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Natura umana e politica nel dibattito filosofico contemporaneo:
alcune annotazioni

FIORELLA BATTAGLIA
Articolo pubblicato nella sezione "Naufragio con spettatori: noi e i migranti"

Il concetto di “natura umana” compare nei dibattiti sia delle scienze umane sia di quelle naturali. In queste discussioni si afferma la necessità di approfondire la natura dei fatti di volta in volta in questione, prima di darne una spiegazione e anzi addirittura prima di raggrupparli. Per quanto riguarda la teoria politica, il concetto di “natura umana” vi svolge un ruolo ancora più decisivo perché funge da fonte di legittimazione. In questo articolo non verrà discusso che cosa è o che cosa non è la natura umana. È mia intenzione valutare quali siano le condizioni che soddisfano la sua vocazione a svolgere una funzione di legittimazione nel pensiero politico. È importante a questo riguardo specificare che il concetto “natura umana” può riferirsi a tratti diversi da quelli connotati biologicamente, perciò i riferimenti alla natura umana, per quanto questo sia paradossale, possono assumere una valenza indiscutibilmente antinaturalistica, anche se veicolati proprio dal termine “natura”. La latitudine di tale termine lascia intuire quanto diventi difficile articolare una discussione coerente e rigorosa sul valore politico di tale concetto.
David Estlund (2011), il quale riprende la questione della fonte di legittimazione che l’argomento della natura umana ha per la filosofia politica, sostiene che non è sufficiente che le esigenze di giustizia siano giustificate facendo appello alla natura umana, quanto piuttosto che una teoria della giustizia per essere vera deve rimanere entro i limiti di ciò che le persone e le società fanno effettivamente. Quindi il motivo per cui il ricorso alla natura umana si rivelerebbe deficitario sarebbe che esso procede da una versione essenzialista della sua determinazione. Secondo Estlund non ci sono fatti di carattere tale da porre dei vincoli al modo in cui gli esseri umani formano la loro volontà. Questo processo è sempre soggetto a una valutazione morale a pieno titolo, da cui i soggetti traggono la propria responsabilità (cfr. Rawls 1975). Il fatto che alcune persone si sentano minacciate in misura maggiore da una persona di colore incontrata di notte è un fatto che deve essere considerato un vincolo in alcuni contesti pratici. Non può determinare tuttavia il ritiro dell’obbligo morale di considerare tale comportamento discriminatorio.
Affinché il concetto di “natura umana” possa esibire legittimità nel pensiero politico deve soddisfare alcune condizioni. Solo se le seguenti sette condizioni saranno soddisfatte allora il suo chiarimento sarà completo: (1) Il suo significato normativo potrà essere dispiegato solo se esso verrà determinato “internamente”; (2) tale concetto non è descrittivo, ma piuttosto normativo, in quanto è in grado di orientare il nostro agire; (3) è obiettivo in quanto viene sviluppato a partire dal mondo della vita (Lebenswelt) per il mondo della vita; (4) integrativo, in quanto non soltanto il sapere del mondo della vita, ma anche le conoscenze empiriche delle scienze naturali hanno un ruolo nella sua determinazione. Solo che tale influenza delle scienze della natura non è immediata, ma necessita piuttosto dell’opera di mediazione delle scienze sociali e della filosofia. Inoltre, il concetto presenta (5) un orientamento verso il futuro mentre è carico del passato perché nella pianificazione intenzionale del futuro non agisce deterministicamente. L’analisi storica contribuisce al mantenimento e consolidamento di quegli elementi, che sono responsabili del fatto che le idee che gli uomini possono sviluppare di se stessi danno esiti che sono sempre aperti al mutamento. Esso è (6) soggetto a revisione, perché non è escluso che tali idee sulla natura dell’uomo possano essere criticamente valutate e migliorate. Infine, è (7) orientato all’applicazione, perché contribuisce alla soluzione di questioni pratiche, potendo sia orientare la prassi che farsi da questa mettere in discussione.
