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La democrazia habermasiana rivisitata

STEFANO PETRUCCIANI
Articolo pubblicato nella sezione La democrazia deliberativa: utopia o progetto politico?

Vent'anni dopo

A poco più di vent'anni dalla pubblicazione di Fatti e norme, si può dire che il contributo habermasiano alla teoria della democrazia abbia inciso profondamente nel dibattito che da allora si è dipanato, intrecciandosi con l'amplissima discussione (soprattutto di lingua inglese) sul tema della democrazia deliberativa, che è stato affrontato da molti autori, alcuni dei quali anche assai distanti dal modo in cui Habermas si era accostato alla questione. Può essere interessante, pertanto, tornare oggi a ripercorrere i nodi principali della riflessione democratica habermasiana, anche per misurare se e quanto essi abbiano resistito all'usura del tempo e alle numerose e ulteriori messe a punto che sono venute dall'autore stesso.
Un primo aspetto fortemente caratterizzante dell'approccio habermasiano alla teoria democratica è senza dubbio il suo carattere marcatamente normativo (che emerge soprattutto se lo si paragona agli altri approcci che hanno avuto largo corso nelle discussioni dell'ultimo ventennio). Nell'architettura delineata con Fatti e norme, e mai successivamente messa in dubbio, Habermas proponeva infatti uno schema fondativo (anche se avrebbe rifiutato questa parola) ben strutturato, con un vertice dal quale discendono due diramazioni.
Al punto di partenza, ovvero al vertice dello schema, Habermas colloca quello che egli definisce come il Principio del Discorso (o Principio D), il quale afferma che «sono valide soltanto le norme d'azione che tutti i potenziali interessati potrebbero approvare partecipando a discorsi razionali» (Habermas 1996). Il fatto che Habermas parli di «norme d'azione» è molto importante, perché indica che qui ci si riferisce tanto a norme morali quanto a norme giuridiche: toccherà poi alle due derivazioni specificare il senso della validità per ciascuno di questi due ambiti. Ma qual è il significato di questo vero e proprio architrave di tutto l'ulteriore pensiero habermasiano? Anche se la risposta non è proprio semplicissima, si può provare a riassumerla in poche parole: la tesi del nostro autore è che le dispute intorno a questioni di validità pratica (cosa è giusto fare? come si deve regolare giuridicamente una certa questione?) sono decidibili, e che la procedura per deciderle è appunto quello che egli chiama un «discorso razionale», cioè un discorso condotto in spirito di imparzialità da attori sociali decisi a prestare ascolto solo ai buoni argomenti e a trattare con lo stesso rispetto gli interessi e le pretese di tutti i coinvolti.
In questo Principio del Discorso, però, vi sono alcuni elementi di complicazione o di ambiguità che è opportuno mettere in luce. In primo luogo, la tesi circa la decidibilità dei conflitti normativi (che va decisamente in controtendenza rispetto ai trends più diffusi nella filosofia contemporanea) è sì affermata da Habermas, ma in un modo alquanto cauto e un po' tortuoso. Polemizzando col suo amico Apel, Habermas sostiene infatti che il principio che ci obbliga a ricercare, di fronte ai conflitti normativi, un'intesa dialogica e argomentativa, non è fondato direttamente sui presupposti inaggirabili