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Lelio Basso.
Tensione ideale, elaborazione teorica, impegno politico

Andrea Mulas
Articolo pubblicato nella sezione “Libertà e democrazia nella cultura politico-giuridica italiana”
«È più importante aiutare a pensare che insegnare dei pensieri,
suscitare lo spirito critico piuttosto che ammannire dei pensieri dogmi».
(Lelio Basso, 1976)

Antifascismo, Assemblea Costituente, Costituzione


[...] giovane, ventitreenne, a correre per un anno l’Italia per ritrovare, incoraggiare, collegare, organizzare giovani disposti alla stessa battaglia, disposti in modo particolare a ricominciare per conto nostro, senza i vecchi capi e senza le vecchie formule, la difficile strada del socialismo (Basso 1963, p. 66).


È lo stesso periodo (1924) in cui Lelio Basso - ventunenne - assume a Milano la presidenza del Gruppo goliardico per la libertà (con Rodolfo Morandi vicepresidente) e all’indomani dell’omicidio Matteotti stabilisce un rapporto di «strenua fedeltà destinato a durare nel tempo» (Contorbia 1980, p. 21) con Piero Gobetti iniziando a collaborare con la sua rivista “La Rivoluzione Liberale”, e poi a seguire “Il Caffè”, l’“Avanti!”, “La Libertà”, “Il Quarto Stato”, “Conscientia” e “Pietre”. Promoteo Filodemo, questo l’evocativo pseudonimo utilizzato da Basso in quegli anni, in cui conoscerà il carcere e il confino per la sua attiva propaganda antifascista.


[...] noi sappiamo che il nostro compito non è tanto di difendere la democrazia, che è ben lungi dall’esistere in Italia, quanto di realizzarla, di conquistarla contro la resistenza tenace dei ceti oligarchici che difendono ostinatamente i lori privilegi. Sappiamo altresì che la vittoria repubblicana del 2 giugno è essenzialmente una vittoria della classe lavoratrice, la quale ha così rimosso alcuni ostacoli sulla via che conduce all’attuazione della democrazia, ma è stata nettamente arrestata dalla sconfitta subita sul terreno della Costituente (Basso 1946, pp. 173-175).


Anche per questo motivo, in senso all’Assemblea Basso rivestirà un ruolo di primo piano nella formulazione di alcune delle più importanti disposizioni della Legge fondamentale.
Tutto il suo percorso biografico è caratterizzato da quello che Enzo Collotti ha definito «la tensione ideale, l’elaborazione teorica, l’impegno politico» (Collotti 1978, p. 11).
Intervenendo in Assemblea costituente nella discussione sul progetto di Costituzione:


noi pensiamo che la democrazia si difende, che la libertà si difende non diminuendo i poteri dello Stato, non cercando di impedire o di ostacolare l’attività dei poteri dello Stato, ma al contrario facendo partecipare tutti i cittadini alla vita dello Stato [...]. Solo se noi otterremo che tutti i cittadini siano effettivamente messi in condizione di partecipare alla gestione economica e sociale della vita collettiva, noi realizzeremo veramente una democrazia.


