rispetto alla unicità di lettura prestabilita e rendono il testo scientifico plausibile di qualche eccezione, aprendo il racconto a incursioni fantastiche.
Flatlandia assume i moduli della favola secondo una morfologia condivisa[9] che accomuna in un unico schema tutti i testi e, nonostante le caratteristiche apparentemente dissimili, fa tornare alla mente il racconto fantastico per antonomasia, Alice nel Paese delle Meraviglie[10], che venne pubblicato a Londra solo pochi anni dopo Flatlandia.
Si potrebbe addirittura parlare della assoluta “tipicità” di opere fantastiche apparentemente inusuali come Flatlandia e Alice nel panorama dell’Inghilterra vittoriana, in cui non sono poi così rari i momenti di evasione fantastica della produzione letteraria, e in cui il fermento scientifico si accompagna alla sonnolenta tranquillità della società borghese e puritana. Tale tipicità non deve d’altra parte distogliere l’attenzione dall’aspetto propriamente letterario: è indiscutibile come tali opere approdino, pur nella molteplicità di livelli di lettura e nella loro ampia serie di riferimenti, a un risultato limpido, chiaro e leggero: entrambe le opere sono assimilabili alla letteratura fantastica e alla letteratura infantile, ma contengono messaggi tuttora modernissimi.
Il primo parallelo evidente è nella produzione letteraria dei due autori; Flatlandia sta nella seriosa produzione dello scrittore, teologo e pedagogo britannico Abbott, come Alice nel Paese delle Meraviglie sta in quella di Lewis Carroll, importante fotografo e logico, ad Abbott contemporaneo.
Carroll come Abbott immagina un mondo surreale, in cui l’utilizzo delle discipline scientifiche è strumento di spiegazione del mondo; in un più attento esame tra le due forme di racconto fantastico è chiaro come l’una sia l’opposto dell’altra. Il confronto tra le due opere è impostato sulla opposizione dei due testi, perché l’aspetto di esasperazione e di esagerazione presente in entrambe le opere è uguale e contrario: in Flatlandia vige una razionalità portata alle estreme conseguenze, tanto che la minima imperfezione comporta grave infrazione etica e sociali, mentre Alice è un’opera discontinua e frammentaria, in cui vige una totale assenza di regole, una continua trasformazione dell’io narrante e una mancanza di contesto strutturato.
Lo spazio è elemento fondante di entrambe le opere, uno spazio in cui il fantastico si esprime in tutte le sue forme, in entrambe espresso in un linguaggio preciso e opposto, che rispecchia la rispettiva visione del mondo. Da una parte, vige la coerenza e l’unicità della regola, dall’altra, l’assenza di ogni regola. Il mondo di Flatlandia esalta il movimento nello spazio ma esclude la trasformazione e il mutamento; sancisce l’immodificabilità delle regole, una realtà che si riproduce secondo schemi codificati e sempre codificabili, ripetibili. In Alice il mutamento è nella natura delle cose, già dalla caduta di Alice nel centro nella terra si esplicitano riferimenti a leggi fisiche esasperate e paradossali, e le sue avventure continuano con una serie di repentine espansioni e contrazioni, che la bimba subisce senza apparente disagio fisiologico.
Del resto, le dimensioni di spazio e tempo sono le variabili fondamentali nella letteratura fantastica, ma lo spazio è elemento fondante della realtà; «vivere è passare da uno spazio all'altro, cercando il più possibile di non farsi male»[11]. Si cerca di incasellare lo spazio, definirlo secondo moduli convenzionali che possano contenerlo, partendo da un elemento di spazio limitato, la camera, per finire alla conquista del mondo, dimostrando quanto lo spazio, in sintesi o in dispersione, mentalmente ci colpisca, influisca sulla realtà che ci circonda condizionandola. Lo spazio è tutto ugualmente neutro ma si tende ad addomesticarlo, chiudendolo tra muri, recinti, cartine, frontiere e limiti immaginari per impossessarcene. Lo spazio non esiste come luogo stabile, immobile e intangibile, non è fisso perché è strettamente legato alle altre dimensioni che mutano mutandolo. Questo non è mai un possesso, e bisogna continuamente individuarlo, designarlo, conquistarlo. Lo spazio di Alice è plasmabile, come uno dei livelli di realtà del racconto; in Flatlandia, si rivela l’esistenza di mondi che non sono percepibili dall’esterno, da spazi altri e concettualmente irraggiungibili, dei Paesi del Pensiero, in cui fantastico e reale si intrecciano. Entrambi gli spazi delle due opere sono luoghi mentali: la deduzione degli spazi fisici implica sempre una deduzione di spazi mentali.
