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La politica italiana tra ricatti e gossip

Gianni Cipriani

Tutti conoscono la famosa frase del generale Carl von Clausewitz, secondo la quale la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi. Non tutti conoscono, però, un’altra frase sempre dello stesso generale, secondo la quale la guerra è un atto di forza che ha lo scopo di costringere l’avversario a sottomettersi alla nostra volontà. Voglio partire da questa seconda citazione per sottolineare che c’è una sostanziale unitarietà tra il passato e il presente per quanto riguarda il conflitto per il potere e, in particolare, tra ciò che accadeva nei decenni passati e quello che oggi viene definito l’imbarbarimento della lotta politica. E questo elemento di unitarietà tra quello che è stato in passato e quello che avviene nel presente può essere rappresentato con una trasposizione della frase di Clausewitz, ossia che come la guerra è stata ed è uno strumento per sottomettere gli altri alla nostra volontà, egualmente il ricatto è una forma di guerra psicologica o di guerra immateriale per sottoporre il nemico o l’avversario alla nostra volontà. E quindi la lotta politica fatta attraverso il ricorso a organizzazioni più o meno occulte o a gruppi di potere ha non raramente come minimo comun denominatore il ricatto. Ripeto: il ricatto.
Il ricatto è sempre stato parte integrante dello scontro di potere. Ieri come oggi. Il tema di cui molto si discute ultimamente, come detto, riguarda l’imbarbarimento della lotta politica in Italia, soprattutto alla luce di numerosi ed eclatanti casi recenti di cronaca, nei quali il ricatto e il disvelamento di retroscena privati hanno determinato le fortune di qualcuno e le disgrazie di qualcun altro. Da ciò si potrebbe dedurre che negli ultimi tempi ci sia stata una qualche degenerazione. In realtà così non è: la guerra in tutte le sue forme e quindi nella sua forma anche più subdola del ricatto è stata parte integrante della lotta politica e di potere da sempre. Per rimanere alla sola Italia repubblicana, possiamo ricordare alcune pagine che sono state assolutamente significative: nel nostro paese abbiamo avuto un servizio segreto, il Sifar. Quando nella seconda metà degli anni Sessanta scoppiò uno dei tanti scandali (poi prontamente sfociati nel nulla come accadeva all’epoca), emerse che il servizio segreto aveva schedato centinaia di migliaia di italiani e persino di sacerdoti, cosa davvero grave, soprattutto in quell’Italia che era ancora profondamente democristiana e bacchettona. Tant’è che una delle commissioni parlamentari di inchiesta accertò l’esistenza di 157 mila fascicoli, molti dei quali illeciti, di cui venne ordinata la distruzione. Ovviamente, come risulta in molte ricostruzioni, quell’archivio illegale dei servizi segreti italiani venne effettivamente incenerito; peccato che copia di quei fascicoli poi sia finita nelle mani di personaggi che successivamente fecero, anche grazie a questo, fortuna e determinarono parte delle sorti del paese attraverso il sistema tristemente famoso della Loggia P2.
Cosa voglio dire? Che anche negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta le debolezze private erano uno strumento di ricatto, di lotta politica e di potere. Che migliaia e migliaia di cittadini sono stati vivisezionati e della loro esistenza si conosceva ogni dettaglio.
Si parla ultimamente molto della Stasi, il servizio segreto della ex Repubblica della Germania Democratica. Ma gli storici e in particolare gli storici dei servizi sanno perfettamente che il sistema Stasi era altrettanto efficace in Italia. Per cui non bisogna meravigliarci di ciò che accadeva negli altri Paesi perché era ciò che accadeva puntualmente da noi. Il problema allora qual era? Il problema nella Prima repubblica era che da una parte c’era un massa sterminata di informazioni raccolte da apparati più o meno fuori controllo che determinavano un posizionamento di potere: c’era chi sapeva e quindi chi sapeva poteva dettare le linee. È emerso in più casi che il servizio segreto spiava e condizionava la stessa classe politica dirigente dell’epoca e quindi non solo l’opposizione, diventando sempre di più un apparato che certamente rispondeva nelle linee strategiche ad un diktat politico nazionale e atlantico, ma che era diventato un potere a sé stante, largamente fuori controllo, che era in grado di influenzare il potere politico perché ne conosceva sia le debolezze private che il sistema affaristico e di corruzione ed era perciò in grado di condizionarne anche le scelte.
