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Globalizzazione, comunicazione e identità culturale in Iran

Elahe Zomorodi
Dialogo con Yusef Madjid Zadeh

N. Cat. 04.06
1525 circa
La corte di Faridun,
dallo Shahnama per Shah Tahmasp

Attribuito a Qadimi
Acquerello opaco e oro su carta
Londra, The Nasser D. Khalili Collection of Islamic Art




"Un uomo venne alla porta della sua amata bussò.
Una voce chiese: “chi è?” “sono io”, rispose.
Allora disse la voce: “qui non c’è spazio abbastanza per me e per te”.
E la porta rimase chiusa.
Dopo un anno di solitudine e privazione l’uomo tornò e bussò.
Dall’interno una voce chiese: “chi è?” “Sei tu” rispose l’uomo.
E la porta gli fu aperta".

Jalal ad-Din Rumi

A molti Occidentali la parola Persia evoca un’antica e lontana terra, una realtà nel cuore dell’Asia, che unisce il mondo mediterraneo con il subcontinente Indiano. Il nome ‘Iran’ ha origine dalle popolazioni indoeuropee che, al tempo delle grandi migrazioni, vennero a stanziarsi in questo altopiano e, pur essendo differenziate in varie stirpi, portavano il nome comune di Arii. Tale nome, risalente al periodo della comunità indoeuropea, ebbe assai probabilmente in origine il significato di ‘buono’, ‘nobile’. Nel periodo della comunità indo-iranica venne a designare più propriamente la casta dominante, la nobiltà e, quindi, in opposizione alle popolazioni di altra razza e lingua dei territori occupati, l’unità culturale ed etnica dei nuovi abitanti. Nelle iscrizioni degli Achemenidi il termine Ariya è usato per indicare i popoli di stirpe iranica in contrapposizione alle popolazioni indigene dell’altopiano [1].
L’Iran può essere visto come un corridoio attraverso il quale sono passati, e si sono poi insediati, numerosi invasori. La storia persiana è caratterizzata da un continuo alternarsi di momenti di splendore con momenti di disperata ricostruzione dalle macerie lasciate da invasori tra i più spietati mai visti nella storia. La ricetta per la sua sopravvivenza è stata un’abilità incredibile e del tutto singolare della popolazione nel piegarsi agli eventi anziché spezzarsi, caratteristica che ha permesso all’Iran di resistere agli assalti e alle spoliazioni più efferati. Le vicende storiche successive portarono l’antica Persia a contatto con Greci e Romani, finché venne più volte sottomessa dagli Arabi con i quali conobbe, dopo quello determinato dagli Achemenidi, un nuovo e significativo impulso culturale. Dopo il Mille, le invasioni turche, quella mongola e quella di Tamerlano, ebbero effetti sconvolgenti sul tessuto umano e sociale della regione. Ciò nonostante, la popolazione persiana, con l’eccezione di alcune province periferiche, seppe mantenere, per il tramite soprattutto della lingua e della religione, coesione di tipo culturale. La maggioranza della popolazione è a tutt’oggi costituita da Iranici o Ariani: Persiani in netta prevalenza, poi le tribù seminomadi degli Zagros (Lur, Bakhtiari e Curdi), gli Armeni, i Beluci. Ad essi si affiancano le genti di origine turca quali gli Azerbaijani, i Turcomanni stanziati ad est del Mar Caspio, i Kashkai insediatisi nel Fars fin dal XVIII secolo e, inoltre, gli Arabi lungo le rive del Golfo Persico.
L’equilibrio e l’armonia fra diversi elementi culturali costituì la base per la crescita di fiorenti civiltà che si arricchivano sempre di più attraverso lo scambio fra i popoli, anche nell’epoca della coesistenza dei due imperi, Persiano e Romano, che dominavano il mondo guardandosi come due emisferi e suscitando reciproca ammirazione. Un chiaro esempio si riscontra a Roma nella diffusione del culto del dio Mitra, avvenuto attraverso i soldati romani e diventato religione ufficiale, lasciando un segno indelebile anche dopo il 306 d.C., quando, per volere dell’imperatore Costantino, la religione cristiana venne dichiarata religione di stato.
Sin dalle origini della civiltà persiana, il pensiero religioso e quello politico sono stati strettamente collegati l’uno all’altro. L’unica religione che, dal tempo degli Achemenidi, viene ancora oggi professata in Iran, è la religione fondata da Zarathustra [2], nella regione del Sistan. La nascita dell’Islam, che si diffuse in Persia con l’invasione araba del VII secolo, fino a sostituire la religione Zoroastriana, è uno degli eventi fondamentali nella storia mondiale. Dopo una fulminea avanzata militare, le tribù Arabe si sostituirono lentamente al potere centrale dell’antico impero e quando l’ortodossia islamica, detta Sunna, si diffuse nella società iranica islamizzata, la riscossa nazionale si identificò con la Sciia [3].
