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Tempo ed escatologie del ‘900: Eric Voegelin

NICOLETTA STRADAIOLI
Articolo pubblicato nella sezione Tempo, storia e politica.

Visioni escatologiche, dottrine religiose e filosofiche che riguardano i destini ultimi, la “fine dei tempi” dell’umanità, continuano ad avere ancor oggi un grande fascino. In particolare, è l’escatologismo storicizzato, calato nella temporalità, che si accompagna a reazioni emozionali per lo più di natura collettiva e si traduce in concrete azioni pratiche, ad essere continuamente riscoperto con vivo interesse nel dibattito culturale. L’uomo infatti non ha mai smesso di interrogarsi sull’enigma della storia, tentando, da un lato, di decifrarne il percorso e, dall’altro, di rispondere in maniera definitiva alla forma ultima che questa assumerà.
Durante il XX secolo, la storia vista in tale dimensione si arricchisce di diversi studi specialistici che fanno dell’escatologismo un paradigma d’indagine per riflettere sulla civiltà occidentale e la sua crisi. Sono certamente gli stimoli politici contingenti ad animare questo dibattito: la rivoluzione marxista-comunista in Russia, l’affermarsi del fascismo e del nazismo, gli eventi catastrofici delle guerre mondiali e la successiva guerra fredda, costringono ad una analisi approfondita sui fattori alla base della crisi morale, culturale, politica e religiosa che attraversa la modernità. Si tratta di un ricco filone di ricerche che affronta il rapporto storia-escatologia secondo angolazioni diverse e ne mette in luce differenti aspetti (pensiero apocalittico giudaico-cristiano, millenarismo, gnosticismo, concezioni teleologiche, idealismo, materialismo storico, fede nel progresso, secolarizzazione…), che tra loro si mescolano. Notevoli sono gli studi di autori come Karl Löwith, Henry de Lubac, Hans Jonas, Raymond Aron, Jacob Taubes, Jacob Talmon, Norman Cohn (solo per citarne alcuni) che desiderano, da un lato, chiarire il portato, il senso e l’essenza di una comprensione del tempo che traccia una via di significato del corso della storia e, quindi, anche della vita dell’uomo e, dall’altro, esaminare le radici del complesso di idee e di simboli di modelli politico-sociali che pretendono di essere unici ed assoluti, immanenti al processo storico e dipendenti esclusivamente dalla ragione e dalla volontà umana.
In questo contesto, Eric Voegelin assume una posizione di primo piano. Tra la fine degli anni Trenta e gli anni Cinquanta del Novecento, il filosofo politico tedesco dedica, infatti, particolare attenzione agli esperimenti politico-religiosi di palingenesi terrena, nei quali rintraccia gli elementi alla base dei movimenti ideologici moderni e contemporanei. In opere quali Die politischen Religionen (1938), il monumentale trattato The History of Political Ideas e The New Science of Politics (1952), solo per indicare alcuni tra i più rappresentativi scritti voegeliniani, emerge come i movimenti ideologici di massa e le loro manifestazioni totalitarie siano caratterizzati da un’ardente aspettativa escatologica, tutta immanente, che si concretizza in una nuova religiosità intramondana, la quale pretende di realizzare in terra, in forma perfetta e compiuta, il Regno di Dio. Escatologia e secolarizzazione sono, per Voegelin, alla base dell’universo politico-religioso moderno e non designano fenomeni opposti; al contrario, sono elementi di uno stesso processo che despiritualizza il mondo per poi ridivinizzarlo per mezzo di una fede escatologica proiettata verso un tempo di compiuta realizzazione umana. La secolarizzazione diviene, perciò, essa stessa religione, nella misura in cui ripete la forma della redenzione cristiana, svuotandola di ogni contenuto trascendente (Borghesi 2008, p. 8).
Nello specifico, è la componente escatologico-apocalittica e gnostica ad attrarre Voegelin, in quanto in essa rinviene quei simboli che gli consentono di definire i contenuti della politica totalitaria del Novecento. Tale tipo di ricerca è condotta da un punto di vista metodologico attraverso strumenti analitici via via affinati (ideas, images, symbols, experiences) e si intreccia all’esame critico della modernità. Tra gli anni Quaranta e Cinquanta, la speculazione voegeliniana desidera, proprio, decifrare il disordine spirituale ed ontologico della modernità stessa, mettendone in luce la crisi metafisica, ovvero la tendenza ad esaltare la dimensione dell’immanenza e l’infinita autonomia dell’uomo. La tensione escatologica tra passato, presente e futuro viene indagata evidenziandone il carattere gnostico.
Non potendo in questa sede ricostruire nella sua interezza la complessa e ricca interpretazione storico-filosofica di Voegelin, ci si limita qui a indicare due snodi ermeneutici fondamentali dello studio del filosofo tedesco: da un lato, l’escatologia trinitaria di Gioacchino da Fiore e, dall’altro, l’escatologia gnostica, quale esito ultimo della secolarizzazione.


