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I Consigli della magistratura in Europa

Mauro Volpi

1. Premessa

I Consigli della magistratura sono organi chiamati a garantire l’indipendenza e l’autonomia della magistratura nei confronti degli altri poteri dello Stato, esercitando una serie di competenze relative ai magistrati che vengono sottratte al potere esecutivo. I Consigli come organi realmente indipendenti si sono affermati dopo la seconda guerra mondiale e hanno avuto una notevolissima espansione in seguito. Un Consiglio superiore della magistratura è stato previsto nella Costituzione francese del 1946 e poi in quella del 1958 e nella Costituzione italiana del 1948. A metà degli anni Settanta con la crisi delle dittature nei paesi dell’Europa sud-occidentale sono nati organismi analoghi in Grecia (Cost. del 1975), Portogallo (Cost. del 1976), Spagna (Cost. del 1978). Ma l’espansione è diventata inarrestabile dagli anni Novanta. Ciò è derivato in primo luogo dal superamento dei regimi comunisti nei paesi dell’Europa centro-orientale, i quali hanno istituito i Consigli come strumento di garanzia dell’attuazione del principio della separazione dei poteri e dell’effettiva indipendenza del potere giudiziario[1]. Ma organi di tipo consiliare sono stati creati anche in vari Stati dell’Europa continentale nel quadro di ordinamenti nei quali la magistratura, concepita come un corpo burocratico dello Stato, ha faticato non poco a conquistare l’indipendenza dal potere politico. Infine anche in ordinamenti di tipo anglosassone sono stati istituiti negli ultimi quindici anni organi diversi dai Consigli, ma comunque rappresentativi della magistratura, incaricati di garantirne l’indipendenza, come il Consiglio dei giudici di Inghilterra e Galles creato nel 1988, o commissioni incaricate di intervenire sulle nomine dei giudici, che hanno contribuito a ridimensionare i poteri delle autorità politiche.
Attualmente Consigli della magistratura, denominati spesso Consigli di giustizia, esistono in circa i due terzi dei 47 paesi membri del Consiglio d’Europa, organismo che ha notevolmente contribuito alla creazione e al rafforzamento dei Consigli, adottando nel 1998 la Carta europea sullo statuto dei giudici, che prevedeva la istituzione di «una istanza indipendente dal potere esecutivo e dal potere legislativo», composta almeno per metà da giudici eletti dai loro pari e titolare di competenze relative alla carriera dei giudici. Nel 2004 a Roma è stata costituita la Rete europea dei Consigli di giustizia, della quale fanno parte le istituzioni nazionali degli Stati membri dell’Unione Europea, indipendenti o autonome dal potere esecutivo e da quello legislativo, che contribuiscono al «funzionamento del potere giudiziario nella sua missione di amministrazione indipendente della giustizia». La Rete, che comprende attualmente 18 istituzioni nazionali di 17 Stati membri[2] e un numero di poco inferiore di “osservatori” (tra i paesi privi di organismi nazionali indipendenti o candidati all’ingresso nella UE), ha acquisito nel 2007 la personalità giuridica, dotandosi di un segretariato permanente che ha sede a Bruxelles, ed è stata riconosciuta dall’Unione Europea.