L’invasione araba permeò la civiltà iraniana in maniera ben più profonda e radicale rispetto a qualsiasi altra invasione, dette al paese una nuova religione e una nuova scrittura, influenzò il suo linguaggio, rivoluzionò le arti. Solo intorno al X secolo la letteratura persiana riprese nuovo vigore sulla base di una lingua che, pur avendo tratto delle analogie dal lessico dei conquistatori, nonché lo stesso alfabeto, mantenne sempre il suo carattere indoeuropeo. Ebbe cosi inizio un periodo di grande splendore, soprattutto per quel che concerne la poesia, e di notevole influenza sulle altre letterature islamiche. Primi artefici di questa straordinaria rinascita furono grandi poeti, che sono stati i maggiori esponenti della poesia persiana, come Rudaki, Ferdowsi, Omar Khayyam e Hafez. Gli Arabi cercarono di contenere i caratteri e le abitudini tipicamente iraniani senza però sopprimerli e ciò spiegherebbe come mai questi riemersero in seguito sotto forme nuove e più complesse.
L’identità culturale iraniana nell’epoca moderna è costituita da un ibrido di tre culture: persiana antica, islamica e occidentale. I cambiamenti che si sono succeduti nei vari momenti storici hanno creato un movimento alternato ora verso l’occidente, ora verso l’islam. Il risultato di tutto ciò è stato il progressivo formarsi di una identità nella quale un individuo può sentirsi, nello stesso tempo, un persiano, un occidentale moderno e un musulmano.
Sotto questo profilo, ciò che sta avvenendo con la globalizzazione comporta una serie di fenomeni rilevanti: aumentano i processi di frammentazione sociale e di crisi dei tradizionali sistemi di valore; le identità frammentate in ambiti spaziali, in classi sociali, in etnie diverse, ritrovano una propria allocazione in grandi identità sovranazionali, che si ricompongono e si suddividono secondo elementi che spesso attengono alla fede piuttosto che al diritto. Quando particolarismi di tutti i tipi minacciano l’unità nazionale e né il socialismo né il capitalismo riescono a dare legittimità ai governi, la religione finisce per offrire un legame trasversale alle classi, alle razze, alle regioni, contribuendo all’affermazione dell’identità nazionale come identità religiosa. In effetti, in opposizione allo spazio già definito degli stati, i nazionalisti religiosi cercano di ricreare le loro nazioni nello spazio religioso. In Iran, ad esempio, quando l’opposizione alla modernizzazione imposta dallo Scià subiva una brutale repressione, le associazioni religiose proliferavano ed il pellegrinaggio ai centri dell’Islam arrivava a livelli mai visti.
Agli occhi dell’opinione pubblica occidentale, influenzata dall’informazione fornita dai media che è centrata esclusivamente sugli avvenimenti politici, l’Iran appare come un paese chiuso, arretrato e involuto in una spirale fondamentalistica, poco incline a confrontarsi e impegnarsi nel panorama globale. In sostanza, è come se l’evoluzione della società e della cultura iraniana fosse iniziata con la rivoluzione islamica del 1979.
Al di là dei luoghi comuni, essa è, invece, frutto di un processo che, nel corso dei secoli, ha visto il succedersi di grandi cambiamenti, realizzatisi in un’area del mondo da sempre punto di incontro di diverse culture e snodo fra oriente e occidente. L’Iran di oggi è fortemente influenzato dalla globalizzazione, sia per la sua posizione geopolitica, sia per le risorse energetiche ed economiche, appetibili al mondo capitalistico. Vari modelli culturali influenzano la società iraniana attraverso l’azione esercitata dal forte incremento dei mezzi di comunicazione su tutto il territorio. L’Iran possiede un sistema molto avanzato di comunicazione che permette l’accesso a tutte le banche dati mondiali e centinaia di milioni di dollari sono stati stanziati in questo settore. Una ulteriore rivoluzione, in Iran, parte dal blog; c’è un altro Iran dietro a quello rappresentato dai media occidentali; i blogger iraniani sono generalmente giovani, colti, preparati sulle questioni legate al loro paese, verso il quale nutrono un sentimento di profondo amore. Circa due anni fa, il celebre filosofo Tedesco Jürgen Habermas visitò Teheran e tenne lezioni davanti a non meno di 3000 giovani. Allo stesso tempo il direttore del maggiore giornale riformista del paese, Shargh, ha meno di trent’anni. Ogni anno in Iran avvengono centinaia di migliaia di contatti con siti non autorizzati che hanno come obiettivo, secondo le autorità iraniane, l’invasione culturale, la guerra psicologica e l’attacco alla credibilità economica e politica del paese. L’ultima direttiva del ministero della cultura iraniano, tuttavia, vieta ogni collaborazione con le reti satellitari autonome che trasmettono dall’estero in lingua persiana, ritenendole non consone alla cultura della Repubblica Islamica.
