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Ambiente e rifiuti: l'obiettivo
"rifiuti zero" come trampolino verso la sostenibilità[*]

Paul Connett

È ormai consuetudine bruciare rifiuti medici. L'incenerimento dei rifiuti medici è anzi una risposta totalmente inadeguata al problema che è essenzialmente un problema di tipo biologico: si vuole evitare che organismi, quali batteri e virus, responsabili delle malattie lascino gli ospedali e si diffondano nella società. Tuttavia usare l'incenerimento ad alte temperature per distruggere batteri e virus comporta un lavoro aggiuntivo, vale a dire distruggere i materiali in cui questi organismi si trovano: la carta, il vetro, i metalli, la plastica e così via. Questo processo scatena tutta una serie di problemi che non esistevano prima. In altre parole, se si bruciano solamente batteri e virus non si producono gas acidi, diossina, non si liberano metalli tossici e non si generano nanoparticelle. Se invece si usa l'incenerimento si dovranno ovviamente affrontare i notevoli costi degli strumenti per il controllo dell'inquinamento dell'aria che catturano le emissioni tossiche dei materiali inceneriti, lasciando depositare i residui tossici.

Quello che invece bisognerebbe fare è trovare una tecnologia – e ce ne sono disponibili in commercio – che distrugga batteri e virus senza distruggere i materiali in cui si trovano. Esistono tre tecnologie molto valide: la prima è la sterilizzazione tramite vapore; la seconda è la disinfezione chimica, in cui i materiali vengono trattati con una sostanza chimica come il cloro; e infine vi è la tecnica delle microonde. Tutte queste tecnologie sono meno costose dell'incenerimento. Pertanto la soluzione è molto semplice: si può chiudere l'inceneritore e optare per una tecnologia diversa. E sarebbe ancora meglio se, anziché scaricare i rifiuti medici degli ospedali di mezza Italia, e probabilmente anche dall'estero, solo in poche comunità, gli ospedali si occupassero essi stessi di effettuare questi semplici trattamenti in loco: così facendo si taglierebbero i costi del trasporto e cesserebbe lo sfruttamento delle comunità che ospitano inceneritori.

E a tal proposito bisogna dire che comunità che rientrano in zone come quelle del Nord Italia, che hanno il più alto tasso d'inquinamento dell'aria di tutta l'Europa, non sono certamente il posto più adatto per aumentare la produzione di nanoparticelle, inquinamento, diossina e metalli tossici, che è invece esattamente quello che si sta facendo, sia con la diffusione di inceneritori per i rifiuti medici sia con quelli per rifiuti urbani. Questi ultimi, in particolare, costituiscono davvero un enorme pericolo, soprattutto per la questione dei CIP6. Il denaro pubblico viene speso, mal speso oserei dire, in ben due modi: innanzitutto per sostenere gli ingenti costi della costruzione di queste strutture, poi tramite i cosiddetti CIP6 destinati alla gestione delle strutture stesse. Assumiamo un esempio come quello di Brescia: qui si sono spesi 300.000.000 di euro per costruire l'inceneritore, una struttura in cui, tra il 1998 e il 2007, sono confluiti altri 400.000.000 di euro dalle tasse di contribuenti, per un totale di 700.000.000 di euro e 80 posti di lavoro creati. Mentre, in Nuova Scozia, dove inizialmente si era presa in considerazione l'idea di un inceneritore ma alla fine si è optato per la raccolta differenziata, il riciclaggio e il compostaggio, nell'arco di 5 anni sono stati creati 3.000 posti di lavoro in tutta la regione: 1.000 nell'ambito della raccolta e gestione dei diversi materiali (riciclaggio, riuso, compostaggio) e 2.000 nelle industrie che usano quel materiale.

Pertanto, anche nel caso in cui questi inceneritori fossero resi sicuri, anche se si sapesse dove depositare le ceneri tossiche – e ricordiamoci che, per ogni quattro tonnellate di rifiuti inceneriti si genera una tonnellata di ceneri tossiche, per le quali si deve trovare una sistemazione anche se si riuscisse a trattenere tutte le emissioni e le nanoparticelle (sappiamo già che non è possibile ma supponiamo che lo sia) – si tratterebbe solo di un tentativo di migliorare un'idea già sbagliata in partenza.

Cercare di distruggere dei materiali finiti è insensato e non più accettabile nel XXI secolo. Il punto non è cercare di trovare vie sempre migliori per distruggere le cose, ma piuttosto assicurarsi che si smetta di realizzare prodotti e imballaggi che poi dovranno essere distrutti. Ed è proprio questo il messaggio della filosofia "rifiuti zero": no agli inceneritori, no alle mega discariche e sì alla raccolta differenziata, al porta a porta, al compostaggio, al riciclaggio, alle iniziative per la riduzione dei rifiuti, al riuso, alla riparazione, alla decostruzione di vecchi edifici, agli incentivi economici come il sistema pay-by-bag, che prevede la raccolta gratuita di rifiuti organici e riciclabili, mentre applica una tassa sulla produzione di rifiuti residui (nella nostra comunità, ad esempio, dovevamo incollare un adesivo con scritto "$1.50" su ogni sacco dell'immondizia che riempivamo).

