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Nenni: un uomo del popolo

Valdo Spini
Articolo pubblicato nella sezione “Libertà e democrazia nella cultura politico-giuridica italiana”

Nel barocco cerimoniale della I Repubblica, quando il Presidente del Consiglio incaricato leggeva al Quirinale i nomi dei componenti del nuovo governo, li faceva precedere da tutti i titoli accademici: Ministro degli Affari Esteri, l’on. Le Prof. Dr..., Ministro degli Affari Interni, l’on. Le Dr. Avv... e così via.
Quando nel 1964 Nenni fu nominato vicepresidente del Consiglio del Governo di Centro Sinistra era l’unico cui, più che di onorevole non gli si poteva dare. Nenni era veramente un uomo del popolo, che era stato anche in orfanotrofio a Faenza, la sua città natale ed era diventato un brillante giornalista, un uomo di cultura, un grande uomo politico, grazie al proprio personale sforzo di autodidatta e alla sua forza e curiosità intellettuale. Già questo lo segnala nella sua originalità nel panorama politico italiano.
Da questa sua origine deriva senza dubbio una delle sue definizioni più fortunate di socialismo: «socialismo - egli disse - è portare avanti chi è nato indietro», una definizione viva ed attuale anche oggi di fronte alla crisi intervenuta nella rappresentanza politica tra la sinistra e la sua tradizionale base elettorale.
Nenni è stato l’uomo delle grandi unità - il patto di unità d’azione, il Fronte Popolare con il Partito Comunista - e delle grandi rotture a sinistra: l’autonomia socialista, il primo centrosinistra, cioè la prima modernizzazione dell’Italia negli anni Sessanta, con il Psi al governo e il Pci all’opposizione. Lo è stato anche nell’area socialista. Protagonista insieme a Filippo Turati della riunificazione tra massimalisti e riformisti nell’esilio francese nel 1934, ma anche della scissione (che egli non contrastò) di Palazzo Barberini del 1947 con il Psdi di Giuseppe Saragat, della successiva effimera riunificazione del 1966, cui doveva seguire la nuova scissione del 1969.
Una biografia politica lunga, complessa, avvincente, cominciata nel 1914, da giovane repubblicano rivoluzionario con la settimana rossa di Ancona, continuata con l’adesione al Psi all’indomani dell’assalto fascista subito da «l’Avanti» a Milano nel ‘21, del successivo rifiuto della confluenza con il Pci e poi nell’esilio francese, nella guerra di Spagna, nella cattura da parte della Gestapo in Francia, nel ritorno in Italia al confino di Ponza nel 1943, alla Liberazione e alla assunzione della leadership dello stesso Psi da allora per i primi due decenni della vita della Repubblica.
Grande leader socialista, ma anche un grande leader della sinistra. Il comizio di Nenni era uno degli avvenimenti popolari più sentiti. Un comizio sapientemente e freddamente costruito, perfino nella previsione della ricerca degli applausi, ma pieno altresì di quella passione che gli permetteva di fare appello a tutto il popolo della sinistra italiana, socialisti e comunisti. Ciò avvenne in particolare durante la campagna per il Fronte Popolare del 1948 di cui egli fu il protagonista anche se il Psi, il suo partito, ne uscì elettoralmente massacrato. Significativo l’episodio di questa campagna ricordato da Mauro Ferri*, allora segretario della federazione aretina del Psi. Ferri doveva organizzare il comizio di Nenni ad Arezzo e andò a chiedere alla federazione comunista di farvi partecipare anche i militanti comunisti locali. I dirigenti aretini del Pci gli fecero osservare un po’ freddamente di avere in programma nello stesso giorno il loro congresso, ma che se il leader socialista avesse voluto avrebbe potuto portarvi il suo saluto. Detto e fatto, Nenni si reca al congresso del Pci, viene debitamente omaggiato, pronuncia il suo applaudito saluto. Poi si alza per andare in piazza a fare il comizio del Psi per il Fronte Popolare, ma l’entusiasmo che aveva suscitato era tale che i delegati al congresso del Pci si alzano a loro volta e lo seguono in piazza, frustrando il cerimoniale predisposto dai loro dirigenti.
