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Vivere e convivere con le radiazioni

Margherita Venturi
È più facile spezzare un atomo
che rompere un pregiudizio

(Albert Einstein)

 

1. Cosa sono le radiazioni?

 

Le radiazioni sono onde così come sono di tipo ondulatorio molti altri fenomeni che ben conosciamo: il movimento del mare, il suono, i terremoti, ecc.; le radiazioni sono onde dette elettromagnetiche perché possono essere scomposte in un campo elettrico e in un campo magnetico oscillanti su due piani ortogonali (Figura 1). Una loro prerogativa importante è quella di potersi propagare anche nel vuoto, cosa che, invece, gli altri fenomeni ondulatori prima citati (onde meccaniche) non possono fare; ad esempio, il vuoto è completamente muto perché il suono ha bisogno di un mezzo per propagarsi.



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Noi viviamo immersi nelle radiazioni elettromagnetiche che sono di vario tipo e hanno origine sia naturale che artificiale; è interessante notare, infatti, che esse, pur avendo la stessa natura, presentano proprietà molto diverse le une dalle altre tanto da venir utilizzate per i più svariati scopi: si va dalle onde radio, che trovano impiego nelle comunicazioni radio-televisive, ai raggi X, che vengono usati nella diagnostica medica, dalle radiazioni luminose, cioè la luce, la cui fonte naturale è il Sole da sempre associato all'idea di benessere, ai raggi gamma che, derivando dal decadimento di specie radioattive, ci richiamano alla mente le immagini nefaste di esplosioni nucleari.

Le diverse proprietà delle radiazioni elettromagnetiche, il cui insieme costituisce il cosiddetto spettro elettromagnetico (Figura 2), sono da attribuirsi al fatto che, passando dalle onde radio ai raggi gamma, varia la lunghezza d'onda, , un parametro molto importante e caratteristico, definito come la distanza fra due massimi o minimi dell'onda che descrive la radiazione (Figura 1).



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La lunghezza d'onda è così importante perché è legata, attraverso la frequenza v, all'energia associata alla radiazione: più grande è la lunghezza d'onda più piccola è la frequenza e, quindi, l'energia che la radiazione possiede.

Ritornando allo spettro elettromagnetico, la lunghezza d'onda aumenta andando dai raggi cosmici e gamma alle onde radio; si va dai centomillesimi e millesimi di miliardesimo di metro per i primi, ai metri per le seconde. L'energia, invece, per quanto detto prima ha l'andamento opposto; così le onde radio sono radiazioni poco energetiche, mentre i raggi gamma, e ancor di più i raggi cosmici, sono molto energetici e questo forse è il motivo per cui, intuitivamente e a ragione, diffidiamo dei raggi gamma e non delle onde radio. Il fattore energetico è, infatti, determinante perché quando le radiazioni attraversano un mezzo, ad esempio l'aria oppure il nostro stesso corpo, cedono in parte o tutta la loro energia. Per capire cosa succede in questo trasferimento energetico bisogna entrare dentro la struttura intima della materia e, immaginando di avere una lente di ingrandimento potentissima, andare a vedere sempre più nel piccolo fino ad arrivare alle molecole, i componenti ultimi della materia che costituiscono tutto ciò che ci circonda compreso il nostro corpo. È qui che dobbiamo focalizzare la nostra attenzione perché è a questo livello che avviene lo scambio energetico. Se le radiazioni non sono tanto energetiche, le molecole nell'interazione acquistano poca energia e subiscono modifiche piccole e temporanee, per esempio possono cominciare a ruotare, a vibrare, o a muoversi più velocemente; se, invece, l'interazione avviene con radiazioni molto energetiche, le molecole acquistano una grande quantità di energia e, come conseguenza, possono subire modifiche molto drastiche, tanto che in alcuni casi possono addirittura cambiare identità.

Le modifiche piccole o grandi, temporanee o permanenti, subite dalle molecole sono spesso l'unico modo che abbiamo per evidenziare le radiazioni, dal momento che la maggior parte di esse è a noi invisibile. Il nostro occhio, infatti, è in grado di vedere solo quella piccolissima parte dello spettro elettromagnetico costituita dalle radiazioni luminose, detta per questo zona del visibile (Figura 2), mentre è cieco a tutte le altre.