Il richiamo alla formulazione dell’articolo 3 della Carta costituzione è esplicito. In special modo il secondo comma («È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese») sull’eguaglianza sostanziale «innesta sul tronco istituzionale la contraddizione sociale, che forza le istituzioni a misurarsi con il conflitto tra esclusione e partecipazione» (Rodotà 1989, p. 19). Questa norma, frutto anche della «fiduciosa sapienza giuridica» (ibidem) di Massimo Severo Giannini, impegna lo Stato a eliminare le diseguaglianze, quotidianamente, e quindi ad aggiornare l’impianto giuridico per rispondere alle esigenze del presente e alle sfide del futuro.
Dirà categoricamente Basso che «questa norma in un certo senso smentisce la Costituzione, dice che tutto è una menzogna nella Costituzione fino a che questo capoverso dell’art. 3 non sarà attuato» (ivi, p. 20). D’altronde per il costituente socialista un’autentica democrazia deve, nella sua concezione, garantire - ossia assecondare le spinte che provengono dalla base sociale - a tutti i lavoratori e lavoratrici una sicurezza economica e sociale. La novità di quella che viene (ancora oggi) considerata la “norma-principio” risiede nel fatto che per la prima volta si procede sulla via del riconoscimento del diritto all’uguaglianza sociale ed economica, un vero pungolo che pertanto rende necessario l’intervento pubblico teso a conformare la realtà alle disposizioni sancite dalla Costituzione. Proprio dignità e lavoro «sono i due nuovi punti d’avvio» di essa, capaci di rinnovare e rafforzare il significato dei fondamenti della libertà e dell’uguaglianza che, ha fatto notare Stefano Rodotà, li colloca «in un contesto nel quale assume rilevanza primaria la condizione reale della persona, per ciò che la caratterizza nel profondo (la dignità) e per quello che la colloca nella dimensione delle relazioni sociali (il lavoro)» (Giorgi 2015, p. 189). L’art. 3, unanimemente considerato dalla dottrina come la pietra angolare della Costituzione, protende al superamento della democrazia formale e all’incardinamento della democrazia sostanziale. Si riscoprono così le parole di Piero Calamandrei, secondo cui la Costituzione non indica «il punto d’arrivo di una rivoluzione già compiuta», ma «il punto di partenza di una rivoluzione (o di un’evoluzione) che si mette in cammino» (Calamandrei 1946, pp. XLI-XLII).
Nell’ottica bassiana la Carta costituzionale, nella sua dinamicità, è concepita come un impegno programmatico della nuova democrazia in una prospettiva di “via italiana al socialismo”.
Come ha evidenziato Elena Paciotti, «Basso esaltò, contro ogni massimalismo e ogni empirismo, il ruolo progressista della battaglia per un nuovo diritto. Sottolineando la funzione ideologica dell’ordinamento giuridico ("cioè quella di far credere ai cittadini che essi sono tutti uguali di fronte alla legge, mentre nella realtà, nel substrato che si cerca di nascondere, i cittadini sono profondamente disuguali")» (Paciotti 2013, p. 11).
Parimenti importante per il rafforzamento delle istituzioni democratico-repubblicane antifasciste è la formulazione dell’art. 49 della Costituzione («Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale»), che sancisce il ruolo determinante del partito politico quale chiave istituzionale della vita democratica e che Basso più volte tornerà a rivendicare


nel senso che l’articolo si inserisce in un evidente processo di trasformazione delle nostre istituzioni democratiche per cui alla democrazia parlamentare [...] si è venuta sostituendo la democrazia dei partiti già in atto [...]. Il principio del riconoscimento ai partiti di attribuzioni di carattere costituzionale rappresenta una specie di avviamento a superare tutte le forme di tipo puramente individualistico antiquato con una nuova concezione di democrazia di partiti, e pertanto deve trovare posto in una formula della Costituzione (Basso 1966, pp. 142-143).


L’art. 49 rappresenta sicuramente una innovazione rispetto alla tradizione costituzionale occidentale, riconoscendo a tutti i partiti, e quindi anche all’opposizione, la funzione di concorrere alla determinazione della politica nazionale.
L’obiettivo che Basso si propone non è tanto quello di fissare norme per una rigida disciplina di partito, quanto piuttosto di creare un sistema che trascenda la rappresentanza politica di stampo liberale, fondata su un rapporto personale fra eletto ed elettori, e che consenta invece una rappresentanza politica programmatica. Solo una rappresentanza politica di questo tipo è in grado di produrre quello che Basso vorrebbe mettere a fondamento della democrazia italiana: una responsabilità collettiva (dei gruppi dirigenti e di tutti i partiti parlamentari) (Rodotà 1989, p. 45). In quest’ottica, affermerà,


l’opposizione diventa perciò, da questo punto di vista, una garanzia di democraticità, di rispetto cioè delle norme democratiche stabilite a tutela di tutti i cittadini, nonché delle libertà civili e politiche, diventa cioè un limite permanente al possibile prepotere della maggioranza (Basso 1958, p. 379).


Quindi viene riconosciuto un ruolo centrale dei partiti nell’impianto costituzionale, ma il popolo rimane «l’autentico depositario della sovranità» esercitata il 2 giugno 1946 nell’«alba della Repubblica» tramite il referendum istituzionale e il cui esito, ribadisce Basso a trent’anni di distanza, «assumeva un preciso significato di rottura col passato e sanzionava, anche sul piano formale, la volontà popolare di rottura espressa con le armi durante la Resistenza» (Basso 1976).