Per quanto riguarda la frazione residua, di fronte alla discarica bisogna costruire non un inceneritore, che finisce per creare un'ulteriore discarica di ceneri tossiche, ma piuttosto una struttura per la separazione e l'analisi dei rifiuti residui dove team di ricercatori, con l'auspicato coinvolgimento di università, professori e studenti, possano studiare questa frazione residua e raccomandare alle industrie una migliore progettazione industriale. Questo tipo di strutture sono il punto di contatto fra la responsabilità della comunità, da un lato, e la responsabilità industriale, dall'altro. Il messaggio che va dato alle industrie è che se un prodotto non può essere riutilizzato, riciclato o trasformato in compost allora queste non dovrebbero produrlo. Entro questo scenario, in ultima analisi, i rifiuti sono dovuti ad un problema di progettazione.

In natura non esistono rifiuti, sono un'invenzione dell'uomo e l'uomo può porvi rimedio. Una delle ragioni per cui continuo a frequentare l'Italia – questa è la mia quarantaquattresima visita – è che questo paese è pieno di persone estremamente creative e di fantastici designer industriali. Dobbiamo rivedere la progettazione industriale in modo tale da ridurre al minimo i rifiuti e l'Italia è il paese ideale per farlo. Nel frattempo, qui si stanno già facendo delle ottime cose: l'Italia forse utilizza alcuni sistemi di gestione dei rifiuti fra i peggiori al mondo, ma ne ha anche alcuni dei migliori. Vi sono 2.000 comunità in cui più del 50% dei rifiuti viene gestito con il sistema porta a porta, che è un trampolino verso l'approccio "rifiuti zero". In più di 200 comunità la raccolta differenziata copre il 70% dei rifiuti. Una città come Novara, di 100.000 abitanti, ha raggiunto il 70% in 18 mesi. Villafranca d'Asti, in Piemonte, è arrivata all'85%. Quindi la partenza è stata ottima. Tuttavia, delle 2.000 comunità che effettuano il porta a porta, al momento solo otto hanno dichiarato di aderire alla filosofia "rifiuti zero". È necessario che molte altre comunità seguano il loro esempio e lo facciano fino in fondo, così come è necessario che cittadini, studiosi e studenti vengano coinvolti nei centri di ricerca di "rifiuti zero". Centri che sono già in allestimento: uno verrà inaugurato il prossimo fine settimana a Capannori, in Toscana, un altro verrà attivato a Trapani, in Sicilia, a febbraio. Verranno allestiti dei siti web dove si illustreranno le ricerche in corso sulla frazione residua e tutti potranno contribuire a questi siti con idee per ridurre la quantità di rifiuti, o ad esempio si potrà redigere una lista di tutti i supermercati che fanno uso di contenitori riutilizzabili, o ancora qualcuno potrà dare dei suggerimenti su come sfruttare localmente quel materiale che non ha un buon prezzo di mercato.

Sarebbe anche tempo di spingere le persone a trovare delle connessioni fra l'approccio "rifiuti zero" e altri aspetti della sostenibilità: l'architettura sostenibile, l'industria sostenibile, l'agricoltura sostenibile, l'energia sostenibile. Per poter attivare queste connessioni è necessario che tutti vengano coinvolti in questo processo. Proprio come il porta a porta è il trampolino verso "rifiuti zero", "rifiuti zero" è il trampolino verso la sostenibilità. E in questo momento, la sostenibilità (ovvero la mancanza di sostenibilità) è la sfida più grande che la nostra società potesse affrontare, dai tempi della rivoluzione industriale. Oggi come oggi, avremmo bisogno di quattro pianeti se tutti consumassimo come gli americani e avremmo bisogno di due pianeti se tutti consumassero come gli europei. Nel frattempo India e Cina stanno iniziando a consumare come noi e stanno copiando i nostri standard. Qualcosa deve cambiare. E, a mio avviso, la migliore via verso il cambiamento passa attraverso i rifiuti, perché tutti noi produciamo rifiuti: le nostre mani producono rifiuti, le nostre mani possono liberarcene. Penso che sarebbe molto positivo ed entusiasmante poter dare una speranza alle persone, potergli dare un luogo dove loro stesse e le loro famiglie possano essere coinvolte nel cammino che porta alla sostenibilità. In ultima analisi, ciò che dobbiamo combattere è il consumo eccessivo. Dobbiamo separare il consumo materiale, ossia il consumo degli oggetti, dalla qualità della vita: vogliamo che il consumo degli oggetti si riduca e che la qualità della vita migliori, il che è sicuramente una grande sfida. Ritengo che l'Italia sia più vicina all'obiettivo di quanto non lo siano gli Stati Uniti, dove veneriamo i centri commerciali e il consumo. Voi italiani non dovete farlo, è possibile avere una vita molto felice anche senza consumi eccessivi.

Mahatma Gandhi diceva: «il mondo ha abbastanza per le necessità di tutti, ma non per l'avidità di tutti». Quindi l'invito che porgo è quello di unirsi al movimento "rifiuti zero" in tutta Italia e in tutto il mondo.



[*]Il presente contributo è stato presentato nel corso di un dibattito promosso a Forlì da diverse associazioni ambientaliste il 19 gennaio 2010. Si ringrazia Stefano Oronti per la collaborazione e per aver favorito il dialogo con Paul Connett.
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