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Dal Golem ai cyborgs

BARBARA HENRY
Articolo pubblicato nella sezione Immaginazione e politica.

Golem, cyborg, robot. Le ragioni di una distinzione nell’immaginario contemporaneo e in una inedita filosofia-politica dell’imminente futuro

Quanti siano in possesso della definizione su ciò che è vita sono anche i medesimi ad esser investiti delle decisioni vincolanti non soltanto in materia di bio-politica, ma anche del repertorio simbolico e della corrispondente nomenclatura di base, necessaria a identificare e a costituire i fenomeni rilevanti. Risulta difficile a chi scrive contestare tale tesi, da cui si prende avvio come assunzione preliminare. È infatti il «potere di nomare gli enti» ciò che permette a noi umani di disporre cognitivamente della zona liminale fra vita e non-vita, fra natura e artificio, in una dimensione ontologica e simbolica che fino ad ora è stata concepita e vissuta in forma antropocentrica, ma che ormai dovrebbe assumere caratteri più inclusivi; tale dimensione, di pensiero e di esperienza, così ampliata, definirebbe propriamente l’orizzonte post-umano come orizzonte della condivisione effettiva, ossia costruita sulla conoscenza approfondita e sull’interpretazione fondata delle differenze, della vulnerabilità, della finitudine, della creaturalità di tutti gli enti organici e inorganici, naturali e artificiali. Soprattutto rispetto a quest’ultima classe di entità inedite o perlomeno inconsuete per i più, un siffatto obiettivo va perseguito senza confusioni categoriali, perché può essere raggiunto solo mediante una rigorosa analisi concettuale e definitoria, la cui prima tappa riguarda le nozioni di immaginario.
Il concetto di immaginario contemporaneo è qui inteso in una triplice accezione: a) quale tesaurus di simboli, immagini, nuclei narrativi, pur antichissimi, ma in molti casi di portata transculturale, e storicamente ricorrenti; b) quale struttura simbolica, produttiva di miti e di immagini collettivamente comunicabili, recepibili e modificabili, ossia quale facoltà dell’immaginazione in atto nei propri prodotti; c) quale modalità del legame esistente fra le figurazioni spirituali create dall’immaginazione, il cosiddetto «tenore del correlato oggettivo» di cui si colora storicamente la messa in esercizio della facoltà dell’immaginazione, come nella definizione del punto b). L’immaginario è dunque: a) repertorio di prodotti, b) facoltà mentale, c) modalità del legame fra i primi due.
L’analisi dovrebbe proseguire focalizzandosi sulla prima delle tre accezioni, e permettere di districarci nel labirinto delle produzioni immaginifiche contemporanee, in cui in particolare un mondo variegato di esseri non-morti comprende come sottoinsieme un mondo di viventi umanoidi «non nati da donna». Ovviamente, non si parla qui di individui strappati prematuramente dal grembo della madre, o di parti cesarei, nonostante che pur vi sia un settore della riflessione sul fantastico che considera anche tali anomalie come omen o presagi. La ragione risiede nell’ambiguità intrinseca alla formulazione, «nato da donna», che è la stessa con cui le infide streghe ingannarono l’incauto Macbeth shakespeariano.
Ciò premesso, giacché non è lecito assimilare fra loro le diverse e multiformi fattispecie di esseri umanoidi «non nati da donna» – statua parlante, Golem, cyborg, androide – va rifiutato del pari l’espediente di ricondurre, con procedura anestetizzante e normalizzante, la variegata tipologia delle forme di vita e non-vita antropomorfica e artificiale alla mera fabbricazione di automi. Il robot indica propriamente la macchina che ci esonera dalla fatica del lavoro manuale («lavoratore», in ceco «roboti»).
Esiste, invece, in contrasto con quanto si sostiene qui e nelle pagine che seguono, una definita e pervasiva tendenza osmotica dell’immaginario contemporaneo, sicuramente da contrastare, e tesa a ricondurre perfino il Golem della tradizione talmudica e kabbalistica entro una specifica categoria di automi, aventi il corpo d’argilla o di materiale tellurico ed il cervello di silicio, costruito artificialmente sulla logica binaria del microchip elettronico. Esempio emblematico e recentissimo, in riferimento al fumetto d’autore riconosciuto e accreditato a livello mondiale, è l’Almanacco del Mistero (2011), in cui si narra che il Golem avrebbe avuto un cervello artificiale strutturato secondo la logica binaria. Al contrario, il Golem, creatura umanoide emblematica ed esempio canonico della necessità di distinzioni accurate, è un'entità artificiale fatta di una materia (la terra) finalizzata a scopi (essere uno strumento di elevazione, di servizio o di protezione) e di carattere proto-umano: il prefisso «proto» va inteso sia nel senso di precedere temporalmente, sia di anticipare archetipicamente. È Adamo abbozzato, informe, non pienamente dispiegato (Henry 2013, capp. I, II, V). Peraltro, il Golem è anche ciò che essendo ancora in potenza si predispone a molteplici possibilità di effettiva concretizzazione del modello. In tal senso, di condivisione della materialità che accomuna tutti gli enti, e di apertura verso nuove condizioni di relazione, è l’emblema del post-umano, ed assume un ruolo cardine in una, per adesso soltanto ipotetica, antropologia filosofico-politica del prossimo futuro (B.-J. Koops et al. 2013).