Democrazia come partecipazione e conflitto

Lelio Basso non è stato soltanto quell’appassionato uomo politico che - come ha scritto Norberto Bobbio - «aveva capito che in una prospettiva mondiale la storia del socialismo, contrariamente a quello che pensano coloro cui la paura di perdere il potere ha reso la vista corta, era appena cominciata» (Bobbio 1992, p. 17). Da giurista, negli anni successivi all’entrata in vigore della Costituzione, partecipa attivamente all’attività dei Comitati di Solidarietà democratica sorti nell’estate del ’48 per difendere i partigiani nei processi penali intentati nei loro confronti per gli atti di violenza, ma anche per le attività di supporto e di fiancheggiamento compiuti nel corso della Resistenza e della guerra partigiana, trattati come crimini comuni, non essendo stati i partigiani assimilati ai membri regolari delle forze armate. Il Comitato nazionale di Solidarietà democratica era stato fondato da Umberto Terracini e raccoglieva giuristi e avvocati noti come lo stesso Basso, Giuliano Vassalli, Pasquale Filastò, o più giovani come Carlo Smuraglia.
In questo impegno si inserisce anche l’attività di difesa in diversi processi politici a carico di militanti di sinistra. Esemplare è l’arringa nel dibattimento nei confronti dei minatori di Abbadia San Salvatore imputati per i moti del luglio 1948 scoppiati a seguito dell’attentato a Palmiro Togliatti, e le cui manifestazioni culminarono alle pendici dell’Amiata in scontri violenti tra i minatori e le forze dell’ordine. Basso è protagonista in altri collegi di difesa di lavoratori nel sud Italia, ma anche a Mantova, La Spezia, Modena. Qui difende gli operai delle Officine Orsi, e nella sua arringa evidenzia l’«amara beffa» di un processo che mette alla sbarra le vittime e non i carnefici: «Se formalmente io parlo come difensore, sostanzialmente accuso». Basso infatti con la sua capacità oratoria ribalta l’andamento del processo e attacca la mentalità e i metodi retrivi delle forze di polizia, denunciando contestualmente il «contrasto fra un passato che non vuole morire e un presente che afferma i suoi diritti consacrati nella Carta suprema dello Stato» (Monina 2016, p. 78). Tutti gli imputati verranno assolti.
La questione degli abusi impuniti commessi dalla polizia in tutto il Paese è al centro del suo volume La tortura oggi in Italia (Edizioni Civiltà, Milano 1953) che rappresenta la prima denuncia a livello nazionale, e che Basso termina con l’amara consapevolezza: «che la tortura potrà realmente sparire solo in una società in cui la dignità umana non sia più considerata un privilegio, ma sia seriamente riconosciuta a tutti gli uomini, etiam si sint pauperes» (Basso 1953, p. 96).
Nonostante l’intensa attività politica, nel gennaio 1958 appare il primo numero della rivista «Problemi del socialismo», fondata e diretta dallo stesso Basso, in cui convergono lo spirito e i temi che segnano sia la ricerca della “via italiana al socialismo” sia la rinnovata apertura internazionale (Monina 2016, p. 150). Nello stesso anno viene pubblicata la sua opera più nota, Il Principe senza scettro, in cui propone un bilancio dello sviluppo della democrazia in Italia a dieci anni dall’entrata in vigore della Costituzione, e dal quale emerge l’«inattuazione» della Carta.