In realtà quello che avvenne nel biennio 1946-48, cioè la clamorosa sconfitta col Fronte Popolare e nel Fronte Popolare, fu un fatto gravissimo per il Psi che nelle elezioni del 1946 per l’assemblea costituente era risultato il secondo partito italiano dopo la Dc, ma prima del Pci. Questi anni segnano una pesante eredità per il Psi che da quel momento fu costretto a correre in salita rispetto al Pci, diventato irreversibilmente il più forte partito della sinistra italiana.
Nenni, che pure aveva ricevuto il Premio Stalin, seppe successivamente correggersi e riprendersi, a cominciare dalla sua reazione al XX congresso del Pcus e dalla denuncia dei crimini di Stalin effettuata dal nuovo segretario Kruscev. Egli non accettò di spiegare come errori personali di Giuseppe Stalin quanto era avvenuto e li analizzò come derivanti da difetti strutturali del sistema comunista e li denunciò come tali, certamente a prezzo di dure polemiche mossegli dal Pci. È vero, d’altra parte, che egli era il solo leader che per il suo prestigio era in grado di condurre il Psi fuori dall’alleanza frontista.
La rottura tra socialisti e comunisti seguita alle denunce di Kruscev dei crimini staliniani, e della invasione dell’Ungheria nel ’56, fu dura e lacerante specie nelle regioni dove la sinistra governava, in cui l’elettorato socialista successivamente subì le maggiori perdite durante il centro sinistra. A tanti anni di distanza si deve dire con molta chiarezza che il Nenni del testo “Le prospettive del socialismo dopo la destalinizzazione”, quando si rifiuta di addebitare agli errori di un uomo, per quanto potente come Stalin, le degenerazioni del sistema sovietico; che condanna l’intervento in Ungheria; che avvia un cammino di riconciliazione con l’Internazionale Socialista (il Psi vi era stato espulso per il suo frontismo nel periodo stalinista); che dopo i fatti di Genova del luglio ‘60 e la caduta del Governo Tambroni, concorre a creare una governabilità democratica e apre, con il centro sinistra, un cammino di riforme del nostro paese, quel Nenni, sia pure in ritardo, aveva ragione. E ha dato un grande e storico contributo alla democrazia italiana. Diciamo che aveva avuto ragione in ritardo, perché analoga lucidità di analisi alla ripresa della vita democratica gli era mancata. Allora, nel 1947 era stato Saragat a capire i termini della situazione internazionale. Ma, a differenza di Saragat, Nenni, con l’aiuto determinante di Riccardo Lombardi, riuscì a spostare su quella posizione, nel 1956-57, una parte veramente consistente e rappresentativa della sinistra italiana. Aveva ragione Nenni e torto il Pci che non seppe fare un’analisi altrettanto impietosa di quegli errori, cercando di riassorbire la rottura di continuità del XX Congresso del Pcus nella teoria della via italiana al socialismo e giustificando poi la repressione dei carri armati sovietici a Budapest.
Storicamente si può quindi dire che l’autonomismo di Nenni, e cioè l’azione dura e tenace per far vivere ed agire una sinistra non comunista negli anni in cui il mondo era diviso tra Est e Ovest, fu giusta ed utile a tutti, comunisti compresi. Nenni è, quindi, per tutta la sinistra un punto di riferimento storico da rivendicare, un leader della sinistra in cui riconoscersi.
Come si diceva, Nenni, ebbe certamente torto ad effettuare nel 1948 - unico tra leader socialisti europei di allora - la scelta del Fronte Popolare. Ciò perché le condizioni internazionali erano del tutto negative (rottura con l’Internazionale Socialista di allora e viceversa guida stalinista del blocco comunista). Ma oggi, nel XXI secolo, dopo la caduta del muro di Berlino del 1989, riproporre il tema dell’unità della sinistra italiana in un franco, esplicito e diretto riferimento al socialismo europeo, sarebbe compiere qualcosa che in qualche modo può riannodare quel filo della sinistra che nel 1956 si era spezzato e che, dopo “il duello a sinistra” degli anni Ottanta tra Craxi e Berlinguer, l’ha lasciata di fatto indebolita e minoritaria.
Due punti vorrei sono infine da sottolineare. La sua laicità, il suo interesse per la politica estera.