Nel mondo capovolto di Alice il linguaggio descrive mondi deformati che la bambina Alice si trova a gestire e ad accogliere; nei vari frammenti di dialogo, Lewis Carroll, in qualche modo anticipando le teorie di De Saussure, elabora una lingua che non coincide più con la realtà. Il testo è disseminato di esempi linguistici e logici di nonsense, da intendere in modi complementari: un uso apparentemente sensato di parole insensate, e un uso apparentemente insensato di parole sensate. Nonostante il nonsense sia considerato una mancanza di senso, nel testo è spesso utilizzato come solo negazione di senso, e presuppone dunque la sua presenza.
La contrapposizione tra le due opere è resa evidente anche nell’uso del linguaggio; in Flatlandia è razionale e scientifico e, come tale, unico e inconfondibile: non ci sono equivoci, perché il linguaggio è mezzo di comunicazione condiviso tra le figure. Le uniche ad adottare un linguaggio differente sono le donne, perché la società di Flatlandia apre una evidente separazione tra l’universo maschile e quello femminile, rendendo le donne-rette entità estranee rispetto al mondo dominante maschile, a causa della loro creatività esplosiva. Sul Piano la differenza linguistica tra uomo e donna, presente già nelle società primitive, ma più evidente nei paesi in cui l’organizzazione sociale implica una forte disparità sessuale[12], è costretta in una forma rigida e definitiva. La comunicazione verbale è infatti uno degli elementi che perpetra la segregazione femminile; erigendo barriere tra la lingua logica e quella immaginativa, rispecchia la divisione dell’universo tra elementi maschili e femminili, sottolineata già dall’opposizione classica tra animus (l’intelletto) e anima (l’anima sensibile), presente anche in molte simbologie orientali, ad esempio nella complementarietà di yin e yang.
Il linguaggio del gioco matematico è razionale e l’introduzione anche di un solo elemento dissonante nel sistema logico, quale il linguaggio emozionale femminile, se da un lato ne altera la rigida consequenzialità, dall’altro ne dilata le possibilità di sviluppo in direzioni nuove e incontrollabili. Questa potente metafora sottolinea quindi l’importanza di una società a due culture; le figure concretizzano il razionale empiricamente descritto con un linguaggio scientifico preciso e relegano le proprietà qualitative, non quantificabili e controllabili, nel mondo femminile, in cui non solo gli aspetti intuitivi della conoscenza, ma anche i concetti astratti come l’amore e la lealtà sono difficili da tradurre in un costrutto strettamente utilitaristico.
Nei due testi anche lo sviluppo narrativo è uguale e contrario: entrambi utilizzano la falsariga del topos letterario del viaggio, ma in Flatlandia il viaggio è capovolto, perché la vicenda è narrata non dal visitatore, bensì da colui cui giunge una visita inaspettata; è come se le avventure di Alice fossero raccontate dal Coniglio o la storia di Gulliver fosse raccontata dai Lillipuziani[13]. In Alice il viaggio coincide con il sogno o con più sogni, la pazzia è una costante che si ritrova in molti dei personaggi in cui Alice si imbatte, e Carroll riteneva che una delle sue manifestazioni fosse proprio il non saper distinguere fra sogno e realtà. Non stupisce dunque scoprire in questa (mancata) distinzione uno dei fili conduttori delle avventure di Alice. Nel primo libro i due aspetti sono mantenuti nettamente separati: alla fine Alice si risveglia, scopre di aver sognato e racconta il sogno alla sorella, anche se immediatamente questa si addormenta a sua volta e sogna Alice che sogna il suo sogno. Il nonsense che pervade le avventure di Alice è la vera condizione umana, e la ricerca del senso della vita è un’impresa impossibile.
Nell’analisi dei livelli di realtà delle due opere è importante evidenziare che fantasia e realtà non sono sempre “l'un contro l'altra armate”; realtà e non realtà sono come i due capi di un filo; allo stesso modo, molto spesso il narrare il vero è invenzione, ma altrettanto spesso il fantastico è una realtà anticipata o che è già stata.