Obiettivo di questa indagine è ottenere risultati normativi. Essa deve perciò essere così condotta, in modo da poter resistere a ogni tratto essenzialista, ovvero da considerare fatti della natura umana come vincoli alla capacità di deliberare e agire. Di seguito sono riportati in modo succinto i risultati della mia ricerca in relazione alle tesi e agli argomenti sviluppati. Come ho mostrato più ampiamente in altri lavori (cfr. Battaglia 2011, 2012) ci sono diversi punti di vista sulla natura umana. Rilevante è che questo concetto non appare soltanto in dibattiti disciplinarmente connotati, ma appartiene anche al linguaggio quotidiano. A causa del suo coinvolgimento in diversi dibattiti, il suo chiarimento richiede la considerazione di molti temi. Questi di solito sono discussi in ambiti diversi – per esempio nella metaetica e nelle teorie sulla normatività, nella teoria della razionalità pratica, nell’epistemologia e nell’antropologia. Si tratta perciò di distinguere i singoli dibattiti e chiarirne il legame con il tema della “natura umana”, cosa che non si trova nei singoli dibattiti. Il chiarimento del concetto è l’obiettivo di questa mia indagine, in modo da poter esibire alla fine non un ennesimo concetto descrittivo, ma piuttosto le condizioni per un concetto normativo di “natura umana”.
Il chiarimento del concetto richiede che le sue caratteristiche proprietà normative siano collocate in un contesto strutturato ed esplicativo. Approcci antropologici preesistenti non sono in grado di rendere giustizia a questa pretesa di normatività. Tali approcci considerano la normatività come immediata oppure rinunciano a tale pretesa normativa. Così facendo non vedono un aspetto significativo del concetto. Inoltre, importanti caratteristiche del concetto di “natura umana”, come conseguenze epistemiche, implicazioni metaetiche e caratteristiche applicative mancano di una spiegazione, in quanto il loro rapporto non viene analizzato in questa prospettiva multidisciplinare. Il fatto che il mio approccio combini vari dibattiti in un tutto, permette che ciò che appare contraddittorio in una prospettiva – per esempio l’oggettività e la rivedibilità – possa essere collocato in un nuovo contesto in cui superare queste apparenti contraddizioni. La mia interpretazione ha quindi il vantaggio che enunciati normativi centrali appartenenti alla prassi quotidiana del chiedere e dare ragioni, proprio perché costitutivi di tale prassi, diventano passibili di essere sottoposti a critica. Tali processi conducono alla modificazione di queste ragioni, che possono essere sostituite con ragioni migliori. Come risultato la nostra pratica umana si lascia collegare coerentemente con un concetto epistemico in grado di fornire un’immagine di sé che può guidare le nostre azioni e mostrare in tale azione il suo carattere normativo.
L’immagine di sé mostra vividamente ciò che è vincolante per noi. Questa prospettiva mette in luce che la pratica umana non richiede di abdicare alla prospettiva della seconda persona (che è costituita dalla pratica di chiedere e dare ragioni) a favore di una posizione non personale (la prospettiva in terza persona della scienza) e così di rinunciare a credenze, significati e esperienze soggettive.
La posizione, che sostengo è caratterizzata dal fatto che lo spazio concettuale della vita di tutti i giorni fa a meno del naturalismo scientifico. Tuttavia, questo spazio può, in un secondo momento, considerare la rilevanza per il mondo della vita delle teorie scientifiche. Inoltre, il naturalismo congeda troppo in fretta lo spazio pre-teoretico della vita quotidiana negandogli perciò uno spazio teorico adeguato. Diverse interpretazioni si sono cimentate con l’impresa di rendere giustizia a questo spazio della vita quotidiana. Una prima caratterizzazione lo considera come uno spazio delle ragioni (cfr. Nida-Rümelin 2015; Scanlon 2014). Nida-Rümelin attribuisce molto peso alle “ragioni” (Gründe) e alla giustificazione razionale. Ma aggiunge che intuizioni psicologiche, gli “atteggiamenti reattivi” di Strawson (2008) e i risultati empirici, come l’attenzione condivisa, forniscono elementi utili per una sua esauriente trattazione teorica.