dell'argomentazione o della relazione dialogica interumana, ma ha uno statuto più debole. In sostanza la posizione di Habermas, mantenuta con sostanziale continuità dagli anni Ottanta fino agli interventi più recenti, è che la decidibilità argomentativa delle questioni pratiche può essere messa in dubbio sul piano meramente filosofico o teoretico, ma non nella effettiva pratica di vita dei soggetti sociali moderni, che si scambiano continuamente, coi loro atti linguistici, pretese riscattabili di validità: «L'opzione scettica di un'uscita dal gioco linguistico di fondate attese, condanne e autorimproveri morali, sussiste soltanto nella riflessione filosofica, ma non nella prassi: essa distruggerebbe la nozione di sé dei soggetti che agiscono comunicativamente» (Habermas 2001, p. 308).
In secondo luogo, non priva di ambiguità appare anche la nozione di «discorso razionale». In Fatti e norme, Habermas precisa che l'espressione denota «qualsiasi tentativo di intesa circa problematiche pretese di validità, purché avvenga in base a condizioni comunicative tali che consentano [...] di mettere liberamente sotto processo temi e contributi, informazioni e ragioni» (Habermas 1996, p. 132). Ma è altresì indispensabile precisare che il discorso è razionale in quanto viene condotto, da tutti i partecipanti, con spirito di imparzialità: «introdurre un principio di discorso – scrive Habermas in Fatti e norme – equivale a presupporre che le questioni pratiche possano essere imparzialmente giudicate e razionalmente decise» (Habermas 1996, p. 133); ma se, come è necessario e inevitabile, ci si attesta su questo punto, allora il «discorso razionale» viene ad assumere – anche se Habermas tende a mettere un po' in ombra questo punto – un carattere decisamente controfattuale: tende a diventare un modello ideale al quale i discorsi realmente esistenti difficilmente potranno mai corrispondere.
Ma riprendiamo il filo habermasiano: dal Principio del Discorso derivano due principi specifici che presiedono ai due distinti ambiti della morale e del diritto: il principio morale è in sostanza un principio di universalizzazione, che afferma che sono valide quelle norme che potrebbero essere accettate da tutti gli interessati in quanto trattano in modo paritario i bisogni e le pretese di ciascuno; il principio che presiede alla validità delle norme giuridiche, invece, è quello che Habermas definisce il Principio Democratico, secondo il quale «possono pretendere validità legittima solo le leggi approvabili da tutti i consociati in un processo discorsivo di statuizione a sua volta giuridicamente costituito» (Habermas 1996, p. 134). Dall'originario principio del discorso derivano dunque due principi di rango subordinato: quello dell'universalismo morale e quello della creazione democratica del diritto. Ed è importante rilevare, per comprenderlo bene, che il principio della democrazia risulta dall’incontro di due dimensioni distinte ma entrambe necessarie: da un lato l'imprescindibilità della regolazione giuridica per far funzionare le interazioni nelle società complesse, dall'altro l’ancoraggio alle procedure discorsive come le uniche che possono fornire, a queste regolazioni, la loro legittimità: il diritto valido può scaturire solo da procedure discorsive istituzionalizzate, cioè da procedure democratiche.