Per esempio le radiazioni provenienti dal Sole contengono per il 40% radiazioni del visibile, per il 51% radiazioni infrarosse e per il 9% radiazioni ultraviolette; ebbene il nostro occhio percepisce solo quel 40% di luce, mentre dei raggi infrarossi e ultravioletti registriamo esclusivamente gli effetti: i primi sono responsabili del calore che sentiamo quando ci esponiamo al Sole, i secondi, invece, si manifestano attraverso l'abbronzatura. 

 

 

2. Radiazioni del visibile

 

Le radiazioni del visibile, nonostante rappresentino una parte molto limitata dello spettro elettromagnetico (Figura 2), sono per noi molto importanti perché è ad esse che si deve il colore delle cose e, quindi, la bellezza del mondo che ci circonda.

Per capire come si origina il colore bisogna prima di tutto considerare che la luce che a noi appare bianca è, in realtà, formata dall'insieme di radiazioni di sette diversi colori (rosso, arancio, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto, che sono i colori dell'arcobaleno, Figura 2) e poi occorre ricordare che l'interazione fra le radiazioni e la materia avviene a livello delle molecole. Così il colore che assume un oggetto colpito da luce bianca è da ricollegarsi al fatto che le molecole che lo costituiscono sono in grado di assorbire solo le radiazioni che corrispondono a certi colori, mentre lasciano passare, se l'oggetto è trasparente, o riflettono, se l'oggetto è opaco, tutte le altre.

Contrariamente a quello che si sarebbe portati a credere, il colore che assume un oggetto non è dato dalle radiazioni assorbite, ma dal mescolamento dei colori delle radiazioni non assorbite. Una mela, ad esempio, appare rossa perché le molecole che costituiscono i pigmenti della buccia riflettono solo la radiazione rossa, mentre tutti gli altri colori vengono assorbiti. È facile, allora, capire che un oggetto non è colorato se la luce bianca, colpendolo, viene totalmente riflessa o trasmessa, mentre ci appare nero se è in grado di assorbire tutte le radiazioni colorate che compongono la luce. Questo ragionamento ci porta anche a concludere che il colore non è una caratteristica intrinseca dell'oggetto, ma dipende strettamente da quello della sorgente che lo illumina; infatti il colore che ci appare in presenza di luce bianca è differente da quello che l'oggetto assume quando viene colpito da luce di uno specifico colore.

È interessante notare che i popoli antichi avevano già intuito questo fenomeno, anche se, ovviamente, ne davano spiegazioni più semplici, ma altrettanto affascinanti. Ad esempio, secondo i filosofi greci la luce bianca era "luce pulita", mentre il colore era "un'impurezza" che contaminava la luce bianca quando veniva a contatto con gli oggetti.