Altri teorici hanno chiamato questo spazio «spazio della seconda persona» (cfr. Macarthur 2015). Secondo questa interpretazione, tutti i fatti che esistono, devono essere considerati perché agiscono come oggetti della nostra pratica d’interazione e comunicazione sociale. Che cosa troviamo allora in questo spazio? Secondo Macarthur troviamo attori razionali (la lezione kantiana è qui influente), azioni (qui l’influenza è da attribuire a Anscombe), l’arte (come un contenuto intenzionale così come viene definito da Danto) e storia, diritto, e gli oggetti familiari della vita di tutti i giorni. Dimensione che può essere ricondotta allo “spirito oggettivo” hegeliano.
Preferisco una posizione che attribuisce alla scienza un peso rilevante nella formazione di questo spazio. A questa indagine contribuiscono diversi autori con chiarimenti sistematici. Hannah Arendt fornisce le ragioni pratiche per argomentare antropologicamente che l’essere umano che varca la soglia del laboratorio per condurre i suoi esperimenti scientifici è la stessa persona che partecipa nell’interazione quotidiana alla pratica di chiedere e dare ragioni. Espresso in termini diversi e meno antropologici, ma più propri della teoria della razionalità pratica: la stessa pratica di chiedere e dare ragioni indispensabile per la comprensione riguardo agli oggetti della vita quotidiana sostiene anche la pratica della ricerca scientifica (cfr. Arendt 1958; 2007). Lorenz Krüger (1992), che ha sviluppato un approccio metafisico, sostiene che non è la relazione causale il cemento dell’universo. Piuttosto, Krüger dimostra che questo termine è più probabilmente un prodotto dell’astrazione dal nostro modo familiare di interagire quando parliamo di azioni libere. Come esempio, si consideri l’utilizzo di una singola frase: “La colpa della cattiva vendemmia di quest’anno è dell’abbondante pioggia settembrina”. Questa frase esprime “metaforicamente” qualcosa. Secondo il naturalismo scientifico, che sostiene la contrapposizione tra due mondi, il mondo delle relazioni causali avrebbe in tale concezione anche priorità, e sarebbe quindi rilevante per la comprensione del mondo della vita. Questo punto di vista non mi sembra convincente. Affermazione come queste sulla “colpa” della pioggia di settembre illustrano nell’interpretazione metafisica di Krüger una stretta connessione al di là di ogni presunta contrapposizione. Frasi come queste sono un segno di come sia strutturata la nostra comprensione, che inizialmente non suddivide, scotomizzando tra attività umane e eventi naturali. È significativo che la comprensione originaria non sia quella dell’approccio scientifico, ma quella della pratica umana.
Il concetto di “natura umana” condivide con quello di mondo della vita (Lebenswelt) e di forma di vita (Lebensform) l’esigenza di concretezza fatta valere criticamente rispetto alla tradizione filosofica precedente che si autoriproduceva in isolamento tanto da altre discipline quanto anche dal sapere pre-teoretico della vita quotidiana. I riferimenti qui sono tanto a Wittgenstein quanto a Husserl e successivamente al pragmatismo americano. Si differenzia però dagli altri due perché esso ha il vantaggio di essere un termine in uso nel linguaggio quotidiano e non solo un concetto filosofico. È possibile perciò analizzare la sua grammatica a partire sia dal suo uso corretto nel linguaggio di tutti i giorni sia nei dibattiti specialistici. La mia indagine è perciò un tentativo di spiegare il significato dell’espressione “natura umana” in relazione al suo uso. Il vantaggio di tale mossa è che la normatività è qui considerata come qualcosa di originario che non viene in essere attraverso pratiche costruttivamente intese né richiede fondazione metafisica. La normatività è in prima istanza qualcosa che l’essere umano trova indipendente da sé. Egli la può dischiudere e può anche modificarne i contenuti, ma non porla in essere. Stanley Cavell (1979) ci insegna a non pensare la normatività come convenzione sociale. Si tratta di un’idea molto lontana dalla realtà quella che tende a considerare la normatività allo stesso modo in cui concepiamo le regole del gioco di tennis, che sono statuite da un'autorità sportiva mondiale.


