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L'inquinamento atmosferico

Celina Vitali
Laudato si', mi' Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale, a le Tue creature dài sostentamento.


(San Francesco)

 

Le questioni relative alla gestione ambientale e allo sviluppo sostenibile rappresentano un ambito in cui un grande contributo ci si può aspettare dalla scienza messa a supporto delle politiche: si tratta infatti di gestire un sistema incredibilmente complesso, nel quale diversi aspetti sono tra di loro connessi e interdipendenti, talvolta attraverso retroazioni difficili da spiegare e spesso contro intuitive.

Se è compito della politica prendere decisioni, è compito della ricerca scientifica mettere a punto schemi e metodi conoscitivi, dare un'interpretazione sempre più accurata dei fenomeni complessi, formulare ipotesi e previsioni il più possibile verosimili per fornire in sintesi validi strumenti di supporto alle decisioni e alla pianificazione in materia ambientale.

È in quest'ambito che si colloca la ricerca scientifica sulle principali tematiche relative all'inquinamento atmosferico, ossia a quell'insieme di fenomeni, di origine antropica, responsabili delle alterazioni della normale composizione dell'aria che respiriamo.  

 

 

1. I principali inquinanti atmosferici

 

Può definirsi fenomeno di inquinamento atmosferico ogni modifica della normale composizione o dello stato fisico dell'atmosfera, dovuta alla presenza di una o più sostanze in quantità o con caratteristiche tali da alterare le normali condizioni ambientali e di salubrità dell'aria e da costituire pericolo, diretto o indiretto, per la salute dell'uomo e in generale per le risorse biologiche e gli ecosistemi.

Quando, negli anni Cinquanta, si cominciarono a realizzare le prime reti di monitoraggio si misurava quasi esclusivamente il biossido di zolfo (SO2), tipico prodotto della combustione fossile e rappresentativo pertanto di fenomeni di inquinamento urbano e industriale.

Con il passare del tempo e con l'aumentare delle conoscenze, il numero delle sostanze da tenere sotto controllo è aumentato. Da molti anni, oltre al biossido di zolfo, si misurano anche il monossido e il biossido di azoto (NO ed NO2), il monossido di carbonio (CO) e il particolato totale sospeso (PTS).

Più recentemente si è presa coscienza del fatto che nell'atmosfera stessa si producono nuovi inquinanti (inquinanti secondari) a motivo delle complesse reazioni chimiche che avvengono nel mezzo atmosferico tra ciò che viene direttamente emesso da attività antropiche (inquinanti primari) e ciò che vi è naturalmente presente. L'ozono (O3) ad esempio è prodotto da reazioni che coinvolgono ossidi di azoto e idrocarburi in presenza di radiazione solare (smog fotochimico).

Ultimamente l'attenzione si è focalizzata sulle polveri fini, il cosiddetto PM10, ovvero la frazione del particolato (Particulate Matter) con diametro inferiore a 10 µm. Sono infatti le frazioni più fini del particolato (in particolare quelle con diametro di dimensioni comprese nell'intervallo 0.1-0.5 µm) a risultare le più pericolose perché hanno maggiori probabilità di interessare l'apparato respiratorio, penetrando direttamente nei polmoni. Il particolato è un inquinante sia primario sia secondario: in parte (la frazione più grossolana) è emesso direttamente, in particolare dai processi di combustione; in parte è prodotto in atmosfera da reazioni che coinvolgono gli ossidi di zolfo e di azoto, l'ammoniaca e i composti organici volatili (COV), che a partire dalla fase gassosa possono dare origine a prodotti condensati in fase liquida o solida. 

 

 

2. La normativa europea

 

Negli ultimi decenni diverse Direttive europee hanno portato a definire le strategie politiche generali in materia di valutazione ambientale e in particolare di gestione della qualità dell'aria: definizione di obiettivi e di limiti imposti alle concentrazioni degli inquinanti, criteri e metodi di valutazione, informazione al pubblico, strategie di risanamento e di mantenimento della qualità dell'aria (attraverso la definizione di idonee misure di contenimento delle emissioni, volte alla riduzione sia degli episodi acuti sia dei livelli medi di inquinamento).

Il principio generale che le politiche di qualità dell'aria dovrebbero seguire sarebbe quello di stabilire un legame tra ricerca e normativa, tale per cui i limiti imposti alle concentrazioni degli inquinanti tengano conto dei più recenti risultati scientifici in campo ambientale ed epidemiologico[1]. Così all'aumentare della conoscenza sono diventati via via più restrittivi i valori limite imposti dalle normative alla concentrazione in aria dei principali inquinanti. In Tabella 1 sono presentati i principali valori limite stabiliti dalla più recente Direttiva europea[2].