In questo contesto, la prima nozione di immaginario (repertorio o symbolic tank) in particolare facilita l’individuazione dei tipi di dissenso definitorio che dividono gli addetti ai lavori su cosa sia un automa, cosa un cyborg, cosa una creatura golemica. Sotto questo profilo, non si devono sottovalutare le implicazioni, anche in termini di diritti fondamentali, che una assegnazione errata, ancor peggio se ascrittivamente imposta dall’esterno e non riflessivamente recepita, può produrre per i soggetti coinvolti, soprattutto quando si tratti di esseri umanoidi ibridi, potenziati da innesti meccatronici, i cyborgs, appunto. Questi rappresentano il genere di antropoidi che non sono né totalmente organici né totalmente meccanici (più precisamente, meccatronici), le cui molteplici configurazioni sono situate su una linea continua.
Ai due estremi si possono trovare, da un lato (quello dell’essere umano bionico), il grado massimo di dominanza dei tessuti viventi, con solo limitati inserti (protesici) elettronici e bio-meccanici: il caso dell’individuo riabilitato da protesi, o bionico; la bionica è infatti la scienza dei sistemi il cui funzionamento è basato su quello dei sistemi naturali, o che presentino analogie e caratteristiche specifiche rispetto ad essi. Tale disciplina permette di creare organi artificiali perfettamente interscambiabili o, nella maggior parte dei casi, potenziati rispetto a quelli naturali, deperiti o distrutti da eventi traumatici; dall’altro lato (quello del cyborg), dobbiamo ipotizzare di contemplare il grado minimo di componente organica, immaginando un marchingegno artificiale dotato tuttavia della più sublime componente organica, non esteriore o superficiale, bensì caratterizzante l’umano più di ogni altra: il cervello. Solo in questo secondo caso, di minima ma di discriminante presenza organica, si avrebbe a che fare propriamente con i cyborgs. In realtà, come già anticipato, si ritiene che i due termini, di essere bionico e di cyborg, si equivalgano nella struttura categoriale e che siano collocati su una linea continua. Tale distinzione possiede non di meno il vantaggio di aiutarci a districare a livello fenomenologico e funzionale i casi concreti, altrimenti non riproducibili nella loro vivida specificità. Per quanto concerne i cyborgs, i dispositivi di attivazione e controllo, quanto le componenti della struttura, sono quasi totalmente elettronici e meccatronici, mentre gli aspetti biologici e neurofisiologici hanno un ruolo che può dirsi residuale dal mero punto di vista quantitativo, ma non anche qualitativo. Rispetto ai cyborgs, le creature golemiche sono una sezione autonoma ma con aspetti affini: la materialità inorganica, il finalismo strutturale, il carattere (proto)umano, nel duplice senso, temporale e archetipico, sopra detto. Gli esseri golemici, così come compaiono in una importante classificazione contemporanea (Tagliasco 1999) dei costrutti e prodotti dell’immaginario, sarebbero creature composte di materia intelligente o materia capace di auto-organizzazione e di perseguimento di specifici scopi, non tutte quante artificiali. Tra di esse, uno sguardo comparativo ed interculturale che abbracci gran parte delle mitografie (scritture di miti) di ogni tempo e latitudine individua i seguenti esseri: angeli, demoni, entità sovrannaturali intermedie fra le divinità e gli umani, oltre che la creatura (questa sì) artificiale, fatta di fango, che si ritrova, a partire dalle ascendenze scritturali, nel Talmud, nella Kabbalah, e nelle saghe del ghetto di Praga del XVII secolo, la stessa creatura che, si noti, dà il nome alla categoria.