Realtà e non realtà non sono termini assoluti e i rispettivi concetti si strutturano su più livelli; il tempo, lo spazio e il pensiero sono delle entità che interagiscono tra loro e rendono ciò che si considera in valori assoluti realtà diverse e parallele[14]. L’alterazione dimensionale, una malattia che può essere uno sbalzo cronologico, o la lontananza nello spazio o nel pensiero come in Flatlandia, provoca l’esistenza di realtà differenziate su livelli diversi, una struttura a terrazze che pone le sue fondamenta ogni volta su una differente realtà; l’importanza della variazione di tempo nel definire una realtà è data non solo dall’alternarsi delle stagioni, ma anche dallo scorrere del tempo, personale e collettivo, del ricordo e dell’oblio.
Il tempo e la memoria sono artefici crudeli di una esistenza vissuta per ricordare, in Funes, o della memoria[15] un meticoloso resoconto di particolari di vita che non è vita, in un mondo vertiginoso, sovraccarico di particolari, analitico e inutile in cui Funes è solo spettatore esterno, ma che non può abbandonare perché il sonno, come la morte, è annullamento delle dimensioni e della falsa realtà in cui egli si rifugia, e la dimensione del tempo può convivere con un altro tempo, quello ucronico della fantasia.
D’altra parte, la lunghissima narrazione di Marco Polo[16], il suo resoconto dettagliato di viaggi attraverso città che non hanno posto in nessun atlante, è una traslazione nello spazio, un tentativo di analizzare e nello stesso tempo di sintetizzare la realtà di luoghi considerati dai loro lati più oscuri, e, insieme, più affascinanti. La certezza che la realtà dei luoghi descritti sia tutta riassumibile in un unico spazio, Venezia, come la necessità di conoscere i segreti di questi luoghi invisibili, è un tentativo di estendere la mappa del grande impero mongolo e di renderla possibile, oltre che nello spazio, nel pensiero di Gengis Khan, dove queste città invisibili si assomigliano, si intrecciano, sono i particolari di un universo che li contiene tutti.
Flatlandia, racconto fantastico a più dimensioni, è opera matematica e intreccio di realtà e rappresentazione, gioco di forme e utopia politica, rivela la pluralità dimensionale e intellettuale di ogni situazione con una perifrasi geometrica che dà una lezione valida tutt'oggi.

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[1] E. A. ABBOTT, Flatland: a Romance of Many Dimensions, Seeley & Co., (1884); Penguin Books, London 1987.
[2] Cfr. E. WIND, Arte e Anarchia, Adelphi, Milano 1989.
[3] La storia della fortuna critica del racconto alla sua pubblicazione è ampiamente affrontata nella Introduzione di Davies all’edizione dell’opera pubblicata a Pasadena presso Grant Dahlstrom nel 1978; una rassegna delle recensioni dimostra la scarsa comprensione di cui fu oggetto l’opera, della quale non si comprendeva la simultaneità di rigore geometrico e l’individualità delle figure.
[4] T. BANCHOFF, From Flatland to Hypergraphics: Interacting with Higher Dimensions, in “Interdisciplinary Science Reviews”, vol. 15, n. 4, 1990, pp. 364-372.
[5] Euclide, Newton and Einstein, in “Nature”, 12 feb. 1920.
[6] Cfr. R. JANN, Abbott`s Flatland: Scientific Imagination and "Natural Christianity”, in “Victorian Studies”, Spring 1985.
[7] Cfr. E. WIND, Arte e Anarchia, cit.
[8] J. D. BARROW, Perché il mondo è matematico, Laterza, Bari 1992.
[9] V. PROPP, Morfologia della fiaba, Einaudi, Torino 1999.
[10] L. CARROLL, Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie, Feltrinelli, Milano 2002; Alice, introduzione e note di Martin Gardner, Longanesi 1971 (The Annotated Alice, Bramhall House Clarkson Potter, 1960).
[11] G. PEREC, Specie di Spazi, Bollati Boringhieri, Bologna 1985.
[12] Basti pensare alle strutture linguistiche della lingua araba.
[13] J. SWIFT, I viaggi di Gulliver, Einaudi, Torino 1963.
[14] Cfr. I. CALVINO, I livelli della realtà in letteratura. Saggi (1945-85), a cura di M. Barenghi, Milano 1995.
[15] J. L. BORGES, Finzioni, Einaudi, Torino 2000.
[16] I. CALVINO, Le città invisibili, Feltrinelli, Milano 1972.
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