2. La distinzione tra “modello nord-europeo” e “modello sud-europeo” di Consiglio

In uno dei pochi studi comparatistici relativi al tema un autore olandese ha operato una distinzione tra un “modello nord-europeo” ed uno “sud-europeo” di Consigli di giustizia[3]. I primi, esistenti nei Paesi Bassi (dove vi è un Consiglio dal 2002) e in altri paesi nordici (Danimarca, Norvegia, Svezia), sono titolari di attribuzioni soprattutto in materia di amministrazione della giustizia e di gestione delle risorse finanziarie. I secondi, tipici dei paesi latini, ai quali viene assimilata l’esperienza del Belgio (dove il Consiglio è stato istituito nel 1998), esercitano invece le competenze relative alla carriera dei magistrati.
La classificazione proposta è interessante, ma non del tutto convincente per due ragioni. Innanzitutto essa pone sullo stesso piano dei Consigli organismi che non hanno natura consiliare, ma amministrativa, come i Court Administration o Court Service istituiti in alcuni ordinamenti non solo dell’Europa del Nord (Danimarca, Norvegia, Svezia), ma anche anglosassoni (Irlanda, Malta, Scozia) e in Estonia. Certamente le Commissioni amministrative contribuiscono a garantire l’indipendenza della magistratura sotto il profilo economico-finanziario. Tuttavia esse presentano caratteristiche generali comuni che le distinguono dai Consigli della magistratura. Si tratta in primo luogo di organismi di tipo amministrativo che sono autonomi rispetto al Governo, ma devono necessariamente collaborare con il Ministro della giustizia. In secondo luogo competenze fondamentali delle Commissioni amministrative sono la cura dell’amministrazione della giustizia, quindi l’attribuzione alle Corti sia delle risorse umane sia di quelle materiali, ivi compresa la manutenzione dei palazzi di giustizia, e la determinazione del budget attribuito alla giustizia tramite una negoziazione con il Ministro della giustizia nonché la sua gestione.
Ma vi è una seconda ragione che rende discutibile la distinzione proposta: la grande maggioranza dei Consigli nati dopo gli anni Novanta, in particolare nei paesi ex comunisti, si sono ispirati dal punto di vista sia della composizione sia delle competenze al modello latino, basato sull’auto-amministrazione della magistratura, tanto che si è parlato di recente di un modello “latino e slavo”[4]. Si tratta allora di vedere se dal confronto delle diverse esperienze possa enuclearsi un vero e proprio modello europeo di Consiglio, fondato sull’individuazione, al di là delle innegabili diversità, di comuni linee di tendenza.

3. L’incidenza della unicità o della separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri

In via preliminare va sottolineata una differenza che incide sull’ambito della competenza dei Consigli a seconda che siano previsti un unico corpo o carriere separate tra giudici e pubblici ministeri. La seconda ipotesi è nettamente prevalente nei paesi europei, ma l’ordinamento italiano, caratterizzato dall’appartenenza alla magistratura di giudici e pubblici ministeri, non resta un caso isolato, in quanto la stessa soluzione si verifica, anche se con diverse modalità di attuazione, in Belgio, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Francia, Romania e Turchia. In dipendenza di tale differenziazione i Consigli della magistratura possono essere distinti in tre gruppi.
In un primo gruppo più numeroso rientrano i Consigli titolari di competenze relative ai soli giudici. Tuttavia va segnalata la nascita progressiva di Consigli anche per i pubblici ministeri. Tale organo, originariamente previsto solo in Portogallo dall’art. 120 Cost., è stato istituito in Spagna nel 1983 e di recente anche in vari paesi ex comunisti caratterizzati dalla nomina politica del Procuratore generale e dalla struttura piramidale e gerarchica della magistratura requirente. Quindi anche in sistemi che prevedono la separazione delle carriere si è avvertita l’esigenza di tutelare l’indipendenza dei pubblici ministeri mediante una istituzione analoga a quella prevista per i giudici.
Del secondo gruppo fanno parte ordinamenti nei quali vi è un unico Consiglio competente sia per i giudici sia per i pubblici ministeri (Belgio, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Italia e Turchia).
In un terzo rientrano due paesi (Francia e Romania) nei quali vi è un unico Consiglio composto da giudici e da pubblici ministeri, che si articola in due distinte sezioni titolari di competenze specifiche per gli uni e per gli altri. In Francia l’originaria formulazione dell’art. 65 Cost., che attribuiva al Consiglio competenze relative ai soli giudici, è stata modificata nel 1993, mediante l’articolazione del Consiglio in due sezioni competenti, ma con poteri diversi, rispettivamente per la magistratura giudicante e per quella requirente. La revisione costituzionale del luglio 2008 ha istituzionalizzato anche la riunione plenaria del Consiglio, che da una decina d’anni si era affermata solo in via di prassi, anche se con competenze più limitate rispetto alle due sezioni. Invece in Romania le due sezioni competenti per giudici e pubblici ministeri, previste dall’art. 133 Cost. a imitazione del modello francese, si differenziano da quest’ultimo in quanto sono titolari di attribuzioni identiche e comunque ridotte rispetto a quelle del plenum.

