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Immaginario, culture e identità artificiali.
The myth of Cyborgs

Barbara Henry

1. Premessa

I temi connessi alla distinzione tra vita naturale e vita artificiale, e al confine tra umano e non umano, attraversano da tempi immemorabili molti universi simbolici, non soltanto occidentali; tuttavia mai come oggi sono oggetto di difficile negoziazione tra i modi tradizionali e i modi contemporanei di concepirli. In questo saggio vengono reinterpretate alcune figurazioni antiche secondo linguaggi contemporanei, consueti per chi fruisce della cultura di massa globale. Compito principale è quello di mostrare le “trasmigrazioni” e i passaggi di tali figurazioni nell’immaginario contemporaneo, attraverso un repertorio, legato al concetto di creatura artificiale, che attraversa e collega varie epoche. In particolare, la configurazione presa in esame deriva da una delle fonti dell’Occidente moderno, la tradizione ebraica, e si ripresenta in alcune delle rappresentazioni identitarie che più ci sfidano nell’epoca presente quali persone, soggetti sociali, cittadini e cittadine delle società tecnologicamente avanzate. I precipitati contemporanei della figurazione antica della creatura artificiale sono i cyborgs, soggetti umanoidi in parte organici, in parte inorganici.
In condizioni di cambiamento costante, mutano non solo i contorni delle identità individuali e sociali, ma anche le operazioni simboliche in cui le modalità umane di stare al mondo vengono assimilate mentalmente da ciascun individuo. I cambiamenti sociali, politici, simbolici, includono non da ultimo il fatto che popolazioni provenienti da culture tradizionali, non solo antiche, ma anche culturalmente-simbolicamente competitive (in particolare, i paesi dell’estremo oriente), chiedano alle società occidentali non solo accesso in qualità di lavoratori ospiti, ma anche pieno riconoscimento in quanto competitori a pieno titolo sullo scenario globale. Ciò implica accreditamento e apprendimento delle relative forme di vita e dimensioni simboliche corrispondenti. Punto di partenza è la presa d’atto cognitiva ed etica che siffatta diversità sia strutturale per le nostre società. Soltanto di conseguenza è possibile riconoscere alle visioni simbolico-culturali di base il significato adeguato, di componente imprescindibile del senso di sé degli individui. Uomini e donne sono esseri umani, cittadini/e non da ultimo attraverso il filtro e le lenti culturali delle aggregazioni primarie in cui sono stati socializzati/e. In questo senso, l’intero percorso di questi ultimi anni, compiuto dagli studiosi/e di multiculturalismo, oltre ad essere stato una risposta alle sfide della coesistenza, ha configurato anche una specie di sfida alla conoscenza. Per sfida della conoscenza si intende la complessità e la messa in discussione di molti fattori disciplinari, entro le scienze che si occupano oggi del tema della convivenza e dell’interazione simbolica di gruppi differenti entro una medesima società, la cui dimensione è a geometria variabile, a seconda dei codici simbolici e dei costi di accesso, necessari ad apprendere i primi.
I simboli e le rappresentazioni sono sia strumenti sia oggetti della comunicazione e, potenzialmente, armi sottili, perché pervasivi ed efficaci nei più riposti recessi della sfere di costruzione del sé individuale e collettivo. A maggior ragione, sono rilevanti i simboli di presa più immediata, perché connessi alle emozioni di base, su cui si innestano, come forme rielaborative, i miti primari; la paura della morte e dell’annullamento, la speranza nella continuità/ripristino della vita. Entrambe le emozioni sono da intendersi sia nel significato individuale, sia in quello collettivo. Proprio per evitare di essenzializzare e nobilitare il passato primordiale, è necessario riconoscere e decostruire le strutture narrative mitiche (mitologemi) nelle letterature ed espressioni artistiche dell’immaginario contemporaneo. Ciò al fine di depotenziare i mitologemi dal punto di vista contenutistico, e di decifrarne invece l’intelaiatura simbolico-comunicativa, utile a capire le inquietudini, il malessere, le aspirazioni di molti milioni di abitanti del pianeta, qui e ora.