Ebbene, se prendiamo atto di quanto appena esposto, non vi è al momento una coincidenza e neppure una parziale sovrapponibilità fra le più antiche mitografie, di tipo robotico, e le visioni progettuali scaturite dalle potenzialità, e dai successi già in essere, della ricerca scientifico-tecnologica bionica e meccatronica, a cui si è appena fatto cenno. La constatazione importante da fare a questo punto è che, in ogni caso, le riflessioni germinate sulle figurazioni robotiche si sono già consolidate, costituendo esse stesse un repertorio simbolico piuttosto accreditato di nomenclature e di significati, circolanti fra classi eterogenee di referenti, come gli scienziati/e, gli imprenditori dell’industria cinematografica e dell’entertainment, i fruitori e i consumatori dell’immaginario – nel primo significato – di outputs, di prodotti simbolici. Su questo repertorio è possibile costruire la pur provvisoria classificazione tipologica a cui si aspira e che si delineerà progressivamente nel corso del presente saggio. Qualora si impieghino stabilmente definizioni rigorose, la categoria degli esseri golemici, ossia di entità umanoidi artificiali o non umane, fatte di una materia finalizzata, e costituenti una sezione autonoma tra i «non nati da donna», si mostrerà più inclusiva, variegata ed accogliente di quanto comunemente non si pensi, mentre quella dei cyborgs molto più ristretta. Come classe autonoma, ma fondamentale per il rilievo accreditato e discriminante, resta quella dei robot umanoidi, androidi in particolare.


Mitografie robotiche classiche. Da Asimov a Osamu Tezuka e oltre

Un effettivo passaggio riscontrabile nella realtà tecnologica e sociale, come pure nel repertorio simbolico che le corrisponde, è avvenuto allorché, iniziando da un ben diverso punto di partenza, si è giunti all’automa d’acciaio, antropomorfo e assegnato a svariate funzioni. Prima di allora si era trattato soltanto di robot industriali, nelle forme di arti meccanici di precisione, di piattaforme mobili robotizzate, di strumenti meccatronici per interventi intelligenti e sofisticati in nanochirurgia. Dagli anni Trenta del secolo passato, la fantascienza – che da più di duecento anni ha sostituito ampiamente le più antiche fonti dei miti collettivi – si era già accinta ad anticipare la scienza, prevedendo il passaggio verso l’umanoide d’acciaio. Uno dei suoi maestri, Isaac Asimov, ha tentato di emulare in questo Verne, anche se per ora senza successo, avendo riguardo all’effettiva realizzazione delle profezie visionarie in tecnologie reali. L’invenzione asimoviana che risulta più irriverente agli occhi dei seri studiosi della biofisica e della neurofisiologia resta tuttora il cervello positronico. Questo costrutto è al momento assolutamente irrealizzabile nei fatti, pur essendo molto affascinante e di grande influenza mitografica. Asimov ha immaginato un cervello artificiale pur sempre legato alle leggi naturali di questo universo, perché sarebbe costituito da positroni, da quelle particelle di anti-materia effettivamente scoperte dagli scienziati reali. Nella trama asimoviana queste particelle vengono abilmente connesse fra loro da ingegneri elettronici e meccatronici in un sistema pseudo-neuronale molto complesso. In questo tipo di cervello, definito «asciutto» – giacché elettronico e non biologico, ed equivalente a una spugna di platino-iridio – è possibile innestare senza possibilità di deviazioni e direttamente sulla corteccia cerebrale le tre leggi della robotica, la cui unica finalità è il bene e la tutela degli esseri umani da ogni genere di danno e pericolo: 1) un robot non può recare danno agli esseri umani, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, gli esseri umani ricevano danno; 2) un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, tranne nel caso in cui contrastino con la Prima Legge; 3) un robot deve salvaguardare la propria esistenza, purché ciò non contrasti con la Prima e la Seconda Legge.
Se tutto fosse rimasto a questo stadio di evoluzione, in cui i marchingegni votati al nostro servizio sono scopertamente assemblaggi meccanici, non si sarebbero forse innescate nelle proiezioni mentali di molti cittadini/e delle società contemporanee alcune reazioni di opposizione alla produzione e alla possibile diffusione in vari ambiti sociali (cura, servizi, assistenza) di automi umanoidi sempre più simili alle nostre fattezze. Ma non è stato così. Allorché i robot antropomorfici metallici divengono nell’evoluzione dell’immaginario fantascientifico (non ancora nella realtà) veri e propri androidi – ossia il tipo di automa antropomorfo costruito a imitazione di esseri umani con dovizia di particolari – le strade dell’accettabilità simbolica e sociale di tali entità si biforcano, fra Occidente e i vari Orienti. Questo resta valido, nonostante gli androidi, come da classificazione fantascientifica e immaginaria, siano entità composte con l’ausilio delle sole tecnologie meccaniche, chimiche, elettroniche, informatiche, bio-sintetiche ed esibiscano sembianze e funzionalità umane senza alcun intervento sul DNA. Un androide consiste in un cervello positronico o elettronico che venga inserito in un corpo composto da uno scheletro di silicone poroso e da componenti biologiche o bio-sintetiche esteriori, quali occhi, capelli, pelle, carne. Il cervello è dunque, idealmente, o del tipo asimoviano, o di tipo elettronico, come quello di un calcolatore molto evoluto. È la possibilità pur remota che in futuro si possa non distinguere un umano «nato da donna» da un androide a creare inquietudine, particolarmente in Occidente.