1. Interno

Il concetto di natura umana fa riferimento alle valutazioni e alle credenze rispetto a ciò che è bene e ciò che è meno bene, a ciò che non è degno di essere vissuto espresse nel linguaggio di tutti i giorni. Queste credenze pre-teoriche riferendosi alla dimensione olistica della natura umana e rimandando nelle narrazioni in cui sono riferite alla dimensione emotiva non hanno inizialmente nulla a che fare con la prospettiva in terza persona propria della scienza. Solo quando i risultati dell’indagine scientifica sono comunicati e tradotti dalla filosofia e dalle scienze sociali tale contributo è messo a disposizione del senso comune, allora i fatti scientifici possono esercitare un’influenza su queste credenze. Queste credenze influenzano le decisioni politiche e sociali e sono pertanto “interne” alla società, in quanto esse vengono discusse pubblicamente nella società e servono alla sua autocomprensione. Rispondono a domande come: “che tipo di società siamo?”. “Interno” è usato qui nel senso attribuitogli da Aristotele, da intendersi come qualcosa “che è in relazione con noi”. Richiede cioè che il significato sia determinato non esternamente, come accadrebbe in una prospettiva in cui tale determinazione procedesse dalla scienza, ma nella società umana. Queste credenze e intuizioni servono alla sua illustrazione, spiegazione e giustificazione. In generale, convinzioni rilevanti per la natura umana non si riferiscono ad aspetti specifici o individuali, ma riguardano piuttosto l’insieme delle persone, il carattere del genere umano, per dirla con Kant dell’Antropologia pragmatica. Non di rado idee circa la natura degli esseri umani esercitano il loro ruolo in strutture narrative. Questa tesi non è sostenuta solo da Nussbaum (1995), ma anche da Putnam: «A me sembra chiaro che le descrizioni della vita umana che troviamo nei romanzi di Tolstoj o di George Elliot non siano semplice intrattenimento. Ci insegnano a percepire ciò che accade nella vita sociale e individuale. Tali descrizioni richiedono le tante sottili distinzioni che di fatto il linguaggio comune ci ha messo a disposizione» (2010, p. 97). Per questo motivo le idee sulla natura umana esercitano un effetto potente sull’immaginazione e sulle emozioni. Per analizzarle occorre una filosofia che abbia le caratteristiche del dio bifronte, Giano. Una prospettiva che possa guardare all’interno e all’esterno. Il volto scientifico interagisce con le scienze naturali e sociali. Il volto sociale, politico, interagisce con la nostra cultura, pone in discussione «la nostra vita e le nostre culture come sono state fino a ora, e di fatto ci sfida a riformarle» (cfr. Putnam 2010, pp. 89-99). Che per un tale fine sia necessario sviluppare una teoria politica consapevole delle sue implicazioni epistemologiche, sarà tema del secondo punto.


