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Paure, sicurezza e media: tra percezione e realtà

Fabio Gavelli
1. Premessa
 
«Di fronte alla complessità la sinistra reagisce da sempre con la pretesa di spiegarla in scala 1 a 1, cadendo in un pozzo borgesiano. La destra reagisce tentando di semplificarla. È Noam Chomsky contro Ronald Reagan: non c’è partita». La battuta di Gabriele Romagnoli[1] introduce bene il rapporto fra paure, sicurezza e media. Se il linguaggio è la base della comunicazione, è indispensabile come primo passo partire dalla tendenza in atto nel linguaggio pubblico: l’eccessiva semplificazione. Esempi lampanti sono le prime pagine dei quotidiani schierati a destra, dove non solo i titoli ma gli stessi editoriali prendono a prestito terminologie sportive o belliche per liquidare in maniera aggressiva episodi perlomeno controversi. Man mano che le nostre società si fanno più complesse e strutturate e che si impongono sforzi di approfondimento, si assiste prepotentemente alla prevalenza dello slogan o addirittura del payoff, nel gergo dei pubblicitari la chiosa dello spot.
Non è affatto un caso. «L’elettorato del centrodestra si caratterizza per la ricerca di messaggi più semplici e per una minore dimestichezza con le forme più attive della ricerca di informazioni», si legge nel saggio dell’Italian National Elections Studies pubblicato dal Mulino all’indomani delle elezioni politiche del 2001[2]. Nella stessa ricerca si ritiene che il partito di Berlusconi abbia ricevuto un contributo che numericamente può essere risultato decisivo «dalle casalinghe che hanno un’informazione politica molto scarsa e che non leggono i giornali».
 
 
2. Albanesi e Broker
 
L’eccessiva semplificazione permette accostamenti che sui media hanno fatto breccia. Clandestino=criminale, presenza di stranieri=quartiere degradato, lavoratore pubblico=fannullone, sono solo alcuni dei numerosi esempi di etichette che hanno lo scopo di indirizzare l’attenzione sulle presunte cause delle insicurezze o delle inefficienze burocratiche. E dire che mai come ora le origini delle ansietà appaiono poco chiare: «A differenza delle paure del passato, le paure contemporanee sono aspecifiche, disancorate, elusive, fluttuanti e mutevoli: difficili da identificare e localizzare esattamente», sostiene Zygmunt Bauman[3].
Colpevoli in carne e ossa o fantasmi sfuggenti? In altri termini: percezione o realtà? Si spalanca una divaricazione che assume le forme di uno strabismo di massa. Prendiamo il caso dei crac finanziari scoppiati negli ultimi anni che hanno portato un depauperamento dei risparmi di migliaia di cittadini. I responsabili possono essere individuati in una classe manageriale che nella migliore delle ipotesi ha corso altissimi rischi coi denari altrui e negli organi di vigilanza, distratti se non collusi. Soggetti troppo lontani, culturalmente e fisicamente, dalla gente truffata e beffata.
I broker e i tycoon sono immagini letterarie o cinematografiche, l’albanese si incontra per la strada. Dai primi il pensionato che aveva le azioni Parmalat o le obbligazioni Lehman è già stato depredato di decine di migliaia di euro, il secondo può essere solo una figura che stona con le abitudini di una vita. Ma l’albanese – questa la percezione trasmessa e reiterata – è l’invasore sulla porta di casa, il pescecane dell’alta finanza si dilegua negli abissi dell’oceano globale.
 