Il colore, però, non è l'unica manifestazione dell'interazione luce-materia; esistono, infatti, sostanza che esposte alla luce sono in grado di emettere a loro volta luce, diventano cioè esse stesse sorgenti di luce. Ne sono un esempio le sostanze fosforescenti, come quelle contenute nei quadranti degli orologi, che riemettono sotto forma di luce verdognola l'energia incamerata per assorbimento di luce solare o artificiale. Ancora più interessante è il fatto che l'emissione di luce da parte di una sostanza può essere spenta e accesa esattamente come quella di una lampadina; la differenza è che, invece di usare un interruttore elettrico, sono necessari opportuni reagenti chimici. Le sostanze in grado di "accendersi e spegnersi" sono dette sensori luminescenti[1] e trovano applicazioni in molti campi; si va da quello ambientale (Figura 3), dove servono per rivelare la presenza di inquinanti come, ad esempio, i metalli nell'acqua del mare, a quello medico, in cui vengono usate per saggi immunologici, per evidenziare opportune sequenze del DNA, o specifiche cellule; da quello forense, dove tali sostanze vengono utilizzare per svelare impronte digitali, la presenza di tracce di sangue, o di polvere da sparo, a quello tecnologico, in cui, ad esempio, il loro uso nella galleria del vento permette di stabilire se la sagoma di un automobile, di un aereo, o di un satellite è sufficientemente filante da evitare forti attriti con l'aria. L'emissione di luce può, inoltre, essere la conseguenza di una reazione chimica, cioè accompagnare la trasformazione dei reagenti nei prodotti; tali reazioni sono dette chemiluminescenti[2] e, come per i sensori prima citati, hanno le più svariate applicazioni. Su questo principio, ad esempio, si basano le lightstick, costituite da un tubo di plastica in cui sono contenuti un liquido e una capsula di vetro che, a sua volta, contiene un altro liquido. Per "accendere" le lightstick basta piegare il tubo di plastica quel tanto da rompere la capsula interna e far entrare in contatto i due liquidi che possono dar luogo così alla reazione e alla conseguente emissione di luce. Poiché il colore della luce emessa è determinato dalla natura dei reagenti, cambiando i reagenti cambia anche il colore dell'emissione che può essere verde, giallo, azzurro, rosso, arancione, etc. Le lightstick reperibili in commercio sono di varie dimensioni e hanno diversi impieghi; possono servire per segnalare di notte il punto di un incidente stradale, vengono usate dagli speleologi nelle loro escursioni in grotta, o dai pescatori durante la pesca notturna. Non si deve poi dimenticare che la lucciola è un esempio vivente di reazione chemiluminescente.



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La luce, che non finisce mai di stupirci, può svolgere anche un altro ruolo di estremo interesse; fornendo energia, può permettere il verificarsi di un processo chimico che altrimenti non avverrebbe e, quindi, in un certo senso può comportarsi da vero e proprio reagente. Le reazioni che avvengono ad opera della luce sono dette fotochimiche e la loro importanza è enorme non solo per scopi applicativi -la fotografia, ad esempio, si basa su una reazione fotochimica-, ma anche e soprattutto perché il processo più importante per la vita sulla Terra, la fotosintesi, è una reazione fotochimica. In questo processo le piante sfruttano la luce solare per trasformare materie prime facilmente reperibili e di poco pregio, come acqua e diossido di carbonio, in ossigeno e in composti ad alto contenuto energetico e di grande pregio che rappresentano i prodotti dell'agricoltura e che ci forniscono cibo.

Ma l'importanza della fotosintesi non finisce qui perché il processo fotosintetico ci ha fatto un altro meraviglioso dono: i prodotti dell'agricoltura, dopo la loro trasformazione nel corso delle ere geologiche, hanno infatti permesso l'accumulo dei combustibili fossili, da cui preleviamo la quasi totalità dell'energia che ci serve per vivere agiatamente. Negli ultimi cento anni, però, con lo sviluppo di una società che divora energia a ritmo vertiginoso, l'uomo ha intaccato pesantemente le riserve di combustibili fossili accumulate lentamente dalla fotosintesi nelle ere passate, senza considerare che sono limitate e che il loro uso massiccio causa gravi problemi all'ambiente e, come ricaduta, alla salute umana. È, quindi, necessario trovare soluzioni adeguate prima che le scorte si esauriscano e che l'ambiente sia definitivamente compromesso, soluzioni che non dovrebbero prescindere dal considerare che l'energia solare è l'unica risorsa inesauribile e gratuita su cui possiamo contare[3].

Da quanto finora detto è evidente che la luce "è cosa buona", tanto buona da essere di vitale importanza per l'uomo e non solo per l'uomo, ma si può dire la stessa cosa delle altre radiazioni dello spettro elettromagnetico? 

 

 

3. Radiazioni a bassa energia

 

Passando a considerare le radiazioni a bassa energia, l'attenzione cade forzatamente sulle microonde, sulle radiazioni emesse dai telefoni cellulari e su quelle create dagli elettrodotti, dal momento che attualmente sono sotto accusa perché non sembrano essere del tutto innocue nei confronti dell'uomo. Nonostante i giornali e i mezzi di informazione ci bombardino a fasi alterne con notizie ora allarmistiche, ora ottimistiche, la scienza, che è l'unica a cui dobbiamo credere, non ha ancora preso una posizione definitiva in merito. Gli studi in questo settore sono molto attivi, tanto è vero che ogni anno si tengono congressi nazionali ed internazionali, nell'ambito dei quali i ricercatori presentano e discutono i loro risultati per riuscire a stabilire in maniera inconfutabile se, ed eventualmente in quale misura, tali radiazioni sono dannose per l'uomo. 