4. Fondamento e natura giuridica dei Consigli

La quasi totalità dei Consigli trova il proprio fondamento direttamente nel testo della Costituzione[5]. Ciò comporta che l’istituzione del Consiglio, così come la sua eventuale soppressione, sia sottratta alla discrezionalità della maggioranza parlamentare. Quasi sempre le previsioni costituzionali contengono le norme essenziali relative sia alla composizione sia alle competenze del Consiglio. In ogni caso l’istituzione del Consiglio ha richiesto l’adozione di leggi, organiche o ordinarie, che hanno dato attuazione alle disposizioni costituzionali con riferimento sia alle modalità di elezione dei componenti sia alla specificazione delle competenze ed anche alla loro estensione, con particolare riferimento a quelle di natura normativa e consultiva.
Circa la natura giuridica del Consiglio, vi è ampio accordo sul fatto che si tratta di un organo indipendente rispetto sia al potere esecutivo sia a quello legislativo, ma anche sulla sua non appartenenza al potere giudiziario, in quanto esso non emette sentenze (se non nella materia disciplinare nei casi in cui gli è attribuita tale competenza) né può ingerirsi nell’esercizio della funzione giurisdizionale. Per gran parte delle sue competenze, relative alla carriera dei giudici, il Consiglio esercita un’attività materialmente amministrativa. Tuttavia ciò non significa che esso sia qualificabile come un organo amministrativo tout court. Infatti in vari ordinamenti il Consiglio è definito in sede normativa o è considerato dalla dottrina come un organo costituzionale (in Andorra, Belgio, Montenegro, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Ungheria). Negli altri esso assume una sicura rilevanza costituzionale. Così in Italia la maggioranza della dottrina è orientata a considerare il Consiglio un «organo di rilievo costituzionale» in quanto garante dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura, ma non posto allo stesso livello degli organi di natura politica.

5. Composizione dei Consigli e designazione dei consiglieri

La composizione dei Consigli della magistratura è strettamente correlata alle competenze e al grado di indipendenza ad essi riconosciuti. La tendenza nettamente prevalente è quella della natura mista dei Consigli, che vengono ad essere costituiti da magistrati e da non magistrati o “laici”, come vengono definiti in Italia. Vi è comunque di regola una prevalenza dei membri togati, che rappresentano la maggioranza assoluta o qualificata dei componenti. La presenza consistente di magistrati è importante al fine di garantire all’organo di svolgere la sua funzione precipua di tutela dell’indipendenza della magistratura. Nello stesso tempo la partecipazione di membri laici si propone di evitare che il Consiglio si riduca ad istanza di tutela corporativa della magistratura e di garantire che la magistratura non costituisca un corpo separato, ma renda conto del proprio operato alla società.
In un numero ridotto di ordinamenti vi è una sostanziale parità tra componente togata e componente laica (Belgio, Portogallo, Montenegro e Slovacchia). In Francia la revisione costituzionale del luglio 2008 ha ribaltato la situazione precedente, che vedeva la leggera prevalenza numerica dei togati, stabilendo che i magistrati ordinari siano 7 su 15 membri in ognuna delle due sezioni, mentre quando queste esercitano la competenza disciplinare sono integrate da un altro magistrato in modo da garantire la parità numerica tra togati e laici.
Nella maggioranza dei casi i magistrati membri dei Consigli sono eletti nell’ambito della magistratura o da tutti i magistrati o da collegi differenziati nei quali il corpo elettorale si distingue di solito a seconda dei gradi in cui si articola la rappresentanza dei giudici o da organismi rappresentativi della magistratura. Tale modalità di elezione sancisce la natura democratico-rappresentativa dell’organo, che non è intaccata dalla presenza ridotta di membri togati di diritto (frequentemente il Presidente della Corte suprema, più raramente il Procuratore generale).
Pochi sono gli ordinamenti nei quali i magistrati sono designati da autorità politiche, per lo più dal Parlamento (come in Croazia, Serbia e Spagna). L’unico ordinamento nel quale, in controtendenza rispetto all’orientamento prevalente, si è passati dall’elezione della componente togata da parte dei magistrati alla elezione da parte delle Camere parlamentari è quello della Spagna. L’art 122 c. 3 della Costituzione prevede che i dodici membri togati siano scelti tra tutti i giudici «nei termini stabiliti dalla legge organica». La legge organica n. 1/1980, approvata dalla maggioranza di centro-destra, stabiliva che i togati fosse eletti da tutti i giudici. La successiva legge organica sul potere giudiziario n. 6/1985, fortemente voluta dalla maggioranza socialista, ha attribuito al Congresso dei deputati e al Senato l’elezione, con la maggioranza dei tre quinti dei componenti, di sei togati ciascuno, in base alla ragione di natura politica che, essendo la grande maggioranza dei giudici di orientamento conservatore, l’elezione da parte della magistratura determinava uno squilibrio politico nella composizione del Consiglio[6]. Infine la legge organica n. 2/2001 ha stabilito un procedimento complesso che prevede la presentazione di un numero massimo di candidature triplo rispetto ai dodici togati, presentate dalle associazioni professionali dei giudici o da un numero di giudici pari ad almeno il due per cento di quelli in attività, tra i quali le Camere scelgono sei togati ciascuna. In definitiva il procedimento di designazione dei togati è divenuto misto, ma non ha eliminato il rischio di una eccessiva politicizzazione del Consiglio.
La designazione dei componenti non magistrati avviene invece di regola da parte di autorità politiche ed in particolare da parte del Parlamento. Il rischio che ciò determini o accentui la politicizzazione del Consiglio viene contrastato in vari modi. In alcuni casi viene garantito il pluralismo della rappresentanza laica, prevedendo o che questa sia rappresentativa dei diversi gruppi parlamentari (Moldavia, Montenegro, Portogallo) o che venga eletta con maggioranza qualificata dei due terzi o dei tre quinti, il che impone un accordo tra maggioranza e opposizione (Belgio, Italia, Spagna). Nella grande maggioranza degli ordinamenti i membri laici devono essere professori universitari di diritto o avvocati, di solito con una certa anzianità professionale. In alcuni non sono richiesti specifici requisiti o si parla genericamente di «personalità qualificate» (Francia) o di requisiti di competenza e integrità (Bosnia-Erzegovina). Interessante è la previsione che nel Consiglio del Belgio tra i 22 membri laici, designati dal Senato, ve ne siano 8 rappresentativi di diversi settori della società civile.