1. Gioacchino da Fiore e l’era moderna

Nell’indagine voegeliniana la dottrina storico-salvifica della Trinità di Gioacchino da Fiore inaugura l’esperimento escatologico della modernità. Gioacchino divideva l’esistenza terrena in tre età, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ognuna esprimeva un progresso spirituale: il primo stato iniziava con Abramo e si svolgeva sotto la legge; il secondo cominciava con Giovanni Battista e si svolgeva sotto il Vangelo; il terzo raggiungeva la sua pienezza con la manifestazione di Elia e la libera effusione di Grazia divina su tutti gli uomini attraverso la discesa dello Spirito Santo. Se Abramo e Cristo erano state le figure carismatiche delle prime due età, la terza e nuova epoca (nel 1260) vedeva il sorgere di un dux, capo dell’età finale, del quale Gioacchino stesso era profeta. Il Terzo Regno, caratterizzato da una forma perfetta di vita religiosa, era così il climax della storia (Voegelin 1997, pp. 126-128, 134; Voegelin 2000, pp. 50-51).
Il rinnovamento annunciato da Gioacchino è ancora uno sguardo contemplativo e devoto sui misteri dell’ordine divino; ciò nonostante, per Voegelin, l’abate calabrese offre il modello escatologico con cui interpretare il cammino della storia, facendo del Terzo Regno, l’orizzonte da raggiungere. Un orizzonte immanente al processo storico, in cui il piano divino di salvazione viene razionalmente pianificato e secolarizzato. In questo senso, Gioacchino da Fiore rompe con la teologia della storia agostiniana, secondo la quale questa aveva raggiunto il suo culmine con l’avvento di Cristo. Un ulteriore progresso all’interno del tempo storico non era, perciò, possibile: l’uomo non poteva raggiungere il suo compimento finale nel saeculum terreno. L’escatologia agostiniana era orientata alla trascendenza ed escludeva la credenza nell’avvento di un regno millenario intramondano. Se la salvezza, per Agostino, si otteneva solo al di fuori del tempo storico, l’escatologia trinitaria di Gioacchino preannunciava, per Voegelin, una condizione spirituale perfetta: la piena libertà dello spirito sulla terra, che di fatto riforgiava l’intera società umana.
Nell’opera del ’38 Die politischen Religionen e nel secondo volume della History of Political Ideas del ’44, il filosofo tedesco non esamina ancora la teologia della storia gioachimita secondo la prospettiva gnostica; non di meno, però, la profezia di Gioacchino gli appare ricca di elementi simbolici che lasciano un segno profondo sul mondo moderno e contemporaneo. Sono infatti tre i concetti significativi identificati da Voegelin: a) the meaning of history; b) the function of the political thinker; c) the leader of the third realm (Voegelin 1997, pp. 130-132). Sono qui rivelati in nuce i motivi dell’escatologia intramondana moderna: la tripartizione delle epoche prevede esattamente il tragitto e il fine della storia, individuando la categoria interpretativa del Terzo Regno di perfezione, in cui un profeta (Gioacchino stesso) annuncia l’avvento di una guida che inaugura ed attua il regnum Dei sulla terra e non più in cielo. Nell’analisi voegeliniana, tale simbolismo è fondamentale per comprendere i motivi che stanno alla base delle palingenesi politico-sociali, le quali pretendono di liberare l’uomo da ogni limite e il mondo da ogni male attraverso esperimenti rivoluzionari nei quali il vecchio mondo verrà sostituito da una nuova creazione. Voegelin richiama come, secoli più tardi, il rinnovamento annunciato da Gioacchino, ed in particolare l’idea di Terzo Regno, venga ripreso, tra gli altri, dai fraticelli spirituali, da Comte e Marx, oltre che dalla Terza internazionale e dal Terzo Reich (Voegelin 2000, pp. 51-52). In Marx, per esempio, il Terzo Regno dell’abate calabrese, regno finale interno alla storia, si concretizza per mezzo della prassi rivoluzionaria. La rivoluzione crea, attraverso una trasformazione violenta, l’uomo e il mondo nuovo. Si tratta di una rivoluzione permanente che deve cancellare le iniquità del presente per costruire un regno di libertà futuro (Voegelin 1999a, pp. 303-372).