I diritti dei popoli

Al contempo, la dimensione internazionale è stata sempre presente nel lavoro politico e teorico di Basso con una sensibilità particolare e un approccio a-centrico verso i movimenti di liberazione dei popoli e le istanze del cosiddetto “Terzo mondo”.
A partire dai primi anni Sessanta aumenta progressivamente il suo impegno internazionalista, i cui primi passi saranno il viaggio in Africa, ad Accra, capitale della neorepubblica indipendente del Ghana, per partecipare alla conferenza “The World Without the Bomb”, l’interesse per la rivoluzione cubana e la partecipazione (come membro indipendente della delegazione italiana) al Congresso mondiale per il disarmo e la pace che si svolge a Mosca nel luglio 1962, nel corso del quale abbozza la categoria del “diritto dei popoli” che inciderà nella sua azione politica e umana negli anni a venire.
Il “Terzo mondo” entra quindi definitivamente nel suo orizzonte politico-culturale e inizia a seguire con attenzione i movimenti di liberazione africani, e in generale quelle transizioni politico-istituzionali che aspirano al superamento della dipendenza dall’imperialismo. La sua azione non si limita al sostegno fattivo alle battaglie per l’indipendenza.
Considerato uno dei più importanti interlocutori politici dei movimenti di protesta contro la guerra in Vietnam, nel novembre 1966, viene invitato dal premio Nobel Bertrand Russell a presiedere la prima Commissione d’inchiesta dell’”International war crimes tribunal” (noto come “Tribunale Russell”) per giudicare i crimini commessi in Vietnam dagli Stati Uniti. In questa veste di giudice relatore si reca in Vietnam dove incontra il primo ministro Pham Van Dong e Ho Chi Min, e al termine delle due sessioni del tribunale d’opinione (Stoccolma e Copenaghen) presenta il rapporto conclusivo denunciando la «dottrina del “globalismo” [...] che giustifica l’intervento americano in ogni parte del globo» che ha causato «il volontario sterminio di vittime accidentali (cioè scelte non per delle ragioni personali ma per il fatto che appartengono al gruppo) appartenenti a un gruppo di carattere nazionale, razziale, etnico o religioso» (Basso 1968, p. 120).
La «vocazione costituente» (Rodotà 1989, p. 17), come l’ha definita Stefano Rodotà, che era emersa chiarissima nell’esperienza dell’Assemblea costituente, accompagnerà Basso per tutta la vita. Lo vedrà relatore principale nell’”International war crimes tribunal”, oltre che ideatore e fondatore del “Tribunale Russell II” sull’America Latina (TRII). In questo contesto reinterpreta il ruolo dei diritti, legittimando i popoli, anziché gli Stati, come soggetti di diritto internazionale che avranno riconosciuta piena cittadinanza nella Dichiarazione universale dei diritti dei popoli (nota come Carta di Algeri, ufficialmente presentata il 4 luglio 1976) e nel Tribunale Permanente dei Popoli, che ancora oggi è impegnato su questo fronte.
In questa sede merita sottolineare il ruolo che assume il TRII nel dare contenuto sostanziale depoliticizzato (superando il mero formalismo giuridico della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948) alla categoria dei “diritti dei popoli” (ancora attualissima), in virtù del quale si propongono quali soggetti di diritto internazionale i popoli del “Terzo mondo” - più in generale del Sud del pianeta - e il loro diritto all’autodeterminazione, al controllo delle risorse naturali ed economiche del proprio territorio: «L’evoluzione del diritto internazionale dovrà dare ai nuovi paesi gli strumenti affinché la loro voce risuoni in tutto il mondo, dato che i governi dei paesi occidentali sono ancora fermi al vecchio diritto quando i paesi del Terzo mondo ancora non esistevano», si legge nella Dichiarazione costitutiva del TRII. Si tratta - come accennato - di un approccio metodologico analogo a quello che l’aveva guidato nella sua opera di costituente prima e di interprete della Costituzione italiana, poi. Come ha sottolineato Salvatore Senese, il Basso internazionalista individua


alcuni precetti-guida che valessero a illuminare tutte le altre disposizioni [del diritto internazionale] sistemandole in un contesto di senso coerente e univoco. A tali precetti egli assegna il ruolo che - secondo il suo insegnamento -, svolgevano, nella Costituzione italiana, l’art. 3 capoverso e l’art. 49. Questi precetti erano individuati nella protezione della pace, nei diritti dell’uomo e nei diritti dei popoli (Senese 2012, p. 75).


