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Editoriale

Un pantheon in movimento

Con il numero XVIII (2.2021) “Cosmopolis” intende proseguire il percorso inaugurato con il primo fascicolo del dossier dedicato a “Libertà e democrazia nella cultura politico-giuridica italiana”, occupandosi di quel momento storico che abbiamo tentato di sintetizzare con il titolo “Dallo Stato liberale alla Costituente”. Un passaggio cruciale che non è possibile contenere in un'unica uscita e che sarà, infatti, anche il tema del terzo e ultimo fascicolo del dossier.
Lo scopo di questo progetto così composito e ambizioso non è solo quello di creare un pantheon statico delle figure più significative del nostro passato, in modo che siano ricordate e non si perda una memoria collettiva che appare sempre più svuotata e lontana. Certamente anche solo questo aspetto sarebbe comunque degno di menzione o, perlomeno, meritevole di attenzione. La memoria non è un insieme di oggetti da osservare, a cui riferirci nel momento del bisogno o da guardare con nostalgia, senza che essa sia agganciata in maniera sostanziale al presente e al futuro. La memoria collettiva è, invece, una costruzione senza un termine definito, un processo continuo di costruzione in cui le principali correnti di pensiero, figure e tradizioni possono costantemente trovare nuovi equilibri. Insieme a ciò rimane forte la necessità di sottolineare la specificità di ogni aspetto, l’ancoraggio al contesto di origine di ogni tradizione di pensiero, al tempo stesso avendone chiara l’evoluzione nel corso del tempo.
Scavare nelle profondità del nostro spirito democratico - questo, alla fine, mi sembra il nome più adatto a tale sforzo di ricostruzione - significa innanzitutto concepire la Costituzione italiana come se fosse il lievito madre della riflessione e della pratica politiche, da rigenerare quotidianamente.
Quella contenuta in “Cosmopolis” è una carrellata di sguardi sulle figure principali delle culture politiche che si sono sedimentate nel tessuto sociale e politico italiano fino al momento in cui sono state poste le basi della repubblica democratica italiana. Sono innanzitutto storie nelle quali si mescolano valori e principi fondamentali, che partono dal contesto storico che le vede protagoniste. Nonostante questo loro attaccamento inevitabile alla storia - pensiamo, ad esempio, al modo in cui le figure che sono state prese in considerazione hanno reagito e fatto i conti con il periodo della dittatura fascista -, questi ritratti si caricano di una valenza che va oltre il tempo e lo spazio che li determina: è questa, da sempre, la grandezza e la forza di ogni “classico”.
Non è difficile individuare degli ambiti tematici comuni alle riflessioni che vengono ospitate in questo secondo fascicolo, ma è necessario intenderli come fili conduttori, che si intrecciano e che assumono uno spessore diverso a seconda della figura e della cultura politica in cui hanno origine.
Un filo è sicuramente quello che, in maniera trasversale, collega teoria e pratica politica. Tale rapporto si è in molti casi tradotto in una rimeditazione di alcune tradizioni di pensiero politico molto consolidate: da una parte, ad esempio, la possibilità di unire il marxismo-leninismo alle esigenze del realismo politico (Spinelli) oppure la necessità di rimeditare il materialismo storico e il marxismo stesso nell’ottica dell’elaborazione di una compiuta filosofia della prassi (Antonio Labriola). A questo si aggiunge lo sforzo di elaborare teoricamente e tradurre, poi, in prassi politica un modo di intendere il rapporto tra democrazia, conflitto e libertà: in Gobetti, ad esempio, convivono la teoria delle élites, una visione conflittualistica della società e una concezione della democrazia parlamentare quale frutto di un’autentica rivoluzione liberale. Il liberalismo, in questo fascicolo, viene indagato da diversi punti di vista: quale "professione di fede" dello statista Giovanni Giolitti, nell’accezione etica proposta da Croce, nel suo rapporto con il cattolicesimo (ancora Croce), con la democrazia (Salvemini), con il popolarismo di Sturzo e con il socialismo (Turati, fratelli Rosselli). Ma a quale concetto di libertà ci riferiamo? Quello legato a parole chiave come “riforme”, ”emancipazione” (ancora Turati, ma anche Labriola, seppure in un percorso che dalla destra storica lo porta al socialismo), che, come in Capograssi, si estende oltre il conflitto economico fra classi per arrivare ad una “liberazione” profonda dei singoli e della collettività.
Riflessioni di questo tipo emergono in relazione a un altro aspetto, che salda le figure di riferimento alla prigionia, all’esilio o al confino vissuti durante la dittatura fascista. In questo senso il pensiero e la pratica politici discendono dal fare direttamente e tragicamente i conti con la dittatura, affiancando a questo la riflessione intorno al fascismo (si veda Sturzo e l’uso del neologismo “totalitarismo fascista”, in senso radicalmente opposto a “popolarismo”) e all’antifascismo (Giolitti A., Gobetti, Gramsci, i fratelli Rosselli, Rossi, Spinelli, ancora Sturzo; significative le parabole esistenziali e intellettuali di Croce e Murri). Turati auspica un’alleanza di tutti i partiti antifascisti; per Spinelli la lotta antifascista deve essere concepita, andando oltre le distinzioni di classe, come una lotta in favore della libertà e della democrazia da costruire.
Per Gramsci l’aggancio al contesto storico diventa imprescindibile. A tal proposito, in questo numero si fa riferimento a una “carcerografia riflessiva”, che testimonia l’importante funzione critico-culturale di questa figura e della sua opera anche da una prospettiva di antropologia politica. D’altra parte il pensiero politico gramsciano potrebbe essere di per sé il filo che lega alcune delle figure prese in considerazione (si veda, ad esempio, l’importanza che la nozione di egemonia ha per Spinelli).
Un ulteriore e ultimo filo è il modello di democrazia da progettare e costruire, una riflessione che interessa la distinzione tra un modo procedurale/tecnico di concepire tale modello (anche e soprattutto nel rapporto con il liberalismo, si veda Salvemini) e un altro, in cui è possibile rintracciare un fondamento “spirituale” o etico (come in Murri e Capograssi) e in cui ha un ruolo importante l’idea di un’educazione democratica del popolo (Labriola). Una riflessione, in realtà, quasi senza tempo, ormai diventata strutturale, così come lo è, ormai da decenni, la crisi della democrazia stessa.
Ognuno di questi fili non può essere teso singolarmente, ma vive nell’intreccio con gli altri e con la storia. Ciò che emerge è un racconto corale, in cui culture politiche convivono in un terreno comune, che si apre anche al di fuori dell’Italia. Una figura come quella di Antonio Giolitti è significativa da questo punto di vista, così come il progetto federalista europeo del manifesto di Ventotene. L’idea che l’”ordinamento di libertà e democrazia” fosse da costruire non solo per l’Italia, ma per l’Europa intera nella prospettiva della pace.



Romina Perni
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