 

 

3. La realtà italiana

 

Per quel che riguarda la realtà italiana, anche se negli ultimi decenni si è registrato un tendenziale miglioramento della qualità dell'aria nelle aree urbane, gli unici inquinanti che risultano attualmente sotto controllo nelle nostre città sono il biossido di zolfo e il monossido di carbonio, largamente al di sotto dei limiti imposti dalle normative europee e nazionali.

I valori limite per il PM10 vengono invece sistematicamente superati durante la stagione invernale quando vengono registrati episodi acuti di inquinamento, con valori delle concentrazioni misurate estremamente elevati. Nelle principali aree urbane della pianura padana il numero di superamenti del valore di 50 µg/m3 per la media giornaliera di PM10 è molto più alto di quello fissato dalla normativa (35 volte) e anche le concentrazioni medie annue sono spesso superiori al valore limite di 40 µg/m3. Nelle Figure 1 e 2 sono riportati, a titolo di esempio, i dati forniti da Arpa per i capoluoghi di provincia della Lombardia[3].

Per quel che riguarda l'inquinamento fotochimico, le concentrazioni di ozono nei mesi estivi segnalano elementi di criticità comuni a vaste aree della pianura padana; inoltre, trattandosi di un tipico inquinante secondario, l'ozono presenta una particolare distribuzione spaziale dei valori massimi, che risultano localizzati non nelle aree urbane ma in quelle extraurbane ad esse limitrofe. In Figura 3 è descritto ad esempio un episodio acuto di inquinamento da ozono in provincia di Bologna, con concentrazioni misurate nei siti rurali maggiori di quelle registrate nel sito urbano.

 

 

4. I modelli di qualità dell'aria

 

Le misure di concentrazione dei principali inquinanti atmosferici sono di fondamentale importanza per l'evoluzione della conoscenza in materia di qualità dell'aria, ma hanno un limite fondamentale: ogni misura fornisce un'informazione relativa ad una ben precisa localizzazione spazio- temporale ed è pertanto rappresentativa di una singola situazione specifica. Per descrivere l'intero sistema atmosferico è necessario formulare una rappresentazione matematica dei complessi fenomeni che interessano l'atmosfera e la dispersione degli inquinanti in essa. È questo il compito dei modelli di simulazione della qualità dell'aria (o modelli chimici di trasporto, Chemical Transport Model – CTM). I modelli chimici di trasporto racchiudono la descrizione dei processi chimico-fisici in atmosfera e forniscono le concentrazioni degli inquinanti in funzione dello spazio e del tempo a partire da date condizioni meteorologiche ed emissive[4].

Poiché uno degli aspetti cruciali per comprendere le dinamiche dell'inquinamento e per gestire le azioni di risanamento è proprio la nostra abilità nel descrivere i legami fra emissioni e concentrazioni, i modelli atmosferici hanno rivestito negli ultimi anni un ruolo di sempre maggiore importanza sia da un punto di vista scientifico, per lo studio della dispersione degli inquinanti in atmosfera, sia da un punto di vista politico, come supporto all'emanazione delle direttive per la gestione della qualità dell'aria.

A cosa servono in sintesi i Modelli di qualità dell'aria?

Innanzitutto consentono lo studio e l'analisi dei fenomeni chimici e fisici che avvengono in atmosfera, fornendo un contributo conoscitivo sostanziale per l'elaborazione dei piani di risanamento. In particolare consentono uno studio dettagliato dei fenomeni di inquinamento secondario e sono in grado di fornire, per gli inquinanti secondari, importanti informazioni sui contributi relativi delle componenti primarie e secondarie.

I modelli consentono quindi di migliorare le conoscenze relative alle sorgenti, alle cause e ai processi che determinano la qualità dell'aria. Tutto questo si concretizza nella possibilità di dare risposte, anche quantitative, a domande del tipo: come si traduce una variazione delle emissioni in termini di concentrazione degli inquinanti in aria? Quanto un piano di risanamento sarà efficace nel migliorare la qualità dell'aria che respiriamo? I modelli infatti possono essere utilizzati in modo prognostico e consentono pertanto di valutare a priori l'efficacia di scenari emissivi alternativi e/o futuri.

Dal punto di vista del supporto alla normativa, possono quindi essere applicati per le Valutazioni di Impatto Ambientale (VIA), per le Valutazioni Ambientali Strategiche (VAS), per la predisposizione e le valutazioni di piani di risanamento, per la zonizzazione del territorio regionale ai fini della valutazione e della gestione della qualità dell'aria.