 

 

4. Radiazioni ad alta energia

 

È doveroso spendere qualche parola in più sulle radiazioni ad alta energia ed in particolare sui raggi X e sui raggi , ai quali si possono aggiungere anche le altre radiazioni o particelle emesse dai decadimenti radioattivi, dal momento che hanno tutte le stesse proprietà ed inducono gli stessi effetti. Queste radiazioni, indicate cumulativamente come radiazioni ionizzanti, destano molto timore ed, in effetti, se non vengono trattate con la dovuta cautela, i danni che possono provocare sono drammatici (Figura 4).



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È fuor di dubbio che il loro uso per scopi bellici deve essere condannato e, quasi certamente, le centrali nucleari non sono la giusta risposta al problema energetico per i rischi che comportano dal punto di vista della sicurezza e per quanto riguarda lo smaltimento delle scorie[4]. A parte questi aspetti, però, le radiazioni ad alta energia, le sostanze radioattive e/o le particelle che accompagnano il loro decadimento non vanno demonizzate perché, volente o nolente, dobbiamo convivere anche con esse. Gli atomi, infatti, partecipano alla costituzione di tutto ciò che ci circonda, compreso il nostro corpo, nella loro composizione isotopica naturale che, nella maggioranza dei casi, contiene isotopi radioattivi; a causa di ciò esiste "una radioattività di fondo" a cui siamo continuamente esposti e che non possiamo evitare. Le rocce che formano le montagne, il terreno che calpestiamo, l'aria che respiriamo, il cibo di cui ci nutriamo sono radioattivi, noi stessi siamo piccole sorgenti di radioattività. L'elemento che maggiormente contribuisce a creare il fondo naturale di radioattività, sia direttamente che indirettamente, è l'uranio. L'azione diretta si deve al fatto che le rocce, soprattutto quelle di origine vulcanica, contenendo una buona percentuale di questo elemento che ha un tempo di decadimento lunghissimo tanto da essere considerato coevo della Terra, mantengono ancora oggi una radioattività non trascurabile. L'azione indiretta dell'uranio è, però, di gran lunga la più importante e si deve al fatto che, nel suo decadimento, questo elemento genera il radon, un radioisotopo gassoso (sarebbe meglio dire una famiglia di radioisotopi), che si scioglie nell'acqua che percola nel sottosuolo, o nelle sacche di gas intrappolate nel terreno e, dopo un tempo più o meno lungo, diffonde nell'aria. Il radon, quindi, si trova nell'aria che respiriamo, ma anche, a concentrazione più elevata, all'interno degli edifici, dove si accumula, sia perché viene costantemente prodotto dai materiali da costruzione utilizzati, sia perché si libera, soprattutto in cucina e in bagno, quando apriamo il rubinetto dell'acqua o usiamo il gas per cucinare[5]. La buona pratica di arieggiare mattina e sera gli ambienti riporta, comunque, il livello di radioattività al valore del fondo naturale. È importante sottolineare che il radon è un problema reale solo per alcune parti del mondo; ad esempio, ad Hancock nel Maine (USA) e ad Helsinki in Finlandia l'acqua potabile ha un livello di radioattività dovuta al radon anche diecimila volte superiore al fondo naturale. Per quanto riguarda l'Italia, nonostante a fasi alterne i mezzi di informazione facciano del terrorismo, il problema radon all'interno degli edifici non sussiste; c'è solo l'eccezione della zona attorno a Napoli dove, a causa del tufo che è ancora usato come materiale da costruzione, è possibile registrare negli ambienti livelli di radon leggermente superiori al fondo, livelli che, però, sono sempre estremamente contenuti.