6. Membri di diritto e presidenza del Consiglio

In vari ordinamenti, oltre ad alti magistrati, sono membri di diritto del Consiglio anche personalità politiche. Il Presidente della Repubblica è membro di diritto e Presidente dell’organo in Albania e in Italia. L’analoga previsione contenuta nella Costituzione francese è stata cancellata nel 2008, insieme a quella che attribuiva la qualità di membro di diritto e la vice-presidenza al Ministro della giustizia. Rimane tuttavia in vigore l’art. 64 Cost., ai sensi del quale il Presidente della Repubblica «è garante dell’indipendenza dell’autorità giudiziaria» ed «è assistito dal Consiglio superiore della magistratura», disposizione che suscita grande perplessità in un sistema nel quale il Presidente non svolge un ruolo di garanzia come quello italiano, ma è di regola il vero capo del Governo e decide la politica del paese.
Analoga perplessità suscita l’appartenenza di diritto al Consiglio del Ministro della giustizia, che si verifica in un numero non irrilevante di ordinamenti[7]. Si tratta di paesi che provengono dall’esperienza comunista, ad eccezione della Turchia, dove peraltro il Ministro presiede l’organo e ne è vice-presidente il Sottosegretario alla giustizia. Infatti il Ministro rappresenta il Governo e può condizionare l’indipendenza dell’organo consiliare nello svolgimento delle sue funzioni. È quindi ragionevole prevedere che in una fase successiva di consolidamento dell’autonomia del Consiglio e di rafforzamento dell’indipendenza della magistratura la presenza nel Consiglio del Ministro verrà ad essere ridimensionata[8].
Nella grandissima maggioranza dei casi il Presidente del Consiglio è il Presidente della Corte suprema o viene eletto dal Consiglio generalmente tra i suoi membri. In Spagna il Consiglio elegge il Presidente del Tribunale supremo che ne diventa Presidente. La durata della carica è pari a quella del Consiglio, ma in alcuni ordinamenti (Belgio, Islanda, Romania) è di un solo anno.