 
3. L’invasione degli “Italieni”
 
Il cittadino comune che non vuole essere schiacciato da un senso di impotenza e dalla frustrazione “se la deve prendere” con soggetti a lui prossimi. È il meccanismo del capro espiatorio, descritto da vari studiosi, tra i quali Étienne Balibar[4]. Su questo processo si inserisce il ruolo dei media, pronti a segnalare fin dalla titolazione la provenienza geografica o etnica del (supposto) autore di un reato. L’enfasi posta dai telegiornali sugli episodi criminosi che hanno visto protagonisti i migranti lascia intendere che si è affermato un cortocircuito. I cittadini sono impauriti, gli operatori dei media ritengono che ogni notizia che concerne l’ordine pubblico sia di massima rilevanza, gli spettatori ricevono la conferma che i loro timori sono fondati. Dall’ascolto dei notiziari e la lettura dei quotidiani si ricava spesso l’impressione che l’Italia, tutta intera, viva in un’atmosfera di perenne tensione come nei film ambientati fra i sobborghi delle metropoli americane. Il Belpaese come il Bronx. Una rappresentazione talmente distorta – soprattutto se riferita ad alcune aree come l’Emilia-Romagna[5], la Toscana, l’Umbria, le Marche, il centro-Italia in generale – che suscita l’incredulità da parte dei corrispondenti della stampa estera in Italia. Molto istruttiva in tal senso è la lettura della rubrica “Italieni” proposta dal settimanale Internazionale. Il leit motiv di questi interventi, da parte dei corrispondenti in Italia che scrivono per la stampa estera, sia progressista sia conservatrice, è l’abisso fra il paese reale e l’immagine che ne viene proposta soprattutto dal sistema dei media, televisione in primis. Una lettura forzata, caricaturale, lontana dai problemi quotidiani e appiattita sulle battaglie dei partiti che dettano l’agenda politica.
A questo primo cortocircuito se ne aggiunge un secondo. Tutte le analisi sui flussi elettorali concordano che l’ossessione sicuritaria è più alta nell’elettorato di destra. Il risultato è il paradosso efficacemente svelato da Nadia Urbinati quando scrive che «vivendo della insicurezza lo Stato sarà naturalmente portato ad alimentare la percezione della insicurezza. Esso ha bisogno di cittadini impauriti per essere legittimato nel proprio ruolo»[6]. La conferma giunge a ogni consultazione: i moderni monatti del virus della paura incassano un decisivo dividendo elettorale. Il meccanismo si autoalimenta.
Il risultato è la fotografia scattata dall’Istat nel rapporto annuale presentato nel maggio scorso. Nel 2007 il 34,6% delle famiglie italiane sosteneva di abitare in una zona «molto» o «abbastanza» a rischio criminalità; era il 27,4% nel 2006. Gli stessi ricercatori rilevano che nello stesso arco di tempo molte tipologie di reato, come i furti, sono diminuiti e ne deducono che il senso di insicurezza «più che dalla gravità dei reati dipende dalla loro diffusione e visibilità».
In tale contesto finisce per passare quasi inosservata la recente ricerca di uno degli studiosi più seri di tali fenomeni, il sociologo Marzio Barbagli. Il fatto che per le rapine negli uffici postali il maggior numero di stranieri denunciati sia di nazionalità irlandese e tedesca, nella gerarchia delle notizie del giornalismo classico, sarebbe da prima pagina. Al contrario, la presentazione del volume Immigrazione e sicurezza[7] è stata trattata dai media con basso profilo. Nelle redazioni si ritiene ormai impossibile scalfire l'immagine diffusa fra la gente che tali colpi siano appannaggio di albanesi, slavi e marocchini, pure autori di crimini in forma crescente, ma certo non i “monopolisti” delle deviazioni.
 