Si procederà ricorrendo alla lettura di trame aventi ispirazione e matrice analoghe, perché scaturenti da esperienze e sfide antropologiche non dissimili fra loro, nonostante le differenti sensibilità e differenti alvei culturali di origine. Tale operazione è necessaria non tanto per adeguarsi alle mode del presente, quanto all’esigenza di riflessione critica sui meccanismi simbolici, individuali e sociali, che pur sempre governano lo scarto fra gli orizzonti angusti dell’esistenza quotidiana e l’insopprimibile ricerca del senso. Le trame narrative mitiche e i modelli sottostanti sono dunque costrutti simbolici capaci di conferire intelligibilità a molti aspetti della vita individuale e sociale. Pertanto non devono venir demonizzati, e certamente non ignorati, né misconosciuti; semmai va rinegoziato il ruolo di essi quali elementi importanti per la società di massa globale. È un’esigenza urgente per le scienze sociali e filosofiche di ricominciare a leggere i segni del tempo, a reinterpretare con coraggio e inquietudine i linguaggi visivi, artistici, letterari dei nostri giorni, rifuggendo dalle gerarchie e dai purismi, accettando le contaminazioni fra generi (artistici, letterari, visivi) e rifiutando la supponenza che antepone la conoscenza della cultura alta ai saperi e pratiche della cultura bassa.

2. Golem e Cyborgs

Scopo dell’intrapresa è di mostrare il significato originario di un simbolo dell’identità ebraica e di connetterlo alle successive interpretazioni e traslazioni di esso in universi simbolici nuovi e diversi rispetto alla fonte originaria. Il termine a cui si rinvia è quello di Golem. Il termine ebraico, secondo il Salmo 139, al versetto 16, indica una massa o una materia informe. Per Moshe Idel[1], sulla scia di Gershom Scholem, sarebbe da interpretarsi quale forma corporea raffigurante un umanoide, incompleto nel senso in cui viene descritto dal salmista, allorché fa parlare Adamo in prima persona, nello stadio anteriore al momento in cui Dio avrebbe insufflato in tale forma il soffio vitale, conferendole sembianze e caratteri umani (demut). Lutero traduce il termine con il participio passato unbereitet, che significa “non approntato”. Pur essendo di origine biblica alto-testamentaria (Salmo 139, 16) e haggadica[2] (in primis Genesi rabbah VIII,1) il concetto è del pari gravido di significati e diramazioni molteplici eccedenti rispetto alla tradizione ebraica[3]. Di tali diramazioni, la più diffusa, eppur inesplorata rispetto alle tematiche identitarie, è quella che nel corso dei secoli ha traslato la figurazione del Golem dal contesto semantico delle raccolte di interpretazioni narrative e omiletiche degli episodi scritturali (Haggadah) per collocarlo nell’immaginario della contemporaneità attraverso la figura del cyborg. Quest’ultimo sostantivo rinvia[4] alla creazione umana di umanoidi artificiali, a struttura parzialmente organica, controllabili dall’esterno ma dotati di autonomia capace di accrescere nel tempo grazie a forme di apprendimento. Per compiere il raffronto è necessario effettuare in primis alcune incursioni in territori esegetici non di largo consumo, per ritornare con basi più solide e criticamente affinate ai temi della cultura contemporanea di massa.

3. Linguaggio biblico e figura golemica

Come già detto, l’ebraico è la lingua originaria dell’Antico Testamento, il luogo in cui si colloca in origine la figurazione del Golem, e da cui la Qabbalah/Kabbalah (letteralmente, tradizione) attinge innescando un lungo processo di trasposizione e di trasformazione dell’immagine e dei suoi significati. La Kabbalah è il filone di pensiero e di pratiche mistiche esoteriche interne all’ebraismo, in cui la figura prende una consistenza e una caratterizzazione specifica nei secoli successivi alla diaspora, dall’età volgare fino al XIX secolo.