Come funziona l'autolegislazione democratica dei cittadini

Le norme giuridiche coattive che sono necessarie alla nostra convivenza devono dunque la loro legittimità al fatto che i cittadini stessi le hanno stabilite, attraverso processi di autolegislazione democratica nei quali si deve incorporare la razionalità discorsiva. Ma come si può strutturare, con quali istituzioni, un processo discorsivo di autolegislazione democratica in una società complessa?
Nel rispondere a questa domanda, Habermas segue fondamentalmente la linea di una teoria ricostruttiva: il filosofo politico (come lui lo intende) non ha il compito di formulare principi astratti partendo dal suo presunto sapere superiore; egli si limita piuttosto a ricostruire le strutture istituzionali razionali che si sono venute affermando e stabilizzando attraverso i processi storici del mondo moderno. Il punto di partenza sono dunque le acquisizioni delle moderne democrazie costituzionali, liberali e sociali: e Habermas ne ricostruisce la tessitura mettendo in risalto come alla loro base si trovi un «sistema dei diritti» articolato in diverse dimensioni che si integrano reciprocamente: diritti che definiscono lo status di membro della comunità politica, diritti alle libertà personali, diritti di partecipazione politica, diritti che consentono di agire in giudizio per la difesa dei propri diritti, e infine diritti sociali per assicurare a ciascuno le condizioni di base per il godimento di tutti gli alti diritti. In questa architettura, precisa ancora Habermas, diritti individuali e sovranità popolare, non solo non stanno in rapporto antitetico, ma anzi si richiedono reciprocamente, perché se non si gode dei primi difficilmente si potrà partecipare liberamente all'esercizio della seconda (e viceversa tocca all'autolegislazione collettiva precisare, specificare e aggiornare – quando ciò si riveli necessario – i diritti di cui gli individui devono godere).
È grazie a questa intelaiatura che possono svilupparsi i processi di autolegislazione democratica: essi infatti presuppongono non solo che i cittadini esercitino il potere legislativo attraverso le istituzioni rappresentative a ciò preposte (i Parlamenti) ma anche che godano della più sicura libertà personale (per esempio, che siano tutelati dagli arbìtri del potere che potrebbe colpirli qualora sostengano visioni politiche sgradite) e che possano partecipare alla discussione pubblica in tutte le forme possibili (libertà di opinione, libera stampa, diritto di riunirsi, di manifestare, di organizzarsi in movimenti e partiti ecc.). In una delle più recenti riflessioni sulla questione democratica, Habermas ribadisce proprio come il disegno delle Costituzioni moderne si fondi sulla sinergia di tre dimensioni fondamentali: da un lato quella della tutela delle libertà personali e del garantismo giuridico, con la divisione dei poteri che esso richiede; dall'altro quella della partecipazione politica istituzionale attraverso elezioni, partiti, Parlamenti; e infine quella della sfera pubblica (stampa, media, associazioni, movimenti sociali) come sede di libero, pluralistico e non istituzionale confronto di opinioni (Habermas 2011, p. 65).
Una delle principali peculiarità dell'approccio habermasiano è da vedersi nel modo in cui egli pensa il rapporto tra queste ultime due dimensioni, cioè quella della politica strutturata e istituzionale e quella della discussione pubblica libera e informale. Secondo Habermas, infatti, le procedure giuridicamente strutturate della legislazione democratica attraverso elezioni, partiti e Parlamenti possono dar luogo a una legittima formazione della volontà politica solo in quanto rimangono permeabili da parte delle opinioni, dei movimenti, delle discussioni che si svolgono in modo libero e non programmato nella sfera pubblica. In sostanza, per Habermas il processo della democrazia deve camminare su due livelli, ben distinti ma anche capaci di interagire l'uno con l'altro: un livello formale, corrispondente alle istituzioni rappresentative dello Stato democratico di diritto, e un livello informale, costituito dalle innumerevoli ramificazioni discorsive dell’opinione pubblica all’interno della società civile: «l’attesa normativa di risultati razionali si fonda sul gioco reciproco che si viene a creare tra la formazione politica di una volontà istituzionalmente strutturata, da un lato, e gli spontanei, non manipolati flussi comunicativi di una sfera pubblica non programmata per decidere (e in questo senso non organizzata), dall’altro lato» (Habermas 1992: 96).