2. Normativo

Nei miei lavori precedenti (cfr. Battaglia 2011, 2016) ho presentato le critiche a cui è stata esposta l’antropologia politica. Una parte considerevole degli argomenti critici sviluppati nei confronti del Novecento si è concentrata sull’essenzialismo di tali posizioni. I critici si sono lamentati di due aspetti: in primo luogo, come possa essere possibile concepire un’immagine statica e costante dell’umano. La seconda obiezione fondamentale riguarda il modo in cui tali idee potrebbero essere in grado di svolgere il lavoro di orientare l’azione, di essere pratiche. Come possono le convinzioni teoriche effettivamente essere assunte in un argomento politico? Come si può dire che una certa idea circa la natura dell’umano con il corteo dei nostri giudizi ben ponderati sulla natura delle persone possa essere migliore di un’altra idea in competizione, e condurci a preferire una e non l’altra?
Strutture costanti e invarianti misconoscono - già secondo i primi critici - un carattere essenziale della natura umana: la sua variabilità storica e il suo carattere modificabile (cfr. Horkheimer 1935; Sartre 1958; Heidegger 1950; Habermas 1973). Secondo me, i critici hanno ragione a dubitare che un fatto, sia esso di origine metafisica o biologica, possa svolgere una funzione pratica (essenzialismo). Le critiche si appellano tanto all’incapacità di riconoscere il ruolo della storia da un lato, quanto al misconoscimento della libertà dall’altro. Tuttavia, tali critiche rimangono ferme agli aspetti decostruttivi, perché non elaborano un progetto per un’antropologia normativa. Detto in altre parole: l’analisi di tali critiche mostra che occorre chiarire come sia possibile che aspetti che attribuiamo alla nostra natura possano essere politicamente rilevanti. La mia tesi: solo sulla base di considerazioni epistemologiche, metaetiche e pratiche tale struttura normativa può essere chiarita.
L’obiettivo di questa indagine è di identificare questa normatività e di chiarirla a partire dalle idee conosciute della tradizione etica, della filosofia della scienza e della filosofia politica sulla natura umana. Questa ricostruzione deve qui purtroppo fare a meno di un confronto con la tradizione antica e moderna. Rimando per questo al volume di Alessandro Pandolfi (2006). Il recupero di tale patrimonio di legittimazione procede dall’analisi delle precedenti teorie filosofiche, a condizione che queste teorie non siano intese come unica fonte riguardo alla concezione della natura umana, ma siano piuttosto in grado di interagire con le credenze condivise e le intuizioni loro associate, le possano spiegare, chiarire e rendere coerenti. Questo è un requisito per la permeabilità selettiva delle teorie rispetto alle intuizioni quotidiane, così che tali intuizioni possano essere coerentemente messe assieme inizialmente in una struttura teorica e successivamente adoperate per riforme politiche. Chi ancora scorga in tale operazione il pericolo del relativismo deve interrogare le sue idee di giustificazione, obiettività e normatività.
Sarebbe strano dire che non abbiamo alcuna concezione normativa degli esseri umani quando si progettano università o si adottano misure di politica sanitaria o si discute di programmi di immigrazione. Deve essere possibile, a partire dalla pratica sociale della comunicazione e interazione, raggiungere convinzioni per quanto riguarda la natura umana per mezzo di una ricerca sistematica. Tali convinzioni si devono dimostrare adatte a essere applicate per risolvere i problemi e rispondere alle domande che in tale pratica si pongono. Tuttavia, la questione normativa fondamentale non deve essere risolta in precedenza e al di fuori di tale pratica.