2. Il paradigma ermeneutico dello gnosticismo

Tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Cinquanta, la ricostruzione voegeliniana delle dinamiche escatologico-apocalittiche e dei contenuti simbolici dei movimenti ideologico-rivoluzionari e delle loro manifestazioni totalitarie si arricchisce della componente gnostica. Lo studio dell’escatologia moderna, già affrontato nel ’38, nonché le ricerche storiche sul settarismo eterodosso condotte nella History of Political Ideas (Voegelin 1998, pp. 131-214) convincono il filosofo tedesco del carattere gnostico insito in molti movimenti spirituali medievali e della relazione dello gnosticismo con quelle idee che avrebbero catturato il mondo contemporaneo. Particolarmente importante fu la lettura del Prometheus (1937) e dell’Irenäus: Die Geduld des Reifens (1943) di Urs von Balthasar: l’indagine speculativa del teologo svizzero suggerisce a Voegelin il paradigma dello gnosticismo quale nucleo teorico per comprendere le ideologie moderne.
La fonte gnostica permette a Voegelin di vedere sotto una luce nuova gli studi già condotti. Per il filosofo tedesco, l’essenza dello gnosticismo consiste nell’eliminare il piano trascendente dell’esistenza umana, nell’immanentizzare l’eschaton cristiano, nel sancire la morte di Dio autodivinizzando l’uomo e, infine, nel fornire un modello di salvezza affine a quello cristiano, ma opposto ad esso, perché mondano. In base a queste coordinate, la comprensione del simbolismo gioachimita si precisa: quattro sono i simboli che Voegelin ricava leggendo Gioacchino sotto la lente dell’escatologia gnostica. Il primo è la concezione della storia come sequenza di età (la terza delle quali raggiungerebbe un completamento finale); il secondo è quello del leader che introduce ogni epoca; il terzo è il profeta ed il quarto è la stessa comunità di perfezione (Voegelin 2000, pp. 179-180).
Voegelin enuncia poi tre possibili varianti gnostico-ideologiche: se l’accento è posto sulla componente teleologica del pellegrinaggio quale movimento verso un non chiaro futuro di perfezione, ne consegue un’interpretazione progressista come in Diderot e D’Alembert; se l’accento cade sulla componente di perfezione finale (an axiological dream world), senza chiarezza circa i mezzi per raggiungere tale stato, ci troviamo di fronte a risultati utopistici, come quelli di Tommaso Moro o dei più recenti idealismi sociali; qualora il movimento progressivo e l’obiettivo finale siano chiaramente messi in luce e quindi il processo di immanentizzazione si estenda al simbolismo cristiano nel suo complesso, ne risulta il misticismo attivista di uno stato di perfezione, come prefigurato, per esempio, da Marx (Voegelin 2000, p. 186). Queste idee sono, per Voegelin, rintracciabili nei moderni movimenti di massa, che sono ora intesi come movimenti gnostici. Tutti, infatti, elaborano teorie del senso della storia in cui l’uomo viene liberato attraverso un credo immanente che rimuove le iniquità del presente, redime il mondo dai mali ed afferma il Paradiso in terra. L’apocalisse di Dio si trasforma nell’apocalisse del superuomo. Lo strumento analitico dello gnosticismo non solo approfondisce la critica ai sistemi ideologici e totalitari, ma si inserisce anche nell’esame della modernità e della sua crisi. Il tratto distintivo della modernità è, per Voegelin, proprio lo gnosticismo: l’assoluto dominio delle leggi del mondo, nel quale scorge un fine ultimo capace di garantire alla vita umana significato e valori immanenti. In tale perfettismo politico ed etico, l’uomo è divinizzato, trasformato in superuomo, a cui tutto è concesso. L’escatologia gnostica della modernità mostra, nel quadro della ricerca voegeliniana, un processo di autoaffermazione e di autoredenzione attivistica che è esso stesso un processo di secolarizzazione. Evidenzia, inoltre, la profonda crisi metafisica che attraversa la modernità stessa, in quanto ogni riferimento trascendente dell’esistenza umana è eliminato, risacralizzando entità terrene e creando una nuova religiosità immanente