Le possibilità offerte dal mercato globale stanno cambiando profondamente i modelli di vita, specie delle giovani generazioni, che costituiscono la grande maggioranza della popolazione. Oltre il 93% della popolazione è compreso fra gli 11 e i 29 anni e quasi tutti sono in possesso di un titolo di studio. L’effetto della globalizzazione economica e culturale in Iran è cosi rilevante e rapido, che il governo non è in grado di rispondere alle nuove richieste e aspettative della popolazione, tanto che sono sempre più frequenti e numerose le manifestazioni da parte dei giovani. Gli uomini e le donne si confrontano sui modelli occidentali, ma, mentre gli adulti appartenenti alle generazioni precedenti tendono a nascondere i propri sentimenti e le proprie opinioni, i giovani, attraverso l’arte e la comunicazione, cercano di esprimere l’individualità, la libertà e la tolleranza come valori fondamentali della loro esistenza. Nell’ultimo ventennio, dopo la rivoluzione, la profonda crisi generata dalla guerra con l’Iraq (1980-1988) ha portato ad una forte urbanizzazione della popolazione, specie verso la capitale, e ad un forte incremento della migrazione dai paesi arabi. In questo periodo è stato realizzato un gran numero di infrastrutture, collegando villaggi sperduti, dotandoli di servizi, facendo sì che venissero raggiunti dai più moderni mezzi di comunicazione.
Per un altro verso, l’Iran ha dato vita ad un modello di Islam politico caratterizzato da un forte populismo e da una profonda mobilitazione delle masse, attraverso una propaganda che utilizza in maniera efficace gli apparati di informazione e che ha fatto leva sulle tensioni esistenti con i paesi occidentali, in modo particolare con gli Stati Uniti, per legittimare l’intensificazione delle relazioni con i paesi islamici e la radicalizzazione delle posizioni politiche, nonché del fondamentalismo religioso.
Ho avuto occasione di parlare di globalizzazione e identità culturale con Yusef Madjid Zadeh, ex docente dell’università di Teheran, orientalista e ricercatore in archeologia della Mesopotamia e dell’Iran, presso l’università di Chicago. Attualmente vive in Francia, ma ritorna periodicamente in Iran come coordinatore di un gruppo internazionale di archeologi per gli scavi di Jiroft. Durante il colloquio, gli ho chiesto quali siano, secondo lui, gli effetti della globalizzazione sull’eredità culturale iraniana e quale spazio le venga dedicato dai mass-media nazionali. «L’Iran ha una gloriosa cultura», ha risposto, «e millenni di storia nazionale. Penso che ogni cultura debba mantenere la sua individualità arricchendosi nel confronto con le altre e che globalizzazione non debba essere sinonimo di omogeneizzazione culturale. Ben venga la globalizzazione intesa come motore per lo studio, la ricerca e la collaborazione, a condizione che vi sia uguaglianza fra le culture e non l’egemonia di una sulle altre. Oggi, in Iran, l’eredità culturale è simile a un orfano che non riesce a trovare un’adeguata collocazione. I media possono svolgere un ruolo importante nella salvaguardia e nella promozione dell’eredità culturale, disporre di mezzi avanzati può contribuire ad accrescerne la conoscenza, ma, purtroppo, i mass-media iraniani, a differenza di quelli dei paesi occidentali, dedicano pochissimo spazio a questi argomenti. I giornali, in Iran, sono soltanto mezzi di informazione, non di approfondimento culturale, e pubblicano quasi esclusivamente notizie di politica, di attualità e di economia; in Iran sono rari i giornalisti con competenze ed esperienze specifiche nel campo della cultura. Chi siede sulle poltrone della politica ha la volontà di sviluppare il turismo, perché esso costituisce una grande risorsa economica, ma gli investimenti rivolti alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio storico e culturale sono insufficienti. In Iran esiste un turismo di natura prevalentemente culturale, ma il paese è sfavorito sia dal fatto di essere una repubblica islamica, in cui anche gli stranieri sono tenuti al rispetto di certe regole, sia dalla pubblicità negativa derivante dalla sua attuale posizione nella politica internazionale. Gli iraniani amano comunicare attraverso internet, che dovrebbe essere adeguato agli standard mondiali come velocità e potenza, ma il governo mette in atto forme di censura verso i mezzi di comunicazione che non si adeguano ai principi della Repubblica Islamica». Sappiamo, infatti, che nel programma del governo iraniano c’è la costruzione di ben 189 dighe, la maggior parte delle quali in prossimità di importanti siti archeologici, come, per esempio, quello di Pasargade per quanto riguarda la diga di Sivand. Ho chiesto al Professor Madjid Zadeh se, da orientalista e archeologo, crede che possano sussistere dei rischi per il patrimonio storico e archeologico: «Negli l’ultimi anni è stato sviluppato in Iran un progetto di salvaguardia del patrimonio archeologico, con la partecipazione dell’Unicef, pertanto, qualsiasi opera deve essere sottoposta ad una valutazione di impatto ambientale, con particolare attenzione alla tutela dei siti archeologici. Certo, le difficoltà non mancano, per esempio, in Italia la maggior parte dei monumenti si trova all’interno o nelle vicinanze