Inoltre mentre, come si diceva, le misure forniscono un'informazione puntuale, i modelli offrono una maggiore copertura spaziale e consentono pertanto di integrare la base conoscitiva fornita dalle reti di monitoraggio ambientale ed eventualmente di valutare l'impatto di inquinanti non ancora monitorati dalle reti esistenti. In Figura 4 è presentato un classico esempio di mappa elaborata da un modello di qualità dell'aria. I dati sono stati calcolati dal modello MINNI (Modello Integrato Nazionale a supporto della Negoziazione internazionale sui temi dell'Inquinamento atmosferico[5]), un modello di qualità dell'aria sviluppato da ENEA (in collaborazione  con ARIANET srl.) a partire dal 2002 e finanziato dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, proprio per dotare l'Italia di un valido strumento di supporto per l'analisi delle politiche di riduzione delle emissioni.

 

 

5. Conclusioni

 

In generale svariati studi, condotti sia dal punto di vista modellistico sia attraverso l'analisi di dati monitorati, hanno messo in luce un concetto chiave di cui le politiche di qualità dell'aria devono tenere conto: non esistono misure prevalenti per l'abbattimento dell'inquinamento atmosferico, ma la soluzione del problema va cercata nell'integrazione di opportuni provvedimenti da studiare a scala di bacino.

Ciò accade per almeno due motivi. Intanto gli inquinanti attualmente oggetto dell'attenzione del legislatore (l'ozono e il particolato atmosferico) sono inquinanti di tipo secondario, ovvero non direttamente emessi da una sorgente specifica. Per controllarli è quindi necessario agire su una molteplicità di fonti o settori produttivi, le cui emissioni sono solo indirettamente connesse alle concentrazioni degli inquinanti in aria  e il cui peso può variare localmente in maniera sostanziale.

In secondo luogo, il maggior contributo all'inquinamento tende a non essere più attribuibile solo a grosse sorgenti localizzate (tipicamente industriali o di generazione di energia), ma sempre più importanti stanno diventando le piccole sorgenti diffuse, per esempio il traffico e altri mezzi di trasporto. Ovviamente diventa intrinsecamente più complesso controllare tale molteplicità di sorgenti rispetto a sorvegliare i grandi impianti su cui molti provvedimenti si sono concentrati negli scorsi decenni.

Quindi, se è vero che per migliorare la qualità dell'aria, occorre diminuire le emissioni degli inquinanti più pericolosi laddove è più efficace diminuirle (e questo significa controllare i grandi inquinatori), altrettanto importante sta diventando convincere moltissimi piccoli inquinatori a cambiare stile di vita.



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[1] ATS, Committee of the Environmental and Occupational Health Assembly of the American Thoracic Society (CEOHA-ATS), Health Effects of Outdoor Air Pollution, "American Journal Respiratory and Critical Care Medicine", 1996, 153, pp. 3-50; C.A. POPE III, D.W. DOCKERY, Epidemiology of Particle Effects in Air Pollution and Health, (Holgate ST, Samet JM, Koren HS, Maynard R, eds), Academic Press, London 1999, pp. 673-705; D.V. BATES, Lines that Connect: Assessing the Causality Inference in the Case of Particulate Pollution, "Environmental Health Perspectives", 2000, 108, pp. 91-92;  B. BRUNEKREEF, G. HOEK, Beyond the Body Count: Air Pollution and Death (Invited commentary), "American Journal of Epidemiology", 2000, 151, pp. 449-451.
[2] Direttiva 2008/50/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008 relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europea. G.U.U.E. n. L 152 del 11/06/2008.
[3] Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente della Lombardia, Rapporto sullo Stato dell'Ambiente in Lombardia 2008-2009, http://ita.arpalombardia.it/ita/RSA_2008-2009/index.asp.
[4] J.H. SEINFELD, S.N. PANDIS, Atmospheric Chemistry and Physics, From Air Pollution to Climate Change, John Wiley, 2006.
[5] G. ZANINI, F. MONFORTI, P. ORNELLI, T. PIGNATELLI, G. VIALETTO, G. BRUSASCA, G. CALORI, S. FINARDI, P. RADICE, C. SILIBELLO, The MINNI project. Proc. of 9th Conference on Harmonisation within Atmospheric Dispersion Modelling for Regulatory Purposes, 1-4/6/2004, Garmisch-Partenkirchen (D) (2004); G. CALORI, S. FINARDI, L. VITALI, P. ORNELLI, National-Scale Air Pollution in Italy: Yearly-Based Modelling of Interregional Contributions, Science and Supercomputing at CINECA. 10.1388/SSC (2005)-ES-318; I. D'ELIA, M. BENCARDINO, L. CIANCARELLA, M. CONTALDI, G. VIALETTO, Technical and Non Technical Measures for Air Pollution Emission Reduction: the Integrated Assessment of the Regional Air Quality Management Plans through the Italian National Model, "Atmospheric Environment", 2009,  43, pp. 6182-6189.
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