Oltre a questo fondo di radioattività esterna siamo anche soggetti ad un irradiamento interno causato dal cibo che consumiamo perché, come già detto, quasi tutti gli alimenti contengono isotopi radioattivi. Il più importante è, senza dubbio, un isotopo del potassio, K-40, che, fra l'altro, va ad accumularsi nei nostri muscoli. Così un uomo, avendo una massa muscolare maggiore, è "una sorgente" di radiazioni ad alta energia più potente di una donna e un uomo atletico è molto più "radioattivo" di un uomo mingherlino. La quantità di radioattività che ingeriamo, inoltre, dipende molto dal tipo di dieta: per esempio i popoli nordici che si cibano di renne e caribù, che a loro volta mangiano licheni in cui si accumulano Pb-210 e Po-210, sono esposti ad una radioattività interna quindici volte superiore a quella della media mondiale.

Non dobbiamo poi dimenticare che anche lo stile di vita a cui siamo oggi abituati ci sottopone a continui "irraggiamenti"; guardare la televisione più di tre ore al giorno o intraprendere viaggi aerei, soprattutto se intercontinentali, ci espone, infatti, a quantità di radiazioni ionizzanti non trascurabili. Questo, però, non sembra preoccuparci più di tanto, mentre siamo pronti ad insorgere tutte le volte che viene prospettato un utilizzo per scopi pratici delle radiazioni ad alta energia, senza pensare che, se usate con maturità e intelligenza, possono offrirci notevoli benefici[6].

Si può partire considerando il campo sanitario, in cui l'ostilità pubblica è minore, forse perché in tale ambito il principio rischio-beneficio è accettato più facilmente. È indubbio che in questo settore i benefici che si possono ottenere dalle radiazioni ad alta energia sono tanti, sia dal punto di vista terapeutico che da quello diagnostico. Per quanto riguarda il primo aspetto basta pensare alla cobaltoterapia che sfrutta l'effetto killer dei raggi gamma nei confronti delle cellule per sconfiggere i tumori. Di recente, poi, è nata l'adroterapia, che si basa sull'uso di particelle pesanti accelerate, come protoni e nuclei di C-12; questa tecnica presenta molti vantaggi rispetto alla cobaltoterapia; è, infatti, molto efficace e, al contempo, permette di preservare al massimo i tessuti sani limitrofi alla zona tumorale; è in grado di debellare in maniera quasi definitiva un tipo di tumore del retro-occhio non trattabile con altri mezzi e che, prima dell'avvento di questa terapia, portava a morte certa; inoltre, utilizzando nuclei di C-12, è possibile avere una buona risposta terapeutica anche nel caso di tumori radioresistenti.

Per quanto riguarda l'aspetto diagnostico, l'uso delle radiazioni ad alta energia si può far risalire al 1895, anno della scoperta dei raggi X. La radiografia che Roentgen fece alla mano della moglie nello stesso anno (Figura 5) è rimasta nella storia perché segna l'importante momento in cui l'uomo ha realizzato di poter vedere dentro se stesso in maniera non invasiva.

Da allora le tecniche diagnostiche che fanno uso di sostanze radioattive e radiazioni ionizzanti si sono sviluppate in maniera incredibile diventando sempre più sofisticate, precise e sensibili. Non solo queste tecniche permettono di ottenere immagini tridimensionali estremamente definite, come ad esempio la TAC (tomografia assiale computerizzata), ma possono anche dare informazioni sul funzionamento di un particolare organo, compreso quello in assoluto più complesso e misterioso: il cervello. Questo è il caso della PET (tomografia a emissione di positroni) che permette di studiare le funzioni celebrali e le patologie connesse con grande dettaglio.



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Anche al di fuori del campo medico le radiazioni ionizzanti trovano innumerevoli applicazioni e nei più svariati settori, che vanno da quello industriale a quello ambientale, artistico e alimentare. Come già detto, però, appena si esce dall'ambito medico, l'ostilità della gente cresce sensibilmente, soprattutto in Italia, dove c'è un netto rifiuto nei confronti di queste tecniche più che altro per mancanza di una seria informazione.