delle città, mentre, in un paese come l’Iran, che ha alle spalle più di diecimila anni di insediamenti abitativi sparsi sul tutto il territorio, dovunque scaviamo troviamo qualcosa. Pertanto, tutti i ricercatori e gli studiosi iraniani e stranieri devono valutare attentamente la situazione, e, in armonia con l’Unicef, trovare le soluzioni di compromesso più adatte a tutelare i reperti più importanti. Per quanto riguarda, in particolare, il caso specifico, la diga di Sivand dovrebbe essere realizzata in una valle che si trova ad un livello inferiore a quello della pianura sulla quale è situata Pasargade. Il ministero delle infrastrutture non ha ancora finanziato quest’opera, perché deve essere escluso che l’umidità assorbita dal terreno possa danneggiare il sito archeologico, dal momento che l’invaso della diga, una volta colmato, rimarrà circa sedici metri al disotto della pianura di Pasargade. Un gruppo di studiosi asiatici ed europei, sotto la guida dell’Unicef, sta valutando la situazione. Credo che quest’opera non creerà alcun problema, ma c’è stata una distorsione delle notizie da parte dei media occidentali che ha determinato il diffondersi di un notevole allarmismo».
Attualmente il Professor Madjid Zadeh si sta occupando degli scavi di Jiroft; gli ho chiesto quale sia la situazione attuale: «Gli archeologi hanno iniziato il loro lavoro in Mesopotamia, cercando il libro della Torà, con una ricerca a tappeto in questo territorio, continuando poi in Persia verso Shush e Pasargade. Dal 1960 in poi, vari gruppi di studiosi iraniani e stranieri continuano le loro ricerche verso il sudovest dell’Iran, dove, all’inizio, furono trovati in un villaggio piccoli oggetti. In seguito, quando la zona di Jiroft fu colpita da un’alluvione, nel cimitero che si trova vicino al fiume Halilrood vennero alla luce alcune tombe, all’interno delle quali furono ritrovati numerosi pezzi di vasellame di grande pregio e bellezza. Gran parte di questo materiale venne trafugato e portato in Asia, in Europa e negli Stati Uniti, ma lo scorso anno siamo riusciti a riportarne una parte in Iran; continuando poi nelle ricerche, abbiamo scoperto che non si trattava solo di uno o due villaggi, ma c’era molto di più. Abbiamo trovato i resti di un tempio e di un palazzo risalenti a circa il 2800 a.C., che facevano parte di un villaggio chiamato Condor Sandal. Nella regione del Khuzestan è stata scoperta una scrittura proto Ilamita risalente al 2100 a.C., ma, nella zona di Jiroft, abbiamo trovato due tavole ancora più antiche, databili 2500 a.C., che, senza dubbio, sono ancora più antiche delle tavole di Kutir-Inshushinak, re di Ilam. Gli archeologi pensavano che solo la Mesopotamia fosse il centro degli scambi commerciali, ma ora abbiamo trovato documenti che testimoniano come anche l’ovest dell’Iran fu un grande centro di civiltà, di produzione e scambio. È dovere dei ricercatori, dunque, correggere e aggiornare i loro studi sulla base dei documenti trovati».
Emerge dunque un Iran diverso dall’immagine, oggi dominante in occidente, di un paese profondamente arretrato e integralmente pervaso dal fondamentalismo, un Iran fatto di giovani che vogliono comunicare, un paese dinamico e creativo, che vuole confrontarsi con le altre culture e gli altri popoli, anche attraverso il lavoro e l’impegno degli studiosi e degli intellettuali che, spesso operando da fuori del paese, cercano di valorizzare e diffondere la sua cultura e la sua arte.
Il popolo iraniano, nella sua storia, è sempre stato estremamente aperto verso i grandi cambiamenti mondiali; oggi lo è ancora di più, per motivi politici, economici, culturali e, nel suo atteggiamento verso la globalizzazione, l’ottimismo prevale sullo scetticismo. La globalizzazione è percepita da molti, soprattutto giovani, come una grande opportunità di sviluppo, di crescita e di realizzazione delle notevoli potenzialità che derivano dalle antiche e nobili tradizioni culturali e sociali, troppo a lungo sopite. Una parte rilevante dell’opinione pubblica iraniana crede che si debba salvaguardare l’eredità persiana nelle sue tre componenti (persiana antica, islamica e occidentale) per poter dialogare con la cultura globale.
La globalizzazione dovrebbe favorire l’interazione culturale. La gran parte degli iraniani conosce l’arte e la cultura occidentali; non credo, però, che nei paesi occidentali vi sia una corrispondente conoscenza dei grandi patrimoni delle altre culture del pianeta. Le poesie di Hafez e la musica di Beethoven dovrebbero essere considerate eredità comune a tutta l’umanità. Invece, la globalizzazione culturale è un processo, in buona parte, ancora a senso unico. La speranza è che, in futuro, questo processo, anziché costituire una minaccia per la conservazione della cultura iraniana, diventi un’opportunità per una sua maggiore diffusione e per un dialogo autentico tra culture diverse.