priva di trascendenza. Si inaugura un orizzonte storico proiettato esclusivamente verso una dimensione salvifica orizzontale: una marcia progressiva costruita con la certezza della ragione e della scienza che si fonda solo sulla volontà e sull’azione umana. «Gnostic speculation overcame the uncertainty of faith by receding from transcendence and endowing man and his intramundane range of action with the meaning of eschatological fulfillment. In the measure in which this immanentization progressed experientially, civilizational activity became a mystical work of self-salvation. The spiritual strength of the soul that in Christianity was devoted to the sanctification of life could now be diverted into the more appealing, more tangible, and, above all, so much easier creation of a terrestrial paradise» (Voegelin 2000, p. 193).
La tesi gnostica voegeliniana è un’operazione teorica impegnativa e niente affatto banale, non a caso è stata oggetto di critiche. Per Augusto Del Noce, occorre essere prudenti nel ricorrere alla categoria di gnosi quale chiave interpretativa delle ideologie contemporanee (Voegelin 1999b, pp. 7-28; Voegelin 2007, pp. 577-579). Nello specifico, il filosofo italiano fa notare come Voegelin individui una certa continuità tra gnosi antica e gnosi moderna, che in realtà non esiste. La gnosi antica, infatti, accentua la trascendenza del divino e ateizza il mondo materiale, destinato alla distruzione; quella moderna, al contrario, nega la trascendenza, ateizza completamente la vita umana e favorisce un rigoroso immanentismo. Se il risultato è lo stesso, è chiaro come le modalità siano profondamente diverse, pur cercando in ogni caso di offrire una soluzione ai mali dell’esistenza attraverso forme di conoscenza perfetta. Anche Ernst Topitsch critica l’impostazione voegeliniana, in quanto ritiene che questa appiattisca l’interpretazione delle dottrine salvifiche secolari e rivoluzionare, considerate tutte gnostiche, e svuoti così di contenuto il concetto di gnosi stesso (Marramao 1994, pp. 134-137). In realtà, Voegelin sottolinea come lo gnosticismo non possa essere considerato un fenomeno rigido e privo di articolazioni, né possa essere causa unica e inevitabile del moderno totalitarismo. Allarga, così, il proprio approccio metodologico: la modernità rivela anche altri “linguaggi” nel processo di secolarizzazione-immanentizzazione, quali l’alchimia, la tradizione apocalittica, quella neoplatonica ed ermetica. Certo, però, il mondo moderno gli appare dominato dal desiderio di certezze, di verità indiscusse, in cui, assumendo che la storia possieda un significato conoscibile, si raggiungono modelli politico-sociali definitivi, unici e totalizzanti.
Cosa si profila, allora, nel futuro dell’Occidente? Voegelin non desidera fornire soluzioni per uscire dal disordine morale, spirituale, sociale e politico che affligge il XX secolo (e il nostro tempo), ma è interessato ad aprire un orizzonte di riflessione che segue due direttrici di ricerca. Da un lato, egli esamina le dinamiche della secolarizzazione che hanno interessato il mondo occidentale, concentrandosi sul rapporto tra religione e politica. Seguendo questo tragitto, mette a fuoco l’insieme di idee e simboli che, nello specifico contesto storico di riferimento, costituiscono le principali manifestazioni della risacralizzazione del mondo per mezzo di una religiosità immanente. Dall’altro, egli stesso giunge ad elaborare una propria filosofia della storia, che non guarda alle vicende umane cercando di definirne le dinamiche e di predirne lo sviluppo, ma ha l’obiettivo di scoprire i contenuti simbolici delle società politiche che si sono andati sedimentando nel corso del tempo. Una filosofia della storia che è recupero delle “simbolizzazione dell’ordine” e ricomposizione del dialogo dinamico e mai lineare che si instaura nella storia stessa tra immanenza e trascendenza. È questo lo sforzo teoretico maggiore che impegna Voegelin fino alla fine.


Riferimenti bibliografici

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