La qualità discorsiva del processo democratico

Ma il problema che a questo punto non si può evitare di porre è il seguente: quale potenziale di razionalità discorsiva può essere attivato dal meccanismo complesso e articolato del processo democratico nelle moderne società di massa? In che misura esso è in grado di generare decisioni che siano, nello spirito del Principio del Discorso, imparziali e razionali? Da questo punto di vista, la teoria habermasiana risulta sicuramente molto ambiziosa; essa infatti si distingue nettamente non solo dalle teorie politiche di ispirazione marxista, che rilevano il prevalere, anche attraverso i processi democratici, degli interessi delle élites economiche dominanti (per una buona esposizione di questo punto di vista, si veda ad esempio Miliband 1970). Altrettanto distante è Habermas dalle teorie «pluraliste», secondo le quali le decisioni democratiche riflettono il gioco di molti interessi e gruppi in conflitto, nessuno dei quali prevale stabilmente sugli altri. Habermas non si accontenta di questo pluralismo: la sua teoria richiede molto di più, e cioè che le decisioni democratiche siano permeabili dalla razionalità discorsiva e la incorporino in misura più o meno soddisfacente.
È necessario però, a questo proposito, evitare di incorrere in equivoci interpretativi: Habermas non è affatto, come troppe volte si è sostenuto, l'ingenuo cantore di una sfera pubblica libera e discorsiva, dove regnerebbe soltanto la «cogenza non costrittiva dell'argomento migliore». Piuttosto, è uno studioso impegnato a riflettere su potenzialità e limiti dei processi di autolegislazione democratica nelle moderne società di massa; ne vede le difficoltà e i pericoli, ma cerca anche di circoscriverli attraverso un'analisi teoreticamente articolata. In buona sostanza, possiamo dire che Habermas ci descrive il processo democratico come un campo aperto di possibilità: esso può dar luogo a una dinamica virtuosa quando una sfera pubblica vivace, animata da cittadini attivi e discorsivamente impegnati, riesce a orientare le decisioni che si prendono ai livelli istituzionali (partiti e Parlamenti) facendo pesare il suo potenziale di persuasione morale. Ma può anche chiudersi in una dinamica viziosa quando un sistema politico autoreferenziale, non poroso rispetto agli input che vengono dai cittadini, si lascia poi a sua volta condizionare, attraverso la circolazione non ufficiale del potere, dai poteri sociali non legittimati democraticamente, e in primo luogo da quelli economici (Habermas 1996, p. 421).
Effettivamente, però, Habermas non si ferma alla indicazione di questo spettro di possibilità: la sua tesi, inoltre, è che le sfere pubbliche delle nostre società democratiche sono effettivamente sensibili (in misura maggiore o minore) ai buoni argomenti, ovvero non possono essere considerate, nonostante la pervasiva presenza di grandi media e di potenti apparati di comunicazione di massa, come sfere pubbliche manipolate, e pertanto inospitali rispetto a qualsiasi forma di razionalità discorsiva. Detta in altre parole, la tesi habermasiana è che le discussioni pubbliche (su materie politicamente controverse) che si svolgono di fatto nelle nostre società, sebbene siano certamente condizionate da moltissimi fattori, non sono però impermeabili ai buoni argomenti. Sulla piccola scala, questa tesi si può anche dimostrare: sono stati realizzati infatti esperimenti di discussioni circoscritte o di focus groups dove si è visto che, al termine del processo, i partecipanti avevano mutato i loro punti di vista in funzione di ciò che era emerso dal dibattito (e quindi era un fatto che avessero trasceso i loro pregiudizi o i loro interessi immediati) (Habermas 2011, pp. 74-77). Più complicato è dimostrare la stessa tesi su larga scala, nella dimensione sociale complessiva. Ma Habermas ritiene di poter sostenere che, sebbene nella sfera pubblica abitata dai grandi media la comunicazione perda quel carattere di reciprocità e di simmetricità – caratteri che peraltro vengono in parte recuperati nel mondo della comunicazione via web e dei social media – che la caratterizza nei piccoli gruppi, questo non costituisce un ostacolo insormontabile per lo sviluppo di un'opinione pubblica riflessiva (Habermas 2011, p. 91); che potrà riuscire tanto meglio quanto più il sistema dell'informazione, da cui l'opinione pubblica è alimentata, sarà autorevole e indipendente, e soprattutto libero da indebite commistioni con gli altri poteri sociali ed economici (esigenza indubbiamente sacrosanta, ma anche assai difficile da realizzare).
