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Editoriale

Natura umana: eclissi di un’idea. E dopo?
«La natura è troppo bella per te, povero mortale»
(F. Nietzsche)

“Cogestire l’evoluzione”, per dirla con Habermas, è la più recente frontiera del millenario confronto tra uomo e natura: natura fisica e natura dell’uomo stesso. La vicenda è lunga, ma la letteratura sull’argomento è oggi quasi tutta (non tutta, ovviamente, anche se le eccezioni sono poche) centrata sulle posizioni più recenti che sono emerse ed emergono quotidianamente dal dibattito sull’argomento. In un immaginario scaffale della produzione teorica -nel caso che c’interessa in questo numero, soprattutto produzione filosofica-, i titoli parlano di “transumano”, di “post-umano” e di varianti consimili. Il termine “umano” tende a sostituire quello di “natura”, mentre in altri casi sono state e sono tuttora utilizzate riformulazioni lessicali, la più importante delle quali è forse quella di “condizione umana”, dal fondamentale testo di Hannah Arendt The human condition dell’ormai lontano 1958. Se c’è un concetto filosofico che ha subìto una delle più massicce contestazioni nella storia della filosofia dall’800 al secolo attuale, è forse proprio quello di “natura umana”, censurato soprattutto per l’onere metafisico che -si è detto da parte di alcuni- esso implica, ma anche perché -è stato anche questo più volte sottolineato- riduce la complessità e la pluralità degli esseri umani, che non possono essere “rubricati” sotto un lemma che tende a sottodimensionare o addirittura a dimenticare le differenze individuali, la singolarità irripetibile di ognuno/a, la “nuova nascita” che ogni essere umano realizza nel momento in cui viene al mondo. Inoltre -altra argomentazione reiterata- ci blocca, sul piano scientifico oltre che filosofico, entro un parametro di riferimento che enfatizza l’insuperabilità di alcuni caratteri dell’uomo e finisce per limitare fortemente tutti quegli interventi della scienza e della tecnica finalizzati -operando su ciò che una lunga e variegata tradizione, soprattutto religiosa, proclamava intangibili- a migliorare le nostre vite nella lotta contro i mali, nello sforzo di renderci fisicamente e intellettualmente “migliori”, nel tentativo di prolungare il nostro soggiorno nel mondo.
Ma la nuova storia del tentativo di fare i conti, una volta per tutte, con il concetto di “natura umana”, se è largamente inedita per le forme che ha assunto in tempi relativamente recenti (con non poche tentazioni di prometeismo), è molto meno nuova se ci poniamo alla ricerca della “preistoria” della crisi di un termine e di una categoria, come appunto quella di “natura”/”natura umana”, cioè se andiamo a recuperare le lontane origini che ci consegnano il suo progressivo smottamento. Questo numero monografico di “Cosmopolis” persegue esattamente tale finalità e gli articoli che lo compongono tracciano una (ovviamente incompleta) genealogia del “post-umanesimo”, recuperandone le prime tracce, la remota preparazione, gli accenni, in quel periodo cruciale (per questo e per molti altri motivi) che è costituito dai secoli sedicesimo e diciassettesimo e poi proseguendo fino al dibattito attuale. Lutero (Gabriella Cotta), Montaigne (Nicola Panichi), Descartes (Roberto Perini), Pascal (Roberto Gatti), Marco Menin (Rousseau), Annamaria Loche( Bentham), Massimiliano Tomba (Marx), Maria Cristina Fornari (Nietzsche) ci forniscono elementi rilevanti per cogliere aspetti salienti della riflessione plurale e conflittuale sulla natura sino agli esordi del ‘900. Successivamente Elena Alessiato (Jaspers), Paolo Nepi (Sartre), Giovanni Grandi (Maritan), Vincenzo Sorrentino (Foucault), Paolo Becchi e Roberto Franzi Tibaldeo (Jonas), Fabio Mazzocchio (Habermas), Jean-Michel Besnier (uno sguardo critico sul transumanismo), Luigi Alici (“natura” e “persona”) ci accompagnano nel variegato dibattito che ha caratterizzato il secolo appena trascorso e quello appena iniziato. Non c’è una risposta ai problemi posti o, meglio, ce ne sono molte: e non ci si può non chiedere come potrebbe essere diversamente. Ma lo scopo di questo numero, prima di cercare risposte là dove ci sono molti più interrogativi che soluzioni, è di tracciare un quadro orientativo di una serie di posizioni attuali che non possono essere comprese in modo adeguato e critico se non riandando alle radici, almeno alle radici moderne, delle questioni che attualmente dibattiamo. Non esistono molti altri esempi di questa “genealogia”. E questo, se dà forse un qualche modesto valore al numero, ne giustifica contemporaneamente le lacune. Ma il dibattito continuerà nei numeri successivi, anche se non necessariamente in forma monografica.



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