Questo (inedito) approccio fa emergere in primo piano il popolo, quale nuovo soggetto di diritto, che sollecita a spostare il centro di gravità del sistema delle relazioni internazionali dagli Stati ai popoli. Sotto questa spinta si affermano nuovi valori nelle assemblee e risoluzioni delle Nazioni Unite, nelle conferenze internazionali, tra le istanze politiche, morali e religiose, nello stesso sentire comune.
Di fronte alle incertezze del diritto internazionale, la Carta di Algeri, invece, mette in rilievo il carattere collettivo dei diritti fondamentali e proclama il diritto all’autodeterminazione politica dei popoli. Ognuno dei principi della Dichiarazione esprime aspirazioni ed esigenze, dotate di vocazione universale, emerse dalle lotte dei popoli. Al tempo stesso, ognuno di quei principi trova in queste lotte lo strumento della propria realizzazione storica.
«In situazioni di transizione come questa il nuovo nasce in contrapposizione al vecchio e non certo facendo appello al potere che esso vuole scuotere. E la legittimazione di questo “nuovo” deriva dalla sua capacità di interpretare esigenze reali». La Dichiarazione universale dei diritti dei popoli nasce proprio dall’interpretazione di queste esigenze reali, e non rappresenta, dice Basso, una «fantasia utopistica», «ma il frutto di uno studio attento - fatto da giuristi di una quindicina di paesi - delle trasformazioni già in corso nel diritto internazionale sotto la pressione appunto dei paesi nuovi e dei bisogni della comunità internazionale» (Salvati, Giorgi 2003, p. 303).


La rivoluzione come processo democratico

Si comprende perché il tema della rivoluzione, delle sue possibilità e modalità di sviluppo sia centrale nelle elaborazioni bassiane. Da qui la sua interpretazione della rivoluzione come processo, dando particolare rilievo ad un passo solitamente poco citato di Marx, dove il processo rivoluzionario viene definito come «la partecipazione cosciente della classe operaia ai processi che si sviluppano già all’interno della società capitalistica» (Giorgi 2015, p. 176). La sua analisi non dogmatica dei testi lo porta ad affermare che «la forza del marxismo sta appunto nell’essere una dottrina aperta, una dottrina che ha inteso che la realtà è una realtà storica, cioè in continuo sviluppo, attraverso lotte e contrasti continui» (Basso 1948, pp. 3-9).
Emerge chiaramente la «interpretazione processuale della rivoluzione (la rivoluzione come processo)» (Giorgi 2015, p. 176), tanto che (in linea teorica) la modifica dell’ordinamento giuridico e istituzionale di stampo capitalistico-borghese diventa possibile attraverso la divaricazione delle contraddizioni dello stesso sistema pur rimanendo nell’alveo della legalità. Il “luogo teorico” in cui Basso tratta approfonditamente il problema della strategia della transizione al socialismo, che costituisce la tematica principale di tutta la sua elaborazione politica e teorica, è il convegno internazionale “La transición al socialismo y la experiencia chilena” (Santiago del Cile, ottobre 1971). Nella relazione emblematicamente titolata “L’utilizzazione della legalità nella fase di transizione al socialismo” Basso invita a tener conto dell’insegnamento luxemburghiano contro il dogmatismo utopico avulso alla realtà, secondo cui «la rivoluzione socialista non è un tentativo disperato di una minoranza di modellare il mondo con la forza secondo un proprio ideale, ma l’azione delle grandi masse popolari di milioni di uomini, chiamate a compiere una missione storica» (Basso 1971, p. 43), come era quella che stava affrontando il governo dell’Unidad popular guidato dal presidente Salvador Allende, ma che terminerà tragicamente per mano dei militari.
Probabilmente tra le pagine più significative delle sue riflessioni, Basso rovescia il paradigma, ovvero il diritto non può essere concepito solo come un apparato repressivo di norme: tutt’altro, il diritto, come il potere in generale, non può che essere la risultante della lotta fra classi, non può non riflettere, anziché la volontà della sola classe dominante, i rapporti di forza esistenti fra le varie classi sociali e, anche, fra i vari gruppi esistenti all’interno della stessa classe (cfr. Basso 1971, p. 832).
Emerge tutta la valorizzazione del terreno istituzionale e legale visto come terreno di effettiva “conquista” e di reale avanzata, segno - ha scritto Mariuccia Salvati - del sostanziale ottimismo che ripone Basso nel valore dell’educazione politica e della sua tenace fiducia nell’operaio-cittadino, reso cosciente dagli strumenti di crescita democratica conquistati nelle battaglie politiche e sociali (cfr. Salvati 1988, p. 16).


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