3. Oggettivo

Sia l’etica cognitivista sia la razionalità pragmatistica costituiscono condizioni razionali. Tuttavia, queste condizioni non devono essere intese in modo che un punto di vista non personale abbia la meglio su credenze e desideri personali. L’obiettività che viene assunta dal concetto di natura umana deve essere intesa come intreccio di fatti, teorie e valori. Il concetto così compreso si oppone alla falsa credenza che se una convinzione è relativa a un soggetto deve perciò essere considerata esclusivamente personale (cfr. Schnädelbach 1992). Tale affermazione presuppone una falsa concezione della giustificazione. Le mie riflessioni su questo punto si ispirano al pragmatismo. Un discorso razionale sui valori nel senso sviluppato da Putnam (cfr. 2010, p. 96) è a mio avviso la condizione necessaria per sviluppare un concetto ben delineato di natura umana. Un dibattito razionale su valori, credenze e desideri non esclude il mondo della vita. Piuttosto tale dibattito può essere razionale solo nella misura in cui riconosce l’autorità del mondo della vita con il suo sapere prescientifico. L’ineluttabilità del mondo della vita è stata chiarita in modo esemplare da Putnam con la sua metafora dello “sgabello a tre gambe”. Solo la terza gamba, che rappresenta il mondo della vita, insieme con le gambe delle scienze umane e delle scienze naturali costituisce una seduta robusta. Solo seduti su questo sgabello, è possibile una comprensione di un concetto di natura umana “giusto”, anche se elaborato “solo” internamente. In altre parole, l’elaborazione internalista significa tenere in conto i risultati “esterni” delle scienze, senza tuttavia considerarli l’ultima autorità.
Thomas Nagel sottolinea che al fine di acquisire una considerazione obiettiva di un aspetto del mondo, occorre fare un passo indietro rispetto al nostro attuale punto di vista, e procurarsi così una nuova immagine, nella quale l’oggetto comprende la prospettiva soggettiva e il suo rapporto con il mondo (cfr. Nagel 1980.) Il punto di tale posizione è che ha uno stretto rapporto con l’esperienza di tutti i giorni e con la pratica umana, senza abbandonare la pretesa di fornire una visione che sia dirimente tanto per il punto di vista soggettivo o per l’azione umana quanto anche per gli eventi fisicamente compresi, che a loro volta entrano a far parte dell’ontologia fisicalista. Le conseguenze epistemologiche sono che l’obiettività non corrisponde all’ideale del punto di vista scientifico ordinario. Secondo questo punto di vista, una comprensione oggettiva della natura umana può essere raggiunta solo recedendo dal punto di vista personale, in modo da poter formare un parere obiettivo. Nella mia prospettiva invece è importante che non si lasci spazio ad alcuna sorta di ultima istanza, che avrebbe una sorta di esternalità, perché la condizione dell’internalità non sarebbe così più soddisfatta. L’enfasi che pongo sul carattere dell’internalità testimonia dell’ineludibilità del mondo della vita e dell’inclusione di prospettive personali che compongono l’oggettività della natura umana. Queste prospettive personali sono prese di posizione, valutazioni, ragioni che si giustificano attraverso il processo del dare e prendere ragioni che non è estraneo alla comunicazione quotidiana. Questo processo garantisce che tali ragioni possano essere accettate razionalmente. Pertanto è proprio da questo processo che deriva la loro oggettività.


4. Integrativo

Vi è la necessità di formulare un argomento epistemologico per risolvere la presunta contrapposizione tra le scienze naturali e quelle sociali e umane. Supponendo che invece di partire da due mondi o da due culture si parta piuttosto dall'unità del mondo della vita, ci si ritrova poi meglio attrezzati per affrontare tali controversie. Se il sapere non è separato dalla pratica, allora il suo valore sta nel fatto che esso può orientare le nostre azioni. Il sapere allora è dunque la capacità di essere guidati dai fatti e solo quando sappiamo qualcosa in questo senso, si può anche agire in accordo con le ragioni.
La pratica della comunicazione include anche i processi che rappresentano la conoscenza e tali processi sono rilevanti per gli esseri umani. Essi vengono mediati e tradotti dalla filosofia e dalle scienze sociali. Il fatto che la mia interpretazione si fondi su tali tesi rende possibile il collegamento con le discipline scientifiche.