Alle origini, vi è una connessione etimologica fra l’Adamo creato da Dio e la terra, concepita, secondo una metonimia, nella sua componente più vicina al tema della finitudine creaturale, ossia come polvere, sabbia. Infatti, Adamo, prima che sopraggiunga dal suo creatore supremo il perfezionamento spirituale che lo rende creatura animata e dotata di caratteri (intellettivi) compiutamente umani è Adamah – terra – Golem. Tale analogia è corroborata dagli autori della parte narrativa della letteratura rabbinica – Haggadah – che hanno interpretato per secoli la Bibbia in senso omiletico e metaforico, e fortemente innovativo rispetto ai contesti sociali e culturali coevi. Golem, si ricordi, è una parola che nella Bibbia compare una sola volta, nel Salmo 139, al versetto 16. È qui che le letture consolidate del Midrash[5] compiono la congiunzione fra aspetto umano (e paradigmatico!) e aspetto non umano, inorganico e materiale. È questo il passaggio più rilevante per tutti gli sviluppi successivi, sia kabbalistici-esoterici (medievali e rinascimentali) sia mediatici-essoterici (contemporanei), e per il fatto che la tradizione rabbinica abbia sempre attribuito questo Salmo, e quindi lo stadio golemico, allo stesso Adamo.
«Golem mi videro i tuoi occhi».
Golem indica l’informe, l’amorfo, ciò che è in uno stadio immaturo; addirittura, a seconda che lo si riferisca ad una radice non aramaica, designa l’embrione. In entrambi i sensi generali, è segno di ciò che è ancora privo di forma compiuta, di un conglomerato materiale indistinto, dai profili confusi. Il punto chiave è la convinzione che nello stadio iniziale della sua genesi Adamo, l’essere umano archetipico (maschio e femmina), perfetto perché nella fase in cui è ancora puro dal peccato, sia Golem.
La filosofia ebraica medievale usa Golem come termine ebraico in sostituzione di quello greco, hyle, per indicare la materia informe (shapeless matter) o non ancora compiutamente modellata; Golem è un grumo, un entità materiale dai tratti ancora opachi.
Questi due significati correlati di incompiutezza e di materialità ricompariranno, in parte, nelle trasmigrazioni successive, nelle quali riemergerà parallelamente l’aspetto delle sembianze (demut) umane di Adamo.
La più emblematica e famosa di tali trasposizioni, già molto tarda rispetto alle origini, e quindi particolarmente preziosa per congiungere il passato e la contemporaneità, è il romanzo Der Golem di Gustav Meyrink (1916); esso rinvia ad una specifica esperienza di cruda opacità della materia, che spinge non tanto verso l’utopia della smaterializzazione tout court, quanto alla critica, pur se in termini visionari e onirici, delle condizioni sociali e politiche che rendono i vincoli della necessità materiale un fardello ancor più insostenibile per determinati individui e gruppi.
Dal romanzo si evincono i due seguenti aspetti; al primo livello, il Golem è chiamato a rappresentare l’anima, che assomma in sé l’esperienza di paura e di oppressione riprodotta dai vecchi edifici del ghetto, dipinti con fattezze umanoidi nella maggior parte dell’iconografia. Con particolare evidenza, ciò emerge nella trasposizione più omnipervasiva, quella cinematografica, che è successiva al romanzo[6]. Al secondo livello, il Golem di Meyrink è libertà dalla materia, da cui pur proviene. Configurandosi quale mito della libertà dai vincoli organici, e con essi da tutte le costrizioni, può venir interpretato come il corpo etereo degli occultisti e dei mistici operatori di meraviglie.
Per comprendere le affermazioni precedenti, fortemente intrise di sapienza rabbinica e consuetudine religiosa popolare ebraica, va fornito un ulteriore elemento, che rende coerente con la prospettiva del riscatto e della liberazione l’immagine del Golem e i suoi corollari – l’incompiutezza, il vincolo materiale, la combinazione fra umano e non umano. In ebraico, la parola ebraica ot non significa soltanto “lettera” ma anche “segno”, e “segnatura”. Al plurale la forma otot indica i “segni” divini, nel senso di “prodigi”, “segni miracolosi”; addirittura in certe interpretazioni di tipo etimologico, le lettere sono i segni che provengono dalle loro cause, cioè dalle radici delle cose a cui esse rinviano.
Il plurale otiyyot inoltre poteva esser inteso nel senso di “ciò che viene”, tutto ciò che, pur essendo calato nel presente, già rinviava alla dimensione del futuro, con forti analogie con l’idea kantiana dei signa prognostica, idea formulata nello Scritto sul progresso e debitrice, in una traduzione laica, del lessico e della simbologia biblica di origine[7].