Riferimenti bibliografici

— Z. BAUMAN, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari 2001.
— S. HUNTINGTON, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 1997.
— H.P. MARTIN – H. SCHUMANN, La trappola della globalizzazione, Raetia, Bolzano 1997.
— H. PIRNIA, Iran, The Land of Norooz, Hussein Sanai, Tehran 1993.
— A. SEN, La democrazia degli altri. Perché la libertà non è un’invenzione dell’Occidente, Mondadori, Milano 2004.
— M. SOLASI, Giahan-e Irani e Iran-e Giahani (Globo iraniano e Iran globalizzato), Markaz, Tehran 2001.
— M.R. TAGIK, Post modernism, Tamayes va Hoviyat Irani (Post modernismo e identità culturale iraniana), in M. TOHID FAM (a cura di), Farhangh dar Asr-e Giahani shodan (La cultura nell’epoca della globalizzazione), Rosaneh, Tehran 2003.


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[1] Dall’antico iranico ariyana deriva la forma medio-persiana eran (‘iranico’ in contrapposizione ad aneran, ‘non iranico, straniero’) e da questa la moderna denominazione di Iran, cfr. Hassan Pirnia, Iran/the land of NoRooz Hussein Sanai, Teheran 1993.
[2] La datazione della vita di Zarathustra non può essere determinata con esattezza; la gran parte degli storici ritengono che egli visse tra l’inizio del I millennio e la prima metà del VI sec. a.C. Zarathustra predicava la sua fede in Ahura Mazda (da cui deriva il termine Mazdeismo). I quatto elementi (fuoco, terra, acqua e aria) sono considerati sacri dalla religione Zarathustriana e i fedeli hanno il compito di proteggerli dall’impurità.
[3] La Sciia, la maggiore eterodossia islamica, non riconosceva come legittima la discendenza storica del califfato ma solo il genero del Profeta, Ali, ucciso nelle lotte per il potere. La fede sciita in Iran si distingue per il suo misticismo, per il senso del martirio e per la fede negli Imam, le guide religiose carismatiche.
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