5. Orientato al futuro e carico del passato

Qual è il significato di una concezione normativa della natura umana in connessione con la questione della configurazione del futuro? Grunwald (2010) ha articolato tre interpretazioni di tale concetto del futuro. Si tratta del futuro prognostico, del futuro creativo e del futuro evolutivo. Il futuro prognostico evidenzia la capacità di previsione della scienza, a tale capacità è attribuita grande importanza. In quest’articolazione mentre si tratta di realizzare ciò che è possibile, ci si riferisce alla mera fattibilità tecnica: solo le leggi della scienza e della tecnica vi hanno un ruolo. Nel futuro creativo e nel futuro evolutivo invece sono le idee normative delle persone a entrare in gioco. Infatti, la possibilità di plasmare il futuro è in queste due interpretazioni concepita come un disegno intenzionale. Il futuro non è un foglio bianco, una tabula rasa, piuttosto, il passato vi proietta la sua ombra. Questa influenza del passato non deve però essere intesa in senso deterministico. Il passato con i suoi valori può essere tanto confermato quanto messo in discussione. Quest’apertura, però, non deve essere intesa nel senso radicale di Sartre, vale a dire nel modo più completo indeterministico, ma piuttosto come la capacità di agire in modo diverso, nel senso di farsi guidare dalle ragioni. A questa strutturazione si collegano le successive articolazioni che fanno capo alla responsabilità (cfr. Nida-Rümelin 2001, 2005 e 2011).
La possibilità di selezione tra una varietà di alternative gioca un ruolo importante. Dunque la fattibilità tecnica ha un impatto sulla progettazione e interpretazione intenzionale del futuro. La situazione è diversa quando si parla del disegno evolutivo del futuro. Il punto di vista evolutivo del futuro, che è da equiparare a una sorta di teoria dello sviluppo della tecnica, sostiene che la tecnica ha il suo impulso dinamico che non è disponibile a farsi guidare da un disegno intenzionale. Questa prospettiva è particolarmente rilevante perché può anche accadere che proprio attraverso l’evoluzione, non quella dei manufatti, ma del modo in cui l’umano interagisce con essi, si dissolve la capacità umana di progettare nuovi futuri. In vista di tali esiti negativi è importante sviluppare, come correttivo, un’adeguata lettura del passato. Ciò non significa che dal passato non ci sia nessuna uscita, ma piuttosto che il confronto critico con il passato possa servire a mantenere condizioni tali di apertura che rendono possibile una continua modificazione dell’essere umano. Ciò costituisce nella mia prospettiva la comprensione minimale della natura umana, che consentirà ulteriori modifiche dell’umano nell’ambito dell’umano.


6. Rivedibile

La natura umana si può caratterizzare ulteriormente con riferimento al suo essere sempre disponibile a revisione, il cui carattere può essere potenzialmente sempre migliorato. Da una tale considerazione relativa non deve rimanere escluso il divenire di valori diretti verso un obiettivo comune. L’importanza di una tale concezione che comprende la natura umana intesa come un concetto cognitivo è che essa si basa su convinzioni che possono essere vere o false. Pertanto, tale interpretazione si è sviluppata da una teoria della normatività che ha alla sua base una concezione cognitivista dell’etica e delle altre sfere normative della prassi comunicativa umana, eminentemente nella politica.


7. Orientato all’applicazione

Poiché questa indagine è vincolata alla priorità della prassi, non fa meraviglia che questo rapporto sia rilevante per l’uso di tali concetti. Si tratta di un approccio pragmatistico di derivazione kantiana. La teoria è sviluppata dal mondo della vita quotidiano e dal sapere prescientifico che lo regola. In questo stesso spazio la teoria trova applicazione. Poiché, anche durante l’applicazione si possono presentare domande teoriche nuove, tale circostanza è una condizione di tutto il progetto sistematico. Nida-Rümelin (1996) ha sostenuto in maniera convincente che il concetto di applicazione è carico di teoria. Questa posizione non è naturalmente condivisa da coloro che intendono il rapporto teoria/prassi come un rapporto unidirezionale e, di conseguenza, come una sorta di checklist, di lista di controllo i cui punti necessitano solo di essere applicati nella pratica senza includere una conferma o messa in discussione della teoria. La posizione da me sviluppata impone nuove sfide a livello di pratica per la teoria etica. A partire dalle riflessioni di Steven Toulmin (1981; 2001) la teoria offre più che dei meri princìpi che devono essere applicati. Corrispondentemente la pratica rappresenta qualcosa di più del mero campo di applicazione, dove la teoria viene esercitata passivamente. La pratica è da considerarsi non solo come un semplice esercizio della teoria, perché proprio tale esercizio consente di fornire nuovi argomenti e di mettere le tesi alla prova.