Oltre a ciò, e come ulteriore elemento distintivo, si consideri che nell'immaginario e nella più radicata consapevolezza religiosa ebraica, linguaggio divino e potere creativo si corrispondono perfettamente; per inciso, in ciò sta la più massiccia influenza sulle correnti della tradizione alchemica ed esoterica interna al cristianesimo.
Dunque, i segni sono impronte che modellano e formano la realtà a loro immagine. Il Golem è costruito e reso vitale dal corretto uso delle lettere (ot) del nome divino. Le lettere, ot, e i segni prognostici, ottyyot, si evocano e si provocano a vicenda; il tempo presente non è escluso da tali dinamiche, se ciò che vien definito dalla letteratura il prisma simbolico globale non fa che amplificare le rifrazioni, le scomposizioni, le fusioni di immagini e idee.

4. Umanoidi artificiali e tempo presente

Non dobbiamo cedere ad una pericolosa tentazione; quella di esaurire immediatamente la discussione, assimilando fra loro le diverse e multiformi fattispecie di esseri umanoidi non nati da donna (Statua parlante, Golem, Giocatore di scacchi, Cyborg), tramite l’espediente di ricondurre la variegata tipologia delle forme di vita antropomorfica e artificiale alla “mera” fabbricazione di automi: il robot indica soltanto la macchina che ci esonera dalla fatica del lavoro manuale (“lavorare”, in ceco roboti). Molto riduttivo e semplificatorio sarebbe annichilire la sapienza e pratica magico-scientifica di secoli, riducendola al solo caso dei robot mono o polifunzionali di cui si fa già ampio e consueto uso, ma emblematicamente, in un altro luogo, simbolico e geografico; ciò avviene in uno degli Orienti più culturalmente favorevoli all’applicazione delle creature artificiali nelle dimensioni quotidiane, sanitarie e lavorative, come si vede negli esempi di vita vissuta tratti dai laboratori, dalle fabbriche, dalle dimore giapponesi. Si farebbe per altri versi un torto enorme alla specificità e ricchezza della concezione che il popolo giapponese ha sviluppato dai primordi della sua storia sul rapporto fra materia animata e inanimata, la stessa che tuttora innerva e solo rende comprensibile la soluzione fornita dal Giappone ai problemi dell’automazione dei processi sociali e lavorativi[8].
Faremmo un errore altrettanto grave se ritenessimo che la figurazione golemica appartenga unicamente alle letterature fantastica e fantascientifica sugli esseri artificiali, fattore che da solo motiverebbe peraltro la piena legittimità dell’interesse degli studiosi/e; per la sua capacità di interazione empatica, di apprendimento, di ricettività rispetto agli influssi esterni, il Golem segna una differenza importante rispetto alla mera tradizione degli automata, costituendo per converso i cyborgs il genere di antropoidi che non sono né totalmente organici né totalmente meccanici (più precisamente, meccatronici). Essi sono situati su una linea continua; ai due estremi si possono trovare, da un lato, il grado massimo di dominanza dei tessuti viventi, con solo limitati inserti (protesici) elettronici e bio-meccanici, dall’altro il grado minimo di componente organica. Nel primo caso si parla di soggetti bionici, mentre solo nel secondo si ha a che fare propriamente con i cyborgs. In quest’ultima fattispecie, i dispositivi di attivazione e controllo, quanto le componenti della struttura, sono quasi totalmente elettronici e meccanici (meccatronici), mentre gli aspetti biologici e neurofiosiologici hanno un ruolo residuale. A ben vedere, tale connubio fra organico e inorganico ha riscontri e radici ben visibili in discussioni socialmente e culturalmente accreditate, dipanatesi nel passato di uno degli Occidenti, prima e indipendentemente da Mary Shelley e delle inquietudini gotiche del romanticismo byroniano. La filmografia dell’espressionismo tedesco, erede della sensibilità della letteratura gotica, ha piuttosto amplificato e trasposto nella contemporaneità il mito golemico e le ambiguità della figura, già carica di un ben più remoto passato[9].