Asimov aveva già previsto questo atteggiamento timoroso e sospettoso come specifico per il nostro emisfero, pur mostrando personalmente un’apertura verso entrambe le posizioni in conflitto. Per lui, la distinzione fra robot metallici e androidi non ha importanza: un robot è sempre un robot, anche se del tipo perfettamente mimetico rispetto alla specie umana, e non crea difficoltà di sorta, purché corrisponda alla sua idea di automa positronico, ossia strutturalmente finalizzato al servizio e alla difesa dell’umanità.
Va notato che, in controtendenza rispetto ai fenomeni di repulsione o di sospetto o di paura nei confronti degli automi umanoidi, in un altro luogo, simbolico e geografico, già si fa ampio e consueto uso di robot mobili non antropomorfi e di robot antropomorfi meccatronici. Si tratta del Giappone, uno degli Orienti più culturalmente favorevoli all’applicazione delle creature artificiali nelle dimensioni quotidiane, sanitarie e lavorative, come si evince dagli esempi di vita vissuta tratti dai laboratori, dalle fabbriche, dalle dimore di anziani trasformate in case domotiche.
Ciò si deve alla specificità e ricchezza della concezione che il popolo giapponese ha sviluppato dai primordi della sua storia sul rapporto fra materia animata e inanimata. Questa stessa visione, infatti, si è recentemente configurata come una variante dello shintoismo laico avente echi non irrilevanti sugli scenari del vero o presunto cultural capitalism (formula indicante l’omologazione commercializzata delle forme di vita e delle esperienze vissute, la mercificazione e la diffusione planetaria sia degli stili di vita delle società avanzate, sia delle Lebensformen tradizionali) tramite la produzione del maestro del cinema d’animazione Mayosuke. È questa la Weltanschauung che tuttora innerva e sola rende comprensibile la soluzione fornita dal Giappone ai problemi dell’automazione dei processi sociali e lavorativi (Takanishi Atsuo 2008).
L’aspirazione di vedere presto gli androidi camminare per le strade insieme a noi, in qualità di interlocutori capaci di interazioni biunivoche in una società di esseri relazionali più estesa rispetto a quella attuale, non è il sogno di un visionario, né quello di un estroso sceneggiatore di film d’animazione. Al contrario, è l’obiettivo strategico e la ragion d’essere sociale della FuRo – acronimo di Future Robotics Technology Center, costola del Chiba Institute of Technology, uno dei più prestigiosi centri di ricerca giapponesi in materia di robotica. Che la durezza e serietà degli imperativi funzionali di uno dei modelli di capitalismo più aggressivi si ispirino a un’immagine dei manga (fumetti giapponesi) e degli anime (film di animazione) è sovente difficile da accettare per molti di noi occidentali. Eppure, come molte fonti candidamente attestano, il passaggio arduo da robot non umanoidi ad androidi veri e propri è stato segnato da un mito fondativo, e da un eroe della «letteratura disegnata», come Hugo Pratt chiamava il genere artistico del fumetto. Si tratta di Astro Boy, il personaggio su carta e su pellicola nato nel 1952 dalla penna di Osamu Tezuka, mangaka e regista, chiamato comunemente in Giappone il «dio dei manga». Atom dal pugno di ferro (il significato del nome giapponese Tetsuwan Atomu) è un automa umanoide invincibile ed estroso, dalle fattezze di bambino, che l’ingegnere suo creatore ha foggiato a immagine e somiglianza del figlio morto accidentalmente. Atom vive una vita normale fra robot suoi amici, accanto agli umani, fintanto che non si tratti di compiere imprese memorabili per salvare la Terra da sempre nuove minacce. Per alcuni, non sarebbe stata neppure questa la figurazione che avrebbe segnato una svolta riconoscibile nella auto-percezione dei giapponesi rispetto al loro rapporto secolare con i manga. Piuttosto, questo saltus sarebbe stato compiuto da altri personaggi sia robotici, sia di tipo androide, sia cibernetici, proprio perché capaci di interazioni articolate, dinamiche e aperte all’apprendimento, con i soggetti umani. Primo fra tutti, Super-Robot 28, il precursore delle baiometarubistu di Go Nagai, ovvero Goldrake, Mazinga, Jeeg, le prime creature propriamente bio-metalliche che combattono in simbiosi temporanea con il pilota-sodale che li dirige stando dentro di loro: la cabina di comando abitata è il nucleo bio-meccatronico di loro stesse. Il pilota condivide in tutto e per tutto le vicissitudini della macchina, in una forma simpatetica ed empatica.