Giusto per fare qualche esempio, in campo industriale i raggi gamma vengono usati per sterilizzare i presidi medicali monouso, come siringhe, corredi per dialisi, sacche per contenere il sangue, ecc. Questa tecnologia garantisce una perfetta sterilità, anche perché i prodotti vengono trattati già confezionati, e rappresenta l'unica alternativa all'ossido di etilene che è un gas pericoloso, dato il suo alto potere esplosivo, inquinante per l'ambiente e tossico per l'uomo.

Un altro settore industriale in cui i raggi gamma trovano validissimo impiego è quello dei polimeri, cioè delle materie plastiche, dove sono usate per indurre la polimerizzazione di monomeri, per conferire proprietà migliori o addirittura nuove ai materiali plastici, indipendentemente dal modo con cui sono stati ottenuti, e per degradare polimeri così da rendere più facile il loro smaltimento o il loro riciclo. Rispetto ai processi tradizionali questa tecnologia ha il vantaggio di non richiedere l'uso di solventi, di iniziatori e additivi che, nella maggioranza dei casi, sono tossici per l'uomo e dannosi per l'ambiente.

Quindi, anche se sembra strano a dirsi, le tecnologie che utilizzano i raggi gamma sono più rispettose per l'uomo e l'ambiente di quelle tradizionali e questo è anche il motivo per cui in molti paesi europei e negli Stai Uniti sono già industrialmente consolidate. Un'obiezione che viene normalmente sollevata è che, così facendo, si potrebbe andare incontro ad un inquinamento di tipo nucleare a causa delle sorgenti radioattive necessarie per produrre i raggi gamma, ma ciò non è assolutamente vero per due motivi. Il primo è che le sorgenti di raggi gamma comunemente usate sono costituite da un isotopo del cobalto, Co-60, che si disattiva in un tempo relativamente breve dando una specie non radioattiva, Ni-60. Inoltre, e questo e il secondo motivo, in qualsiasi settore applicativo, compreso quello medico, si sta andando sempre più nella direzione di sostituire le sorgenti radioattive con macchine che producono radiazioni o particelle con le stesse caratteristiche dei raggi gamma e che hanno il grande vantaggio di poter essere accese e spente come lampadine.

Le radiazioni ad alta energia trovano proficue applicazioni anche nel settore ambientale, per trattare rifiuti solidi, fanghi, acque di scarico, fumi delle centrali siderurgiche e termoelettriche, e nel campo dei beni culturali, per verificare lo stato di conservazione di un'opera d'arte, per stabilirne l'autenticità e per effettuare interventi di recupero.

Per concludere è doveroso spendere qualche parola sull'applicazione delle radiazioni ionizzanti nel settore alimentare, applicazione che desta molta paura e diffidenza soprattutto in Italia.

La prima domanda che si può fare è per quale motivo irradiare i cibi. Gli scopi sono fondamentalmente due: eliminare agenti patogeni e allungare il tempo di conservazione degli alimenti[7]. Per quanto riguarda il primo punto, con le radiazioni ionizzanti è possibile distruggere la salmonella eventualmente presente in carni, pollame, uova e altri microrganismi patogeni riscontrabili in pesce, spezie, tè e cacao. I vantaggi che ne conseguono sono evidenti e consistono nel limitare infezioni e intossicazioni alimentari che gravano pesantemente sulla spesa sanitaria pubblica. Fra l'altro, poiché il trattamento avviene sugli alimenti già confezionati, l'igiene è conservata al massimo; lo dimostra il fatto che persone affette da gravissime deficienze immunitarie sono alimentate esclusivamente con cibi così trattati. Per quanto riguarda invece il secondo punto, queste radiazioni permettono di rallentare la maturazione della frutta e la formazione di muffe in frutta e verdura, eliminare agenti infestanti da cereali e inibire la germinazione di patate (Figura 6), aglio e cipolle, il che comporta un consistente aumento del tempo di conservazione.



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Questo aspetto è molto importante se si considera che circa il 30% delle derrate alimentari va perso dopo il raccolto per infestazione da parassiti e/o per deterioramento e che la tecnica che utilizza le radiazioni ad alta energia è in alternativa all'uso di fumiganti, antiparassitari e conservanti la cui tossicità è stata da tempo evidenziata e il cui impatto ambientale è notevole.