Dopo un articolato percorso attraverso i meandri della ricezione esoterica e magica nell’alto medioevo e nella prima età moderna, in cui la sapienza ebraica si intreccia e si contamina principalmente con quella cristiana, i dettami e i precetti tardo-antichi tramandati per creare (simbolicamente o meno) esseri animati artificiali cambiano volto già all’interno di una parte delle culture ebraiche della diaspora europea. Il Golem diviene la rappresentazione del bisogno di difesa di un popolo immerso in contesti culturali e nazionali minacciosi, come le saghe del ghetto di Praga seicentesco ci narrano; da allora in avanti, il Golem muta ancora. È inglobato in una ricezione che ne percepisce altri tratti, che lo estrania dal suo contesto e ne rende autonomo il potenziale rappresentativo, incrociandolo con temi che non sono esclusivamente propri dell’alveo culturale dal quale esso pur proviene. Questi temi sono: la vita artificiale; la moltiplicazione della potenza umana attraverso una creatura che incorpora un sapere magico esoterico; l’incarnazione della volontà di difesa e di protezione; la difficoltà di controllare ciò che l’essere umano ha creato.
Tutto ciò va inteso sempre alla luce della differenza principale tra tradizione ebraica e tradizione cristiana rispetto alla considerazione del valore morale e al significato conoscitivo attribuito alla creazione umana di creature artificiali: ciò lo si può sostenere nonostante i legami sottili e duraturi fra i diversi filoni interconfessionali della cultura mistico-magica kabbalistica. È noto che è esistita anche una Kabbalah cristiana. Incorrendo pertanto in semplificazioni, si può dire che per la tradizione esoterica ebraica, che non è mai stata apertamente sconfessata dalla cultura rabbinica, l’intento, i mezzi, i fini siano strutturalmente positivi; per converso, sono minacciosi e potenzialmente malefici per la tradizione cristiana “ufficiale”, come anche il mito cristiano di Faust indica chiaramente. Nell’immaginario ebraico, per converso, il Golem è considerato uno strumento “neutrale” di potenziamento della facoltà umane, e per tanto è assunto quale figura che incorpora al tempo stesso l’isolamento e il bisogno di protezione identitaria, di un gruppo così come l’universalità di pulsioni e preoccupazioni moderne, più generali e transculturali. La dialettica fra particolarismo e universalismo deve esser tenuta presente con particolare attenzione.
Il percorso di ricerche sull’iconografia contemporanea, se decifrata nel senso ebraico-kabbalistico, delinea i contorni di creature artificiali umanoidi create secondo i dettami della parola di Dio, e non contro di essa. Poco importa in questa sede che la storia del Golem sia un procedimento retorico per assurdo, o una invenzione allegorica a fini omiletici, o un mito di resistenza contro i nemici. In ogni caso, dal punto di vista dello schema narrativo (mitologema), la caratteristica positiva del mezzo straordinario di produzione della creatura artificiale (fermo restando la verifica degli effetti empirici di esso, qualora l’artefice umano commetta errori) deriva dall’eccezionalità della posizione del popolo eletto rispetto a Dio. «Ciò che noi israeliti compiamo è miracoloso e buono, ciò che voi pagani fate è magia e cattivo». Il confronto fra Mosé e Aronne e i maghi del faraone è emblematico. In ciò risiede il lato del particolarismo, mentre il lato potenzialmente universalistico sta nel valore positivo, perché emulativo del creatore, attribuito alla capacità poietica e mimetica dell’artefice umano. La fonte del potere è dirimente: qualora la scaturigine del potere di compiere atti straordinari, e il riferimento normativo di essi, sia il vero Dio, allora si tratta di un miracolo, di un atto straordinario conforme ad una buona volontà, che si rispecchia in quella divina.