 
4. La politica del reality show
 
Sul piano dell’azione di governo, la scelta delle soluzioni appare del tutto conseguente alla semplificazione in corso. Il 60% degli italiani vede con favore le ronde, il 75% chiede di sgomberare i campi nomadi, il 90% auspica una maggiore presenza di poliziotti nel quartiere, sostiene una rilevazione Demos-Coop del giugno scorso[8]. Gli stranieri, gli extracomunitari, i clandestini, i rom: la richiesta di sicurezza prevede che si appiccichi una targa sui gruppi da cui ci si sente minacciati. Pugno di ferro allora con i migranti, guanto di velluto verso gli ultras – tutti italiani – degli stadi, che non fanno parte degli “altri”. Ma se i bersagli sono fin troppo esposti, è interessante levare la maschera ai soggetti che più di altri invocano la «tolleranza zero»[9]. Già nella succitata indagine Demos-Coop si mette in luce che la percentuale di persone favorevoli alle ronde cresce di pari passo col numero di ore giornaliere di esposizione televisiva: si supera il 72% fra quanti stanno di fronte al video più di 4 ore. Varie ricerche hanno individuato una corrispondenza diretta fra le persone di più bassa scolarità e che hanno la tv come unica fonte di informazione e la richiesta di maggiore sicurezza. Più sono spaventati, meno hanno strumenti per capire cosa accade, più chiedono protezione.
L’anomalia italiana nel panorama dei media è stata oggetto di una pletora di studi, ricerche, saggi e articoli[10]. La concentrazione di reti televisive, stampa e pubblicità, nelle mani dell’attuale presidente del consiglio non ha eguali nel mondo occidentale. È stato uno degli argomenti principali della discussa copertina dell’Economist «Perché Berlusconi è inadatto a governare l’Italia» (aprile 2001, giudizio ribadito quest’anno). Poco prima delle ultime elezioni politiche, la rivista Internazionale ha chiesto a cinquanta corrispondenti stranieri come vedevano la sfida fra Veltroni e il Cavaliere. Di qualunque tendenza fossero i media per cui scrivevano, i giornalisti hanno rilevato nella stragrande maggioranza come lo squilibrio delle forze in campo, in termine di volume di fuoco comunicativo, fosse davvero impari. Un’anomalia difficile da spiegare oltre frontiera. «Perché mai gli italiani votano un personaggio che il resto del mondo considera uno show man? È assolutamente inspiegabile per i miei telespettatori», ha dichiarato Dimitri Deliolanes[11] della rete greca Ert.
Il binomio televisione-pubblicità non è un mercato qualsiasi, è una vera e propria «fabbrica dei desideri», come nota Alessandro Amadori[12]. Dei desideri, occorre aggiungere, e delle paure: in un incessante alternarsi di bastone e carota che imbriglia quanti non accedono ad altre fonti di informazioni. I meccanismi comunicativi del fondatore della Fininvest sono presi a prestito dalla pubblicità: insistono su messaggi brevi e semplici, ripetuti all’infinito e sono rivolti a screditare o a criminalizzare gli avversari. Tecniche che sono maneggiate con sempre maggior perizia dal personale politico della destra, da quando Berlusconi ha offerto corsi di comunicazione a deputati e senatori della sua parte.
In occasione dei movimenti di protesta contro la riforma della scuola, si è ripetuto uno dei numerosi schemi propri del Cavaliere. Il 22 ottobre ha sostenuto che contro le occupazioni di scuole e università avrebbe ordinato l’intervento delle forze dell’ordine, il giorno seguente ha sostenuto di non aver mai pensato che la polizia debba entrare nelle scuole.
Affondo e ripiegamento. Si saggia l’effetto sull’opinione pubblica di un’azione autoritaria e se le condizioni non sembrano ancora adatte, si fa marcia indietro accusando i giornalisti di aver travisato le dichiarazioni o di remare contro.
Sottovalutare il potere di tali strumenti è un grave errore. «Bisognerebbe finirla di dire che quelle di Berlusconi sono trovate da telenovela» – ammonisce Amadori – «Sono trovate che agiscono sui processi profondi dell’essere umano».
Altro esempio, la manifestazione del Partito Democratico del 25 ottobre, a Roma, sottoposta a un attacco preventivo nei giorni precedenti, seguendo un altro modulo visto in azione più volte: “noi”, la grande maggioranza degli italiani, i buoni, al lavoro o a casa; “loro”, i cattivi, una piccola minoranza, a strepitare nelle piazze.
I media spingono sui tasti dell’insicurezza, confortati dai sondaggi e dalla percezione generale: in tali circostanze accade spesso che siano enfatizzati gli episodi violenti di cui sono attori i migranti. Si crea dunque un clima ben disposto a provvedimenti sbrigativi e liberticidi, indirizzati contro la società degli esclusi. Si può così accusare di accondiscendenza con i criminali i gruppi, le associazioni culturali e i partiti politici che si oppongono a tali misure. L’istituzione paternalista deresponsabilizza i cittadini (“noi”) che si sentono sempre più autorizzati a comportamenti incivili, tanto la colpa è del milione di fannulloni (gli “altri”). Edmondo Berselli ha coniato il termine «politica-format»[13] spiegando il fenomeno in corso: «Per il ministro Brunetta la popolazione si divide in due parti: da un lato 60 milioni di italiani per bene, contrapposti a un milione di farabutti, lavativi, buoni a niente, sabotatori». Un modello vincente, perché «da un lato rassicura dall’altro esorcizza». I problemi sono semplici e il governo con un colpo di spugna li risolve.
L’azione del governo si propone decisionista, pronta e radicale, in ottemperanza alla semplificazione comunicativa. Esiste un’emergenza clandestini? Ecco il “pacchetto sicurezza”. I rom rubano e si fanno scudo del loro nomadismo? Schedature e impronte digitali. “Fatto!” si concludevano gli spot elettorali del precedente governo di centrodestra. Per giudicare un’azione di governo, locale o nazionale, occorre leggersi i programmi elettorali, valutare delibere e leggi e verificare ex post la coerenza fra quanto dichiarato e quanto attuato. Solo una sparuta minoranza degli elettori si sobbarca tale lavoro, la stragrande maggioranza si forma un’idea sulla base di “impressioni”, ricavate perlopiù dal mezzo televisivo. Il 17 ottobre l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha richiamato i telegiornali delle tv pubbliche per la soverchiante presenza di esponenti del governo o della maggioranza, il giorno successivo il Financial Times ha spazzato via le sorprese sollevate anche da sinistra sull’alto indice di gradimento del governo, indicato dai sondaggi: «In tutto il mondo le banche sono in caduta libera, ma la crisi globale sembra favorire il presidente del consiglio italiano Silvio Berlusconi. I mezzi di informazione gli riservano lodi degne della stampa nordcoreana e il suo governo ha raggiunto una popolarità mai vista».
 