È necessario a questo punto fugare alcune paure istintive che nascono per mancanza di informazione, o che, ancora peggio, sono il frutto di informazioni distorte.

I cibi trattati con le radiazioni non sono radioattivi e ciò è stato ampiamente dimostrato; fra l'altro è anche impossibile che una cosa del genere si verifichi perché l'energia delle radiazioni usate non è tale da indurre radioattività. I cibi trattati con le radiazioni non sono né cancerogeni, né mutageni, né teratogeni e anche questo è stato ampiamente dimostrato. Le prove, raccolte in quasi mezzo secolo di sperimentazione, sono contenute in un documento redatto dalle Organizzazioni mondiali della Sanità, chiamato Codex Alimentarius, che è consultabile da tutti.

Un'altra paura dei consumatori è che il trattamento con le radiazioni consenta di immettere sul mercato cibi non di prima qualità; anche questo timore è infondato perché le radiazioni non fanno miracoli: un alimento deteriorato non ritorna magicamente fresco, quando viene irradiato. C'è poi da aggiungere che questo tipo di trattamento, essendo abbastanza costoso, viene utilizzato solo per cibi di primissima qualità.

I consumatori temono anche che le radiazioni ad alta energia possano indurre nei cibi la formazione di radicali liberi, dei quali oggi si parla tanto e spesso a sproposito. Ebbene, questa volta la risposta è affermativa, ma la quantità di radicali che si forma con l'irradiamento è molto piccola, molto più piccola di quella che si produce con altri trattamenti, quali la tostatura, la friggitura e l'essiccamento: una fetta di pane tostato contiene una quantità di radicali liberi di gran lunga superiore a quella presente in un chilo di cibo secco irradiato. La cosa, comunque, non ci deve preoccupare eccessivamente perché i radicali, essendo specie molto reattive, vengono subito neutralizzati dalla saliva della nostra bocca con la quale reagiscono dando prodotti innocui.

Per quanto riguarda, poi, l'aspetto nutrizionale, altro punto di perplessità, le ricerche effettuate hanno dimostrato che i cibi irradiati sono perfettamente comparabili a quelli che hanno subito un qualsiasi altro trattamento a scopo conservativo come, ad esempio, la bollitura. 

 

 

5. Conclusione

 

Quanto sopra esposto dovrebbe farci capire che possiamo vivere e convivere pacificamente con tutti i tipi di radiazioni elettromagnetiche, da quelle che da sempre associamo all'idea di benessere come, ad esempio, le radiazioni che ci arrivano dal Sole, a quelle che istintivamente temiamo come, ad esempio, le radiazioni che accompagnano i decadimenti nucleari, perché da tutte possiamo trarre utili benefici. L'importante è usarle con intelligenza e nel pieno rispetto del genere umano, una regola che chi lavora in ambito scientifico non dovrebbe mai dimenticare.



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[1] A.P. DE SILVA, P. TECILLA (eds.), Fluorescent Sensors, "Journal of Materials Chemistry", 2005, 15, pp. 2617-2976.
[2]B.Z. SHAKHASHIRI, Chemical Demonstrations - A Handbook for Teachers of Chemistry, University of Wisconsin Press, Madison 1983, Vol. 1, p. 125.
[3]N. ARMAROLI, V. BALZANI, Energia Oggi e Domani – Prospettive, Sfide, Speranze, Bonomia University Press, Bologna 2004; ID., The Future of Energy Supply: Challenges and Opportunities, "Angewandte Chemie International Edition", (46) 2007; ID., Energia per l'Astronave Terra, Zanichelli, Bologna 2008.
[4]N. ARMAROLI, V. BALZANI, Energia Oggi e Domani, cit.; ID., The Future of Energy Supply: Challenges and Opportunities, cit.; ID., Energia per l'Astronave Terra, cit.
[5]Radiation, People and the Environment, IAEA, 2004.
[6]Ibidem.
[7]Facts about Food Irradiation, IAEA, 1999; Enhancing Food Safety through Irradiation, IAEA, 1999.
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