Sono necessarie due considerazioni: da un lato, se si è capaci di usare il potere divino, si è per definizione pii, giusti, sapienti. Dall’altro, è propriamente la condotta esemplare di una siffatta figura ciò che concede ad essa di attingere a tali poteri divini e a metterli in atto. La creazione di un Golem implica certamente una conoscenza specifica e tecnicamente dettagliata delle complesse modalità di combinazione del nome di Dio, al fine di riprodurre il processo creativo di un umanoide, simile in misura dimidiata alle sembianze di Adamo; ma tali nozioni, per esser efficaci, devono esser patrimonio di una personalità religiosa, pia, proba e giusta, devota ai precetti e, soprattutto disinteressata e pura di cuore, l’unica che può ottenere l’effetto sperato. Tutto ciò legittima l’inserimento di tali pratiche esoteriche nella categoria di quegli eventi straordinari giusti e benedetti dalla divinità delle tre religioni monoteistiche, definibili come miracoli; tuttavia, tali fenomeni mostrano alcune analogie con l’ambito del meraviglioso che, secondo Le Goff, copre eventi eccedenti la vita ordinaria, derivanti da visioni mitiche pre-ebraiche, pre-cristiane e comunque irriducibili a tali matrici. Tale ambito racchiude la gamma di fenomeni eccezionali legati a entità o forze sovrannaturali di diverso ordine, grado, natura. La creatura artificiale, il Golem, è una di queste entità, collocabile nell’intersezione fra meraviglioso e miracoloso. Ciò che si vuol mostrare, spogliando tale figura dalle ascendenze più direttamente mistiche e religiose, è la possibilità di rintracciare, sempre entro l’Occidente, un modo di decifrare nel senso della piena legittimità le trasformazioni tecnologiche che spostano i confini dell’identità umana oltre il suo consueto alveo. Narrare e prescrivere la costruzione di un Golem non costituisce né un atto di blasfemia né di tracotanza, ma piuttosto un atto di somma pietà religiosa e di probità morale. Tale linea interpretativa dovrebbe mostrare, accanto alle rotture, una ben chiara linea di continuità e prolungare il tema del Golem verso temi affini, come quello del cyborg (e del soggetto bionico), che designa connubi e contaminazioni dell’umano con il non-umano, a fini benefici, di riabilitazione, di sostegno, di riqualificazione della vita.
Gli sviluppi del tema, come si è visto per cenni, sono in immediata relazione con momenti della storia del popolo ebraico, ma non di meno rappresentano aspetti simbolici legati all’identità umana, sia pre-moderna sia moderna (nella sua configurazione occidentale); tale categoria è stata influenzata dalla connotazione “demiurgica” che la visione veterotestamentaria ebraica attribuisce alle procedure attuative dei precetti del creatore da parte della creatura umana, oltre che da quella, pur sempre positivamente connotata, della tradizione greca e romana. In tale dimensione, apparentemente oggettiva, svolgono un ruolo fondamentale le visioni del mondo, relative al rapporto fra natura e artificio, fra materialità e spiritualità, fra umano e non umano. Pertanto è un’esigenza urgente per scienziati, oltre che per politici, cittadini/e, quella di imparare di nuovo a riconoscere, e a decifrare i segni del tempo.
Lo si fa rifiutandosi di anteporre la conoscenza della cultura alta ai saperi e alle pratiche della cultura bassa. Ormai i più grandi musei del mondo, come il Metropolitan Museum di New York, ospitano nella sezione dedicata ai tesori dell’antichità le mostre che contaminano, attraverso il passaggio realizzato dalla Pop Art, alcune immagini mitiche, colte nelle loro più complesse versioni iconografiche, con la cultura figurativa dei Comics e dei Manga, la quale è un crogiuolo fra visioni occidentali e orientali. La storia degli effetti, di cui parla l’ermeneutica, rispetto alle stratificazioni e alle ricostruzione simbolica dei passati, costituisce tuttora il nostro immaginario contemporaneo in cui molteplici orizzonti di senso già si fondono in combinazioni inedite e traslazioni di significati, che migrano tra emisferi, culture, epoche diverse.
Non siamo inseriti in un futuro senza passato, giacché non possiamo prescindere dalla corporeità e dalla materialità, simbolicamente mediata e trasposta, che è tipica delle identità di esseri finiti; tuttavia, se tale condizione è portatrice di indicazioni forti, non è predeterminata negli esiti. Stiamo dentro una o più «tradizioni nascoste» (Arendt), tradizioni sotterranee e pervasive, ma potenzialmente imprevedibili negli sviluppi. Non siamo funghi post-moderni, che hanno tagliato le radici con ciò che li ha fatti nascere: ciò è vero soprattutto per la memoria simbolica, che è sì rielaborata da noi, ma del pari influente in quanto produce effetti eccedenti rispetto alle nostre capacità previsionali e immaginative.