 
5. Conclusioni
 
L’agenda politica italiana è dettata dalla destra. Nella maggior parte dei talk show televisivi la scaletta verte sui temi cari ai conservatori e l’impostazione stessa del confronto è convogliato verso schemi favorevoli ai loro messaggi. Ma non si può ritenere all’origine di tutto il conflitto di interessi che pure è un macigno sulla democrazia italiana. Il grande vantaggio comunicativo acquisito dalla destra consiste nell’aver definito un insieme di valori e scelte comuni – nel caso della sicurezza: retorica dell’invasione, equivalenza clandestino-criminale, risposta autoritaria e di sostenerli in maniera compatta davanti al pubblico. La sinistra pare non aver compreso la lezione di George Lakoff[14]. Non ha un complesso di valori comuni e si divide su tutto. Sull’ordine pubblico basti pensare al distacco fra i programmi elettorali dei Ds prima e del Pd poi e le delibere assunte da Cofferati a Bologna (nella vicenda dello sgombero dei rumeni, ottobre 2005) e da Domenici a Firenze (il caso dei lavavetri). Il pensiero della sinistra risulta ondivago, confuso, troppo complicato, incoerente. I suoi politici incappano nell’errore più grave descritto da Lakoff: inseguire la destra sul suo terreno. Imitarla, scopiazzarla. Una strategia perdente, senza appelli.
E dire che sparsi nel territorio italiano esistono molti progetti, iniziative e idee per affrontare la questione dell’integrazione dei migranti in modo positivo. Esperienze e buone pratiche costruite da amministrazioni, cooperative, gruppi culturali[15]. Però non si conoscono, non fanno audience, non “bucano” lo schermo. I media perlopiù ignorano le buone pratiche di cittadinanza, talvolta le liquidano come azioni da boy scout, ne rilevano gli aspetti caritatevoli più che sociali e culturali, in alcuni casi le relegano nell’angolo del folclore. Un’opinione pubblica bersagliata da messaggi ansiogeni potrebbe trovare in tali racconti motivi di riscatto, speranza e orgoglio. Speranze riposte viceversa in lotterie, concorsi a premi e di bellezza.
 