Noi abbiamo avuto il Sifar, poi diventato Sid, ma non si può dimenticare anche l’altro enorme apparato spionistico, che in parte è diventato noto quando si sono conosciute le carte del’ex Ufficio Affari Riservati del Viminale.
Per meglio spiegare il sistema-ricatto, ossia il potere esercitato attraverso la conoscenza dei retroscena, è utile fare due esempi, primo dei quali il tentativo di colpo di Stato organizzato dal principe Junio Valerio Borghese nel dicembre del 1970. Su quell’episodio ci fu una prima inchiesta giudiziaria che si concluse con un nulla o poco di fatto. Per molti anni si parlò di golpe burletta: un manipolo di nostalgici senza alcuna possibilità di vittoria che si erano messi in testa di conquistare il potere. Solamente molti anni dopo si è compreso che quello fu un tentativo serio e che effettivamente nel 1970 la nostra democrazia corse un pericolo. Ma cosa era successo a margine della prima indagine giudiziaria degli anni Settanta? Gli apparati investigativi, non tutti ma la parte più qualificata, conoscevano la verità sulle implicazioni del golpe Borghese; avevano raccolto il materiale, ma si erano ben guardati dal consegnarlo, se non in minima parte, all’autorità giudiziaria. E quindi l’enorme conoscenza di tutte le trame, le persone che avevano collaborato, le connivenze del golpe sono diventate materia di ricatto. Si erano trasformate in potere. Nei documenti nascosti per anni, una volta scovati, sono saltati fuori nomi di generali, di politici e quant’altro mai sospettati. È evidente che quelle persone “salvate” dall’inchiesta dovevano pagare un prezzo e chi era a conoscenza di quei retroscena aveva gioco facile nell’esercitare pressioni o nel richiedere e ricevere prebende.
Egualmente, per quanto riguarda il filone dell’eversione di sinistra, c’è il caso eclatante del giornalista Mino Pecorelli, poi ucciso da un commando neo-fascista/mafioso con mandanti assai in alto, perché diventato una scheggia fuori controllo. Tra le altre cose, nella sua rivista “Op”, nei giorni immediatamente successivi al ritrovamento del memoriale di Aldo Moro, Pecorelli aveva scritto tutta una serie di articoli facendo grandi allusioni sul fatto che il memoriale ritrovato a Via Monte Nevoso fosse parziale e sul fatto che qualcuno aveva fatto sparire carte compromettenti. I fatti successivi hanno dimostrato che la ricostruzione di Pecorelli aveva un fondamento. Tra l’altro sullo stesso caso Moro e i suoi misteri non sono mancati appunti e “avvertimenti” fatti dallo stesso capo della loggia P2, Licio Gelli. Chi conosceva quelle verità? Che uso ne è stato fatto? La conoscenza di tutti i retroscena, è la mia sensazione, ha rappresentato e forse rappresenta ancora una rendita di potere.
Non dobbiamo poi dimenticare che in quegli anni si era costruita, consolidata e ramificata una istituzione come la Loggia massonica P2 che aveva i suoi tentacoli in ogni campo dello Stato e che aveva fatto proprio della conoscenza e quindi del potenziale ricatto una delle forme per esercitare il suo dominio e il suo controllo. Quindi si custodivano segreti e grazie ai segreti poi si moltiplicavano gli affari, le trame e si dava nuova linfa alle consorterie.
Anche questa è stata una forma di costruzione di un sistema di potere. Partendo da queste premesse, è difficile appassionarsi o non rimanere scettici di fronte alla descrizione di un passato “civile” con una classe politica italiana di grandi statisti e persone per bene, rispetto ad un presente assolutamente barbaro e incivile con una classe politica assolutamente improvvisata. È del tutto evidente che ci sono state in passato figure politiche come De Gasperi, Togliatti, Berlinguer, Moro, che possiamo definire assolutamente giganti rispetto a molti “nani” attuali, ma è altrettanto vero che la prima Repubblica (quella che ha portato in Italia la democrazia; ci ha regalato una delle costituzioni più avanzate e ha garantito la vita democratica in un paese ricostruito sulle macerie del fascismo) è però la stessa che ha convissuto con le stragi, i depistaggi, con il ricatto, con lo spionaggio e con un sistema mafioso in grado di condizionare interi settori della classe politica, come poi è emerso negli anni successivi con grande evidenza.
Quindi possiamo rimpiangere il “bon ton”, ma sicuramente per il resto c’è poco da rimpiangere. A meno di non rimpiangere il sistema che ha prodotto piazza Fontana o ha garantito il patto politico con la mafia.