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[1] M. IDEL, Golem. Jewish Magical and Mystical Traditions on the Artificial Anthropoid, State University of New York Press, Albany (N.Y.) 1990; tr. it., Il Golem. L'antropoide artificiale nelle tradizioni magiche e mistiche dell'ebraismo, Einaudi, Torino 2006.
[2] Aggettivo riferentesi a raccolte di commenti rabbinici della Torah, aventi struttura narrativa e intento edificante; tali sillogi sono state progressivamente fissate in strutture testuali, dopo l’iniziale fase di trasmissione orale, già a partire dal II secolo dell’era volgare (Cfr. G. BUSI, Simboli del pensiero ebraico, Einaudi, Torino 1988, pp. VIII-IX). Tuttavia, ad onor del vero, secondo la spiegazione o esegesi rabbinica della Bibbia, esiste una categoria ancor più generale ed inclusiva: il Midrash (dal verbo darash, domandare, cercare). Questo nome indica un insieme sia di testi interpretativi delle Scritture sia di metodi per interpretarle, in cui il comprendere e lo spiegare coesistono, senza precludere l’impiego di ulteriori prospettive di analisi e di lettura, come la filologia, la lettura analogica e metaforica e così via. La distinzione fondamentale, quella che passa attraverso il Midrash, è fra esegesi halakica, cioè vincolante in campo giuridico-religioso, ed esegesi haggadica, indicante la spiegazione religiosa omiletica ed edificante; quest’ultima è più libera, obbedisce a esigenze retoriche e, pur essendo legata alle catene delle precedenti “letture” dei versetti esaminati, è molto più sensibile alla sensibilità e ai problemi del tempo in cui nasce, ad esempio assumendo sovente caratteri apologetici, polemici, didascalici e così via. Si veda G. STEMBERGER, Midrash. Vom Umgang der Rabbinen mit der Bibel. Einführung-Text-Erläuterung, Beck, München 1988.
[3] Modi di citazione del Midraš rabbah: sarà indicato il titolo del libro biblico commentato seguito dal termine rabbah e dal riferimento alla sezione e al paragrafo. In particolare sarà citata la seguente edizione: Genesi, a cura di J. Theodor e Ch. Albeck, Berlin-Jerusalem, 1903-1936.
[4] Solo per l’aggettivo cyber, che è l’abbreviazione di “cibernetico” scatta anche il rinvio immediato alla spazialità virtuale di internet, e alla letteratura e alla filmografia riconducibile al movimento del Cyberpunk.
[5] L’insieme di testi interpretativi delle Scritture e di metodi per interpretarle, in cui il comprendere e lo spiegare coesistono. Si veda, sopra, nota 3.
[6] Si rinvia all’immagine in appendice.
[7] G. SCHOLEM, Il Nome di Dio e la teoria cabbalistica del linguaggio, Adelphi, Milano 1988.
[8] Si consideri l’amplissimo contributo interdisciplinare di Takanischi Atsuo, responsabile del laboratorio di Robotica presso l’Humanoid Robotics Institute della Waseda University, in particolare la conferenza Humanoid Robots as Tools for Scientific Study of the Human Behavior, tenuta al College de France, il 27 febbraio 2008 rinvenibile, fra altri materiali, in http://www.takanishi.mech.waseda.ac.jp/top/index.htm.
[9] Richiamare l’ingentissimo materiale iconografico, letterario e documentario relativo alla tradizione letteraria e filmica del Golem nell’età contemporanea presuppone di necessità un film fondamentale per il filone espressionista e per la storia del cinema in genere: Il Golem (Der Golem. Wie er in die Welt kam) di Paul Wegener, che ne fu regista e protagonista (cfr. la locandina del film riportata in appendice). La pellicola è stata recentemente restaurata, distribuita e resa disponibile anche in Italia. Il materiale a cui si allude è vastissimo, consiste di immagini e testi che illustrano la tradizione del Golem e le sue ripetute riprese in chiave popolare: dai romanzi e dalle trasposizioni teatrali ai fumetti, (Marvel, 1964, Hulk against Golem, Bonelli, Dylan Dog, Killer!), dalle divulgazioni in favole per bambini dei racconti tradizionali ebraici alla saggistica, ai siti web, ai giochi di ruolo, ai gadgets.
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