 
Riferimenti bibliografici
 
- G. ALTAMORE, I padroni delle notizie, Bruno Mondadori, Milano 2006.
- A. AMADORI., Mi consenta, Scheiwiller, Milano 2002.
- AA.VV., La società delle paure. Fare comunità nella diaspora, “Vita non profit ma- gazine”, Milano 2005.
- Z. BAUMAN, prefazione a L. DONSKISS, Amore per l’odio. La produzione del male nelle società di moderne, Erickson, Trento 2008.
- M. BARBAGLI, Immigrazione e sicurezza, il Mulino, Bologna 2008.
- E. BERSELLI, Quando la politica diventa un format, «La Repubblica», 18 settembre 2008.
- D. DELIOLANES, in Italieni, la sfida fra Berlusconi e Veltroni, “Internazionale”, n. 739, aprile 2008.
- I. DIAMANTI, Paure d’Italia, “La Repubblica”, 9 giugno 2008.
- G. LAKOFF, Non pensare all’elefante!, Fusi Orari, Roma 2006.
- ITANES, Perché ha vinto il centro-destra, il Mulino, Bologna 2001.
- S. PALIDDA, Polizia postmoderna. Etnografia del nuovo controllo sociale, Feltrinelli, Milano 2000.
- G. ROMAGNOLI, Destra: come ha messo in crisi la sinistra, “La Repubblica”, 13 maggio 2008.
- N. URBINATI, Se i governi alimentano le paure dei cittadini, “La Repubblica”, 8 ottobre 2008.

E-mail:

[1] G. ROMAGNOLI, Destra: come ha messo in crisi la sinistra, in “La Repubblica”, 13 maggio 2008, p. 41.
[2] ITANES, Perché ha vinto il centro-destra, Bologna, il Mulino, 2001.
[3] Z. BAUMAN, prefazione a L. DONSKISS, Amore per l’odio. La produzione del male nelle società di moderne, Erickson, Trento 2008.
[4] Gli immigrati, capri espiatori, intervista a É. BALIBAR, in “Il manifesto”, 6 giugno 2008 e, più in generale, É. BALIBAR, La costruzione del razzismo, in Differenza razziale, discriminazione e razzismo nelle società multiculturali, a cura di Th. Casadei e L. Re, 2 voll., Diabasis, Reggio Emilia 2007, vol. I, pp. 49-66.
[5] S. PALIDDA, Polizia postmoderna. Etnografia del nuovo controllo sociale, Feltrinelli, Milano 2000, pp. 165-171.
[6] N. URBINATI, Se i governi alimentano le paure dei cittadini, in “La Repubblica”, 8 ottobre 2008, p. 38.
[7] M. BARBAGLI, Immigrazione e sicurezza, il Mulino, Bologna 2008.
[8] I. DIAMANTI, Paure d’Italia, in “La Repubblica”, 9 giugno 2008, pp. 25-2.
[9] Cfr., per un’analisi critica, L. WACQUANT, Parola d'ordine: tolleranza zero. La trasformazio- ne dello Stato penale nella società neoliberale, Feltrinelli, Milano 2000.
[10] Fra gli altri si veda G. ALTAMORE, I padroni delle notizie, Bruno Mondadori, Milano 2006.
[11] D. DELIOLANES, in Italieni, la Sfida fra Berlusconi e Veltroni, in “Internazionale”, n. 739, aprile 2008.
[12] A. AMADORI, Mi consenta, Scheiwiller, Milano 2002.
[13] E. BERSELLI, Quando la politica diventa un format, “La Repubblica”, 18 settembre 2008.
[14] G. LAKOFF, Non pensare all’elefante!, Fusi Orari, Roma 2006.
[15] Esempi significativi si rinvengono in AA.VV., La società delle paure. Fare comunità nella diaspora, Vita non profit magazine, Milano 2005.
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