Conclusione

Il punto di partenza di una concezione della natura umana non intesa come concetto essenzialista richiede che si guardi nella direzione giusta. Il punto di partenza è quindi una concezione cognitivista dell’etica e della politica, la cui autonomia normativa faccia perno sull’interazione sociale della prassi umana comunicativa. In questa concezione le cognizioni psicologiche forniscono il materiale a una teoria sociale della razionalità pratica ulteriormente rafforzata dai risultati delle scienze empiriche. Che ruolo vi hanno le emozioni? Esse sono sempre coinvolte, in quanto l’olismo del concetto di natura umana fa appello alla nostra costituzione emotiva. In secondo luogo, le idee circa la natura dell'uomo essendo incluse nella forma narrativa dei racconti a loro volta influenzano anche la sfera affettiva.
Inoltre, una tale concezione deve essere in chiaro rispetto alle sue pretese di verità. Sono giustificate naturalisticamente? Oppure sono dimostrate in maniera non naturalistica? Se sono dimostrate in maniera non naturalistica, vuol dire allora che la scienza non svolge alcun ruolo nel determinare la natura umana? Niente affatto. La scienza ha ben la sua voce nei discorsi sulla natura dell'uomo. Solo la sua voce è disciplinata in senso kantiano. Circa il ruolo disciplinante della pretesa imperiale della scienza dà sufficiente informazione l’argomento sviluppato da Kant nella prefazione alla seconda edizione della Critica della ragion pura. La situazione appare diversamente se, invece del limite della scienza, entra in gioco l’interazione delle conoscenze scientifiche. Allora il flusso di conoscenze utili si riversa in una forma diversa nella concezione culturalmente codificata della natura umana.
In queste considerazioni si tratta di chiarire ciò che rende la specificità dell’oggettività della natura umana e i modi che la descrivono al meglio.
Il concetto di natura umana soddisfa nella mia interpretazione l’ulteriore condizione che richiede da esso lungimiranza e conoscenza del passato. È in armonia con una concezione intenzionale che vede un suo compito nell’operazione di plasmare il futuro. Secondo questa visione del futuro dell’umano esso è aperto alle modifiche. Non ci sono limiti di principio, se non quelli che minacciano le condizioni che rendono possibile che l’uomo modifichi costantemente se stesso.
Il concetto di natura umana ha un ruolo in una varietà di contesti e di ragionamenti fondativi a cui fornisce orientamento e indicazioni. Quali implicazioni ha questo? Come conseguenza vale che non ci sono convinzioni che lo concernono - cosa che vale peraltro per tutte le altre credenze che condividono il suo carattere normativo - che non possano essere migliorate. Nessuna intuizione e nessuna convinzione possono essere sottratte a una valutazione critica. Tale tesi deriva dal terzo punto della tassonomia del pragmatismo di Putnam, vale a dire dal punto rispetto al fallibilismo.
Essere orientato all’applicazione è l’ultima proprietà del concetto di natura umana che ho cercato di disegnare in maniera normativa. Questo significa più di una semplice volontà di fornire una guida nel caso in cui le nostre intuizioni risultano deboli o addirittura contraddittorie. Piuttosto, ho mostrato che questo orientamento all’applicazione deve essere inteso in senso contrario. Gli esempi concreti forniti dalla prassi sono da intendersi epistemicamente come interventi che fanno parte della teoria, consentendo loro di metterla in questione e, se del caso, richiederne la revisione.


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