Le entità artificiali in questione sono del pari classificabili – correttamente, a parere di scrive – come robot-esoscheletrici, da non confondere con i robot indossabili, i quali sono dispositivi collocati sul corpo umano, chiaramente identificabili come strumenti o potenziamenti parziali del corpo medesimo. L’enorme struttura è un corpo gigantesco che riveste il suo nucleo pensante e interagente, il pilota. Da un lato, la narrazione descrive gli esoscheletri come costrutti già capaci di indipendenza e di svolgimento autonomo di fini inscritti nel loro codice di programmazione; dall’altro, queste entità artificiali possono compiere gesta illimitate soltanto grazie al contributo della componente umana, qualora entri nella cabina di pilotaggio, collocata nella loro testa, o divenendo parte integrante del loro corpo. Ad ogni modo, tale unione temporanea non è né simbiosi né fusione cibernetica fra uomo e macchina. Non si tratta quindi di cyborgs, di entità umanoidi ibride, essendo le due componenti – umana e artificiale – solo temporaneamente e funzionalmente unite in un comune destino di momentanea gioia o sofferenza. La contiguità, la solidarietà, il sodalizio profondo che nasce fra commilitoni e fratelli in armi è la coloritura emotiva di tale specifica relazione. Si combatte fianco a fianco «con spargimento di sangue e di metallo fuso». Solo da quest’ultimo punto di vista, relazionale, vi è anche una affinità fra questi giganteschi esseri e i Transformers, automi alieni non creati da mano umana e assolutamente non-biologici, riproducenti solo al primo sguardo le fattezze delle baiometarubistu. In realtà, essi costituiscono una vera e propria specie intelligente, stellare, potente, tecnologicamente avanzatissima, ma divisa al proprio interno, come la nostra, fra buoni e cattivi. I buoni (i Primes) si sono sacrificati per la Terra agli albori della storia, quando un loro fratello malvagio (il Caduto) voleva assorbire l’energia del sole, necessaria alla propria specie, e distruggere la vita sul nostro pianeta. I loro discendenti, gli Autobots, sono sempre al nostro fianco, mimetizzandosi e assumendo le sembianze dei nostri strumenti tecnologici (auto, aerei, elicotteri, autotreni) per vivere tra noi e sostenerci contro il male. Sono mutaforma robotici e insieme esseri razionali e morali. Questa saga, immortalata nei manga, negli anime, nei gadgets, in siti, ma anche nella quadrilogia filmica di produzione statunitense, ricorda ovviamente la scansione ritmica e il tenore omiletico dell’angeologia occidentale (secondo la definizione, anche gli angeli sono esseri golemici non artificiali, in quanto creature fatte di materia intelligente).


Il senso di una classificazione. Affinità e differenze fra umanoidi artificiali e legittimità di una riflessione pratico-morale non ascrittiva

Torniamo alla tipizzazione, su cui maggiormente si innestano i dissensi definitori da cui siamo partiti nel primo paragrafo: le creature golemiche, in quanto entità umanoidi artificiali, fatte di una materia finalizzata, sono una sezione autonoma tra i «non nati da donna», che tuttavia si interseca in un punto con quella degli esseri umani, anche di quelli ibridi come lo sono i bionici e i cyborgs, su una base mitografica profondamente radicata: tale passaggio avviene primariamente grazie alla figurazione dell’Adam Macroantropos, nella fase in cui egli è nella condizione di Golem. Anche Adamo non è nato da donna, è plasmato da un potere allotrio, a partire da materia in primis inorganica anche se organizzata in nuce secondo un fine strutturale (Tagliasco 1999, pp. 41-42).