Da tutto ciò consegue che, considerato nel suo insieme, il processo della autolegislazione democratica non è solo aperto alla pluralità degli interessi, ma anche influenzato e influenzabile dai buoni argomenti e dalle riuscite discussioni; in quale misura ciò accada, sarà da stabilire volta per volta.
Si potrebbe aggiungere inoltre che, proprio in quanto è un convinto assertore del «potenziale di razionalità della comunicazione politica», Habermas finisce per trascurare quasi completamente altre direzioni di ricerca, che pure sarebbero importanti per dare maggiore concretezza alla riflessione sul processo democratico e sulle sue possibilità. Per quanto riguarda l'analisi empirica, il punto è che bisognerebbe anche riflettere sul «potenziale di irrazionalità» che può irrompere in qualsiasi momento nella sfera pubblica politica: i maestri della Scuola di Francoforte se ne occuparono a lungo, Habermas forse troppo poco.
Per quanto riguarda invece la teoria normativa, bisogna dire che il modello del processo democratico a doppio binario che Habermas propone lascia coerentemente da parte qualsiasi riflessione sul modo in cui proprio le istituzioni formali e centrali della democrazia rappresentativa (partiti e Parlamenti) potrebbero essere rese più responsabili di fronte ai cittadini (che frattempo stanno vivendo, in Italia ma anche in altri Paesi, una profonda crisi di fiducia nei confronti delle istituzioni politiche). Il modello habermasiano prevede solo una sorta di influenza dall'esterno, e finisce quindi per dare per scontato (seguendo in qualche modo la teoria sistemica di Luhmann) il fatto che il sotto-sistema politico sia irrimediabilmente altro rispetto ai cittadini, che su di esso possono agire solo per via indiretta attraverso la mobilitazione della sfera pubblica oppure nel momento delle elezioni. C'è da chiedersi se Habermas abbia ragione (nel senso che su questo fronte non c'è più nulla da fare) oppure se il suo impianto teorico non l'abbia portato un po' fuori strada.
Resta infine il nodo più complicato, e cioè quello dei «poteri sociali». Non c'è dubbio che un aspetto necessario della riflessione sulla democrazia sia quello che concerne il rapporto tra l'eguale esercizio del potere legislativo da parte dei cittadini mediante i loro rappresentanti e le dinamiche dei differenti poteri sociali (economici, mediatici, simbolici) che, attraverso i molteplici canali di influenza e pressione di cui dispongono, possono non solo orientare o (addirittura) egemonizzare il dibattito pubblico, ma anche indirizzare nel senso da essi auspicato le scelte dei decisori politici. Ma come affrontare la contraddizione tra la promessa democratica del potere condiviso e la realtà oligarchica del potere concentrato? Habermas sembra affidarsi esclusivamente al potenziale di razionalità comunicativa incorporato nella sfera pubblica. Ma, poiché esso non sembra in grado, da solo, di contrastare l'egemonia dei poteri non democratici, appare inevitabile riflettere anche su altre opzioni teoricamente possibili: da un lato quella di costruire schemi istituzionali e paratie stagne finalizzate a impedire la convertibilità dei differenti tipi di capitale sociale (economico, simbolico, mediatico) in potere politico, seguendo in un certo senso la linea indicata da Michael Walzer in Sfere di giustizia: un esempio per tutti, una limitazione rigorosa delle spese per le campagne elettorali. Dall'altro lato vi è l'opzione più radicale e di lungo termine, ispirata alla nobile tradizione rousseauiana, di intendere tutte le concentrazioni di potere sociale come altrettanti limiti e ostacoli alla effettività della democrazia; ostacoli che dovrebbero essere rimossi al fine di iscrivere la democrazia politica in un ambiente ad essa adeguato, e caratterizzato quindi dall'ampia diffusione del potere economico, dall'assenza di concentrazione del potere mediatico, da un'alta qualità della formazione culturale di tutti i cittadini ecc. Snodi che mi sembrano inevitabili in un ragionamento sulla democrazia, anche se molte dinamiche del tempo presente sembrano andare proprio in senso opposto.


Bibliografia

Habermas J. (1992), Sovranità popolare come procedura. Un concetto normativo di sfera pubblica, in Id., Morale, diritto, politica, Einaudi, Torino, pp. 81-103.
Habermas J. (1996), Fatti e norme. Contributi a una teoria discorsiva del diritto e della democrazia, Guerini e Associati, Milano.
Habermas J. (2001), Verità e giustificazione, Laterza, Roma-Bari.
Habermas J. (2011), La democrazia ha anche una dimensione epistemica? in Id., Il ruolo dell'intellettuale e la causa dell'Europa, Laterza, Roma-Bari, pp. 63-107.
Miliband R. (1970), Lo Stato nella società capitalistica, Laterza, Bari.
Walzer M. (2008), Sfere di giustizia, nuova ed. italiana, Laterza, Roma-Bari.



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