Illustrato il passato, veniamo all’attualità. Ci sono elementi di continuità – il ricatto come sistema, anzitutto – ma anche due fondamentali differenze. La prima a mio giudizio (e chiedo scusa se ancora a distanza di molti anni continuo a credere nell’esistenza di forme di doppio Stato e di doppia lealtà, cosa che ormai viene definita una bestemmia dalla storiografia allineata alle sorti progressive della cosiddetta seconda repubblica) riguarda il fatto che i documenti analizzati con un occhio attento dimostrano come nel nostro paese ci sia stato un sistema, che dalla P2 ai depistaggi sulle stragi, all’uso politico dello spionaggio per fini interni, ai rapporti con la mafia ha avuto in qualche modo un elemento di unitarietà. Una testa insomma. O, mutuando una terminologia mafiosa, una Cupola.
Oggi, a 20 anni dalla caduta del muro di Berlino (senza dimenticare che l’atlantismo e la lotta al comunismo rappresentarono le linee guida e di riferimento del sistema di potere, occulto o non, della prima Repubblica) non si può più parlare di un sistema unico o di una cupola. Quindi non mi convincono molto le discussioni sulla P2 che ancora governa, perché mi sembra come una semplificazione banalizzante di una realtà che è ben diversa. A mio giudizio in questi ultimi anni ha prevalso il piduismo (non la loggia P2 storicamente data) come sistema di valori e di riferimenti sociali, ma siamo di fronte a più consorterie. Per fare un esempio assolutamente improprio ma descrittivamente efficace, possiamo dire che si è passati dalla mafia di Cosa nostra, che ha, appunto, la Cupola che decide, ad un sistema di tipo camorristico dove non c’è una unitarietà di comando o di intenti tra i diversi clan, anche se poi tutti sono dediti ai traffici di droga, al contrabbando, al pizzo e agli appalti. Questa è la differenza: in passato un sistema unico; oggi un insieme di consorterie talvolta in concorrenza tra di loro che possono prevalere e soccombere. Ma la lotta in quell’ambito è aperta. L’altro elemento che determina una grossa differenza rispetto al passato è dovuto ad un diverso utilizzo dei mezzi di informazione. Come detto, anche nei decenni precedenti non mancavano i ricatti, come quelli legati agli aspetti inconfessabili dei rapporti economici e affaristici con le mafie o alle trame eversive, fino ai ricatti sessuali. Personalmente – ovviamente non posso dare riferimenti più precisi per motivi legati alla non divulgabilità di notizie contenute in documenti coperti da segreto di Stato – nella mia passata esperienza di consulente della Commissione Mitrokhin ho potuto consultare, tra le altre cose, un fascicolo su un personaggio abbastanza noto nel quale si parlava diffusamente delle sue perversioni e di quelle dei suoi familiari. Con una perfetta sintonia metodologica con quanto è emerso solamente nei mesi scorsi: il buco della serratura come postazione privilegiata. Tuttavia quegli elementi – con l’esclusione di qualche avvertimento fatto arrivare attraverso giornaletti scandalistici di dubbia reputazione (e quindi non in grado di influenzare più di tanto l’opinione pubblica) – avevano la loro forza perché non diventavano pubblici.
Oggi la tendenza è cambiata. Proprio perché da Cosa nostra si è passati alla camorra e quindi ad una maggiore spregiudicatezza, l’insieme è più pericoloso. La logica dello screditamento e la tendenza ad aggredire la reputazione altrui è un mezzo ordinario di fare politica o informazione. Ma non c’è un disegno strategico. Si spara un po’ nel mucchio, senza una attenta valutazione delle conseguenze, che potrebbero anche essere negative. Tuttavia il cosiddetto “gossip” – che io considero da un bel po’ di tempo il vero oppio dei popoli – è purtroppo parte integrante della nostra cultura e non poteva non diventare un’arma di ricatto che va ben oltre le corna o gli amori del “vip”. Oggi una carriera politica può essere messa in discussione da una prostituta, da una sniffata di cocaina, da un rapporto di tipo omosessuale o cose di questo genere. Proprio perché nel post-moralismo attuale si è tornati ad una logica assolutamente di tipo moralistico da anni Cinquanta. Anzi, assistiamo a forme di moralismo addirittura più invasive rispetto al passato.