Proprio a Faenza, la sua città di nascita, città “bianca” in una Romagna prima repubblicana e poi rossa, egli volle simbolicamente prendere la parola per una delle sue ultime importanti uscite politiche e cioè per un comizio contro l’abolizione del divorzio nel referendum del 1974. Proprio per sottolineare che importanza Nenni dava alla difesa di uno Stato laico, capace di riconoscere i diritti civili. Anzi, in proposito, posso anche ricordare il commento che egli fece della vittoria in quel referendum: “Hanno voluto contarsi e si sono contati”. Uno di quegli slogan sintetici ed espressivi con i quali da grande giornalista sapeva compendiare con semplicità dei concetti molto complessi.
Nenni, nella sua vita, ha cercato sempre di iscrivere la sua azione nell’ambito di una concezione non provinciale della politica. Lo stesso errore del Fronte popolare sta pur sempre dentro l’esperienza compiuta nei Fronti popolari di Francia e di Spagna degli anni Trenta. Nel 1946, a Firenze, fece venire al primo Congresso del Psi ancora unito, il grande teorico laburista Harold Laski. Sognò in quell’epoca una unità della sinistra italiana collocata in una sorta di riferimento binario alla Gran Bretagna laburista da un lato e all’ Unione Sovietica comunista, una linea politica del tutto irrealizzabile. Ma, proprio perché non cessò mai fino all’ultimo di collocare la politica socialista nell’ambito europeo internazionale, la stessa politica di centro sinistra in Italia fu preceduta dalla sua rottura con il comunismo sovietico degli anni 1956-1957.
Insieme a Riccardo Lombardi si incontrò negli anni Sessanta con Pierre Mendès-France e Aneurin Bevan per ricostruire una solidarietà socialista europea da cui il Psi, espulso dall’Internazionale socialista, era ancora escluso. È in questo ambito che va inquadrato lo sforzo di Pietro Nenni di costruire un’originale politica estera italiana. Egli assunse due volte nella storia l’incarico di ministro degli Esteri. Dapprima, col primo governo della Repubblica, quello costituito da De Gasperi dopo il 2 giugno ’46 (è in effetti il secondo Gabinetto De Gasperi). Nenni, peraltro, all’inizio unicamente designato ministro degli Esteri, ne assunse ufficialmente l’incarico solo il 18 ottobre successivo perché De Gasperi ne aveva in un primo tempo ricoperto l’interim per portare a termine personalmente il trattato di pace alla conferenza di Parigi. Da ministro degli Esteri decadde, però, già nel 20 gennaio 1947, con la crisi del secondo Gabinetto De Gasperi susseguente alla scissione di Palazzo Barberini.
Nenni doveva aspettare 21 anni, e cioè il 12 dicembre del 1968 per riassumere questo incarico, vedendolo peraltro nuovamente frustrato dalla nuova scissione socialista e dalla conseguente caduta del primo governo di Mariano Rumor il 5 luglio del 1969.
Per quanto attiene alla prima esperienza è interessante notare, dal suo diario, come viva con sofferenza le vicende di Trieste e della Venezia Giulia e di come concepisca anche il sogno di una revisione del trattato di pace. Per quanto riguarda il secondo periodo, egli prese la decisione storica di riconoscere la Cina popolare segnando così un mutamento profondo nella politica estera italiana.
Da queste due vicende si può verificare quante speranze e quante positive intenzioni siano state via via frustrate dalle divisioni del movimento socialista italiano. Due volte ministro degli esteri, due volte costretto a lasciare l’incarico per le divisioni del suo partito. Da un alto questo testimonia dell’ingenuità politica forse dei socialisti italiani, dall’altro lato di quella caratteristica che li distingueva rispetto alle due “chiese” della democrazia cristiana e del Partito Comunista italiano, cioè la priorità data ai contenuti politici rispetto alle esigenze di unità e anche di potere.
Peraltro, questa profonda sensibilità europea ed internazionale di Pietro Nenni riveste tuttora grande attualità. Egli aveva una profonda consapevolezza di come la politica italiana non possa non essere fortemente influenzata dal quadro europeo e internazionale in cui si svolge. Una lezione per i politici di oggi.


* La testimonianza di M. Ferri in Per la storia della sinistra democratica in Italia, “Quaderni del Circolo Rosselli” n.23 (1998), Giunti editore, Firenze, pp. 34-40.


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