Fatta questa precisazione, ricordiamo come l’ampiezza della categoria golemica sia tale da includere svariati esseri intermedi (non artificiali): gli spiriti, gli angeli, i demoni, le creature immaginarie composte di materia intelligente o materia capace di auto-organizzazione e di perseguimento di specifici obiettivi, e che si collocano nell’ordine dell’essere fra gli umani e le divinità superne delle diverse culture. Il Golem menzionato dal Talmud e dalla mitografia ebraica della tradizione mistico-teurgica risulta dunque una fra le creature, se non la creatura artificiale (angeli, demoni e spiriti hanno uno status ontologico addirittura superiore agli esseri umani e ai loro prodotti) apparentemente più antica, almeno nell’alveo dell’Occidente. Solamente tale affinità strutturale dovrebbe legittimare la comparazione e il confronto fra il Golem e altri esseri artificiali: rispetto a quelli, i cyborgs sono esseri bio-meccanici, in altissimo grado artificiali, eppur sempre umani. La purezza biologica dell’origine non è affatto un requisito fondamentale, mentre lo è la presenza stabile di un elemento umano distintivo, il cervello. Come si ricorderà, ai due estremi si possono trovare, da un lato, i soggetti bionici, dall’altro i cyborgs. Nel primo, la bionica permette di creare organi artificiali perfettamente interscambiabili o addirittura potenziati rispetto a quelli naturali, allorquando il soggetto coinvolto nel trattamento ne abbia subito il deperimento patologico o la distruzione totale; in tal caso l’intervento costituisce di necessità un Enhancement a motivo della radicalità del danno, richiedente una sostituzione di componenti naturali con componenti artificiali ancor più sofisticati di quelli originali; infatti, adempiere efficacemente alle funzioni dell’organismo, che è inarrivabile nella sua semplicità, è possibile in genere al prezzo di tecnologie ‘supererogatorie’, che, per portare a un risultato essenziale, devono riprodurlo a livelli superiori. I contatti con l’elettrofisiologia e la neurofisiologia sono ciò che permette una sempre migliore interazione fra la bionica e la ricerca medica e riabilitativa, rivolta al ripristino di funzioni motorie e cognitive. Non casualmente da tale branca di discipline, attraverso la relazione biunivoca fra scienza e immaginario, sono scaturite già dagli anni Ottanta del secolo scorso alcuni personaggi di fantasia molto realistici, protagonisti di serie televisive – come L’uomo da sei milioni di dollari e La donna bionica – divenute di culto e tuttora reperibili in rete. Nel mondo dei fumetti, un precursore è stato Iron Man (anch’egli un supereroe), che si salva da morte certa grazie a una sofisticata armatura provvista di una placca costituita da sensori e da congegni elettromagnetici che impedisce ad alcune schegge di granata di raggiungere il suo cuore. In tal modo, la protesi resa necessaria per salvare una vita diviene allo stesso tempo uno strumento di potenziamento inusitato e dalla enorme portata, tale da richiedere del pari assestamenti dolorosi e trasformazioni radicali della personalità e dell’assetto identitario del protagonista.
Difficile quindi accettare la connotazione superomistica per tali personaggi, che semmai sono prova simbolica della strutturale e invalicabile fragilità creaturale che accomuna i viventi. L’alternativa secca è tra un salto netto oltre la condizione umana dei comuni mortali e la morte fisica e cerebrale. L’Human Enhancement può essere talvolta una necessità accettata obtorto collo, non un atto di tracotanza o di empietà. Semmai è sintomo di una profonda debolezza ontologica, o di strenuo, forse criticabile, attaccamento alla vita, di cui si è parlato altrove (Henry 2013).
Fra i molti passaggi sicuramente individuabili nel variegato pluriverso immaginifico del presente, uno è particolarmente significativo ed è un nesso del cyborg e dell’androide con il Golem. Si rinvia a uno dei plot più importanti nell’immaginario contemporaneo, a motivo forse delle superiori capacità di pervasività mediatica tipiche del prodotto cinematografico in cui originariamente consiste. Si rinvia alle pellicole Terminator (1984), Terminator 2; The Judgement Day (1991) Terminator 3 (2001) e La rivolta delle macchine: Terminator Salvation (2009); solo le prime due sono stati girati da J. Cameron, mentre le restanti portano la firma di altri registi. Dalla prospettiva di una inedita filosofia-politica del futuro prossimo è importante l’ultimo dei quattro film, come vedremo in conclusione. Nella quadrilogia i Terminator sono androidi perfettamente mimetici (erroneamente chiamati talvolta cyborg) provenienti dal futuro per uccidere (o proteggere) chi sarebbe divenuto nel futuro, o avrebbe procreato nel presente, il capo della resistenza contro l’impero delle macchine, Skynet. Il riferimento più specifico al Golem avviene nel secondo film, per via del modello T-1000, dell’esemplare di Terminator più evoluto rispetto all’umanoide artificiale, denominato T-800, quello che si è fissato nella nostra mente con i tratti dell’allora campione mondiale di culturismo, divenuto icona della fantascienza e poi Governatore della California. T-800 è il predecessore e l’irriducibile rivale del killer artificiale di ultima generazione, T-1000 appunto, nel secondo film della saga. T-1000 non va tuttavia considerato soltanto nelle vesti di personaggio negativo, come appare nel film Terminator 2: the Judgement Day. Piuttosto, esso rappresenta un’evoluzione significativa di tipo categoriale entro la fattispecie degli umanoidi artificiali, così come sono raffigurati in questa quadrilogia di culto e per di più in modo da realizzare una evidente sovrapposizione/intersezione strutturale con le creature analoghe al Golem del Maharal.