Quello che le recenti cronache hanno definito il “metodo Corona”, per quanto riguarda i presunti ricatti ai Vip, è parte integrante delle pressioni che si esercitano anche nei confronti dell’attuale classe dirigente. Con la differenza che mentre una volta le riprese clandestine di qualche moglie famosa senza veli e in ambito extraconiugale rimanevano poi nelle segrete stanze, oggi queste riprese diventano oggetto di dibattito politico, di scambio e mercimonio fatto perfino alla luce del sole.
Per ricapitolare e cercare di dare una lettura più compiuta a quel che finora ho scritto, individuo il “ricatto” come forma occulta e ininterrotta di lotta politica e di potere. Ma nel passato c’era una unitarietà d’azione dei gruppi dominanti che oggi non c’è; differente è anche l’utilizzo mediatico: il dietro le quinte da conoscere ma da non divulgare se non eccezionalmente, rispetto allo screditamento attuale diventato metodo. Per questo affermo – e lo ripeto per l’ennesima volta – che l’imbarbarimento è solo apparente.
Insisto molto, come si è ben compreso, su questa mia affermazione. Ma per meglio spiegarmi vorrei fare un esempio e dire che l’idea dell’imbarbarimento mi ricorda un po’ il dibattito attuale sulla sicurezza: la micro-criminalità suscita l’allarme sociale, la voglia di ronde e ondate xenofobe e razziste; al contrario gruppi finanziari e speculatori che hanno mandato sul lastrico centinaia di migliaia di risparmiatori e lavoratori non hanno mai perso del tutto la loro rispettabilità. Nessuna ronda contro di loro. Egualmente, la gogna è stata riservata a sniffatori, omosessuali, molestatori, frequentatori di prostitute e persone amanti della perversione. Ma non ho visto, in passato (e anche nel presente) altrettanta determinazione nei confronti degli amici dei mafiosi; dei grandi faccendieri, dei tessitori di trame e dei loro sodali e dei finanziatori e mandanti dei sistemi di spionaggio privati, restati bellamente in giacca e cravatta a dissertare sulle sorti del mondo di fronte a platee consenzienti, mentre i loro manovali finivano nei cicloni delle inchieste, mediaticamente additati come coloro che attentavano alla vita democratica. Minore la colpa, massima la pena. Hai sniffato cocaina? Via. Sei stato colluso con la mafia? Ti mandiamo in parlamento
Se accettiamo poi il principio che la debolezza privata è più rilevante del malaffare, allora non siamo differenti da coloro che danno fuoco alle roulottes degli zingari, mentre non vedono o non vogliono vedere gli affaristi e speculatori che si stanno arricchendo sulla loro vita.
L’imbarbarimento, a mio giudizio, è un po’ come gli zingari: è qualcosa che ci appare evidente e che ci spaventa. Mentre cose ben peggiori ci intimoriscono di meno, anche perché si percepiscono con maggiore difficoltà. Oggi non è peggio di ieri; ieri non era meglio di oggi.
In conclusione, al di là di molti stucchevoli dibattiti sulla prima e la seconda repubblica o sul mondo prima o dopo la caduta del muro di Berlino, io direi che una reale fase di rinnovamento non potrebbe che passare attraverso il superamento del sistema-ricatto che per molti anni ha condizionato la vita politica italiana e non solo italiana. Ci sarebbe bisogno di una rivoluzione culturale. Anzitutto distinguere il bisogno di verità e di trasparenza che deve essere condiviso e non appannaggio di pochi (abbiamo il diritto di conoscere i nomi e le gesta di chi trama in combutta con i sistemi affaristici e criminali), dalla gestione “privatistica” e a fini ricattatori della conoscenza. Bisognerebbe mettersi tutti d’accordo nel definire il ricatto qualcosa di abominevole. Mentre spesso, troppo spesso, in questo paese le vittime sono diventate colpevoli. Tanto peggio per chi è stato screditato, indipendentemente se ciò sia avvenuto con modalità riprovevoli. L’uomo “perbene” scoperto con una relazione omosessuale viene rovinato, mentre spesso chi ha illecitamente raccolto queste informazioni continua ad essere considerato benevolmente o al massimo qualcuno che sa fare informazione.
Il sistema-ricatto andrebbe bandito dalla nostra vita democratica. Utopia? Credo proprio di sì. Perché la lotta per il potere, sia esso politico che economico, si gioca solo in parte alla luce del sole. Ma più spesso nell’oscurità. E tante cose che accadono o sono accadute nel buio non avranno mai né un volto, né un nome, né un’immagine.

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