Nonostante sia erroneamente chiamato cyborg nella sceneggiatura, a motivo del suo endoscheletro di metallo rivestito di un tessuto umano indistinguibile dal nostro, T-1000 è un essere golemico, in questo caso programmato per compiere il male. La sua materia è intelligente e finalizzata al massimo grado, giacché gli permette di assumere la fisionomia di chiunque gli sia utile a perseguire i suoi specifici scopi – omicidi in questo frangente, e non invece santi e pii (Tagliasco 1999, p. 182). Questa creatura resta comunque un Golem polimimetico, un mutaforma, rispetto a cui, dal punto di vista meramente funzionale, e non certo morale, il Joseph praghese era più arretrato; stando ad una certa accreditata mitografia mitteleuropea, era capace soltanto di trasferirsi da un luogo all’altro con grande velocità, di diventare invisibile, di cambiare aspetto come un trasformista, essendo inoltre dotato di poteri telepatici e genericamente psionici.
In aggiunta a ciò, se per poter legittimamente parlare di cyborg dobbiamo includere la conditio sine qua non per cui il cervello, quale sede dell’ipseità, della memoria, dei ricordi, delle preferenze, in breve dell’identità personale, debba essere di materia biologica umana, allora in questo caso non è un cyborg neppure T-800: è questo la creatura (sicario/difensore) androide di seconda generazione (i primi Terminator, i T-600 sono solo endoscheletri nudi, distruttori meccatronici non celati sotto mentite spoglie) rispetto a quella del mutaforma polimimetico, T-1000. Semmai, come accennato prima, T-800 è un androide di tipo speciale, come lo sono i robot umanoidi creati sulla carta da Isaac Asimov, quegli automi che erano immaginati come se fossero indistinguibili dagli umani. Tale equivalenza può a ragione essere sostenuta nonostante l’autodefinizione reiterata e dettagliata che lo stesso esemplare di questo modello di Terminator fornisce in molteplici occasioni narrative. Per converso, la protagonista del film chiama correttamente il T-800 «macchina», «robot», essendo indefettibilmente programmato a compiere un fine.
Se quanto finora detto fosse accettato universalmente, la classe dei cyborgs si ridurrebbe di molto. Al contrario, la classe delle creature golemiche potrebbe giungere a includere, pur se non senza alcune forzature, quelle stesse entità bio-meccaniche che fossero totalmente dipendenti:
a) dalla propria struttura materiale organizzata;
b) dal programma innestato nei loro circuiti;
c) dagli ordini impartiti da un soggetto umano che fosse oggetto della loro totale dedizione in quanto ragion d’essere della loro progettazione e della loro esistenza.

Per tutte e tre le caratteristiche appena elencate, anche T-800 sarebbe dunque una sottospecie di Golem, la creatura (proto-)umana, e la meno aliena e distante dalla cornice della comune condivisione della sofferenza e dei vincoli materiali fra noi e gli altri umanoidi. Soltanto percorrendo questa via sarebbe possibile anche l’accostamento, pur azzardato, fra tutte le precedenti creature golemiche e le note entità bio-metalliche più volte citate, le strutture animate gigantesche, devote al bene dell’umanità poiché questa è la configurazione inscritta nei loro codici di progettazione. I baiometarubistu dei manga e degli anime giapponesi sono esseri dalle armature d’acciaio metamorfiche e assemblabili in fogge di potenza guerresca sempre crescente e ciberneticamente controllate, in cui un umano, per quanto dominante, è compagno di avventure e sventure, governandoli, per una sua scelta totalmente libera, in modo da condividere le loro stesse sofferenze, accanto alle loro vittorie. Il senso omiletico del mitologema che può giustificare tale inserimento è pertanto lo stesso che sottende la tipologia golemica. È quello secondo cui tutte le creature, a maggior ragione le più potenti, devono essere sodali nella condivisione del dolore, come pure nella condivisione del fine di limitarne l’impatto nefasto sui viventi e su chiunque sia animato, e si muova nell’orizzonte intramondano e infraspecista. Tale apertura dovrebbe per coerenza essere ancora più ampia nei confronti degli ibridi umanoidi, di ciò che in definitiva noi umani siamo o diventiamo ogniqualvolta ci opponiamo alle traversie della sorte con l’innesto nei nostri corpi di dispositivi artificiali riabilitativi o sostitutivi, divenendo cyborgs. Tale mutazione implica di per sé un ampliamento dell’orizzonte dell’inclusione di soggetti moralmente qualificati e si realizzerà pienamente, forse, ed in un futuro non troppo remoto, ogniqualvolta sarà annoverato fra i nostri interlocutori, nella pragmatica della coesistenza e della vita sociale, ogni essere umanoide capace di prevedere e accettare le conseguenze delle proprie scelte di fronte ad altri soggetti coinvolti, per quanto modificato o alterato esso sia rispetto ad un presunto modello umano originario. Chi è ibrido o bionico reca scritto nel corpo il pericoloso e ambiguo onere di essere il bersaglio di pratiche discriminatorie legittimate dal suo non essere pienamente umano. Il germe del razzismo e della xenofobia sta nell’imparare il gusto malsano ma tipicamente umano all’umiliazione di qualcuno che è altro. L’etichetta si può attaccare a chi si vuole, il passo è breve. Ciò che conta è contribuire a costruire, politicamente, fin d’ora, le condizioni contrarie a tali derive, le più ampie possibili, di consapevole contestualità non egemonica o espansiva dei propri sistemi normativi e decisionali, concentrandosi piuttosto sulla circostanza sociale per cui sempre più ci riconosciamo quali soggetti che coabitano già dentro multiformi appartenenze, in corpi e immagini identitarie mutevoli e ibride, in potenziale o latente condizioni di asimmetria morale e politica, che sono pertanto da diagnosticare e da disinnescare in via preventiva. L’immaginario, in tutte e tre le accezioni, può costituire uno scandaglio ed un rilevatore di criticità notevole.
Come preannunciato, nella quarta e ultima pellicola della saga di Terminator, emblematicamente, vengono chiariti più nettamente gli schemi interpretativi e narrativi a favore della prevalenza di un codice non ascrittivo, bensì volontaristico, per definire l’appartenenza di un qualsivoglia essere umanoide, capace di sentire, di patire, di volere, di scegliere, alla dimensione propriamente morale e politica, e pertanto degna di riconoscimento per esseri ragionevoli ed empatici. Il criterio dirimente è chi si decida di essere, da quale parte ci si schieri nel conflitto, quale valore si attribuisca alla vita e alla dignità altrui. Solo dal contenuto e dal tenore dell’opzione discende l’identità del soggetto. Markus Wright, il co-protagonista, è l’unico vero cyborg della saga: un uomo morto in seguito ad una esecuzione, che ha donato il proprio corpo alla scienza per espiare le proprie colpe, prima dell’inizio della guerra fra macchine e umani; egli conserva inconsapevolmente cuore e cervello umani innestati su un endoscheletro metallico di nuova concezione, essendo una struttura ad hoc, sinergica con organi viventi e non solo ricoperta esteriormente di tessuti biologici. Markus è stato richiamato in vita da un progetto scientifico precedente, ma divenuto in seguito sinergico con la rete di Skynet, ed è anche ‘pilotato’ a livelli subconsci da un microchip impiantato nella sua corteccia cerebrale. Tale complotto, e la ‘vera’ configurazione di Markus, si svela solo alla fine. Egli rappresenta il prototipo dell’infiltrato ‘umanoide’ perfetto, perché inconsapevole, che è propriamente descritto come chi è riflessivamente, ovvero a livello conscio e responsabile, convinto di essere un essere umano. Ed è questo ciò che – solo alla fine, con la propria scelta libera, contraria alla programmazione – dimostra di essere per davvero. Markus si toglie il chip impiantato nel proprio cervello per salvare, fino al supremo sacrificio, i suoi amici e compagni, autonomamente eletti. Dice Markus, prima di concedere, morendo, il proprio cuore perché sia trapiantato nel corpo di John Connor, l’eroe capo della resistenza contro l’impero delle macchine, e ferito gravemente: «Tutti hanno diritto a una seconda possibilità; questa è la mia. Cosa ci rende umani? Ciò che non si può programmare, che non è racchiuso in un chip». «Non conta ‘cosa’ sei, ma ‘chi e come’ decidi di essere». Questo potrebbe divenire il principio normativo di una società di umanoidi liberi ed eguali.


Riferimenti bibliografici

Aa. Vv. (2011), Almanacco del Mistero, Bonelli, Milano.
Henry B. (2013), Dal Golem ai cyborgs. Trasmigrazioni nell’immaginario, Belforte, Livorno.
Koops B.-J. (2013), Concerning ‘Humans’ and ‘Human’Rights. Human Enhancement from the Perspective of Fundamental Rights, in B.-J. Koops et al. (eds.), Engineering the Human. Human Enhancement Between Fiction and Fascination, Springer, Berlin-Heidelberg, pp. 165-182.
Tagliasco V. (1999), Dizionario delle creature fantastiche e artificiali, Mondadori, Milano.
Takanishi A. (2008), Humanoid Robots as Tools for Scientific Study of the Human Behavior (articolo/paper/draft non pubblicato).



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