7. Le competenze consiliari

Le competenze attribuite ai Consigli possono essere raggruppate in quattro aree funzionali: nomine e carriera dei magistrati, formazione e aggiornamento, professionalità e responsabilità disciplinare, potestà consultiva e normativa.
In via preliminare va chiarito che l’importanza del ruolo del Consiglio dipende non solo dalle competenze assegnate, ma anche dal riconoscimento di un’effettiva autonomia finanziaria e di un proprio personale. Ciò si verifica nella grande maggioranza dei casi, nei quali il Consiglio amministra autonomamente delle risorse che costituiscono una voce del bilancio generale dello Stato. Costituiscono un’eccezione i casi in cui il Consiglio usufruisce delle risorse e del personale del Ministero della giustizia o da questo assegnati, il che può condizionarne l’autonomia (Armenia, Croazia, Francia, Lituania, Turchia).
L’attribuzione di competenze relative alla carriera dei magistrati è tra le più qualificanti al fine di consentire al Consiglio di tutelare sia l’indipendenza esterna della magistratura nei confronti degli altri poteri dello Stato sia l’indipendenza interna di ogni singolo magistrato. Di solito le nomine e le decisioni su promozioni, assegnazioni, trasferimenti, collocamento a riposo dei magistrati sono frutto di un procedimento complesso che prevede la delibera del Consiglio e un successivo decreto del Ministro della giustizia o del Capo dello Stato. Nella maggioranza dei casi le delibere consiliari hanno natura vincolante, anche quando sia previsto il previo assenso del Ministro della giustizia o la decisione del Consiglio assuma formalmente la veste di parere o di proposta.
In alcuni ordinamenti la competenza di nomina del Consiglio è variabile a seconda dell’oggetto. Così in Bulgaria e in Croazia il Consiglio decide le nomine dei magistrati, ma non quelle degli alti magistrati e dei Presidenti delle Corti, per le quali può solo avanzare una proposta. Al contrario in Ungheria le nomine dei Presidenti delle Corti sono decise dal Consiglio, mentre per gli altri giudici esso ha un potere di proposta al Presidente della Repubblica. Infine in Francia, nonostante l’appartenenza di giudici e pubblici ministeri all’unico corpo giudiziario, ben diverse sono le competenze del Consiglio in materia di nomine. Infatti la formazione del Consiglio competente per i magistrati della procura si limita a formulare un avis simple, cioè un parere non vincolante, che il Ministro della giustizia può disattendere. Invece la formazione competente per i giudici ha un potere di proposta al Presidente della Repubblica per la nomina alle funzioni direttive di più alto grado, mentre per le nomine di tutti gli altri giudici emette un avis conforme, che ha natura vincolante.
La formazione iniziale e permanente dei magistrati viene di solito affidata ad una Scuola apposita, risultando rari i casi in cui sia svolta direttamente dal Consiglio[9]. Quest’ultima ipotesi si verifica ancora in Belgio e in Italia, ma in entrambi i paesi una legge del 2007 ha previsto l’istituzione di una Scuola della magistratura. In alcuni casi la Scuola, anche se concepita come un ente pubblico, agisce sotto la direzione del Consiglio, il quale ne nomina gli organi direttivi e ne approva i programmi, come si verifica in Bosnia-Erzegovina, Romania, Spagna e Ungheria. Nella maggioranza degli ordinamenti che ne prevedono l’istituzione[10] la Scuola gode di una autonomia effettiva quale istituto privato o ente pubblico, talvolta dotato di personalità giuridica. Tuttavia spesso il Consiglio esercita una qualche influenza tramite la nomina parziale o totale dei componenti dell’organo di gestione oppure esercitando una funzione deliberativa o consultiva sull’ammissione dei partecipanti e sulla definizione dei programmi. Infine in un numero ridotto di casi la Scuola, anche quando viene qualificata come un ente pubblico autonomo, è posta di diritto o di fatto alle dipendenze del Ministro della giustizia (Francia, Grecia e Portogallo).
Numerosi sono i paesi in cui i Consigli compiono verifiche sulla professionalità dei magistrati nel corso della carriera e fissano criteri di organizzazione e di distribuzione del lavoro all’interno degli uffici giudiziari, monitorandone il rendimento. In alcuni paesi il Consiglio contribuisce anche all’adozione di codici deontologici, anche se di solito il ruolo prevalente in materia viene svolto dalle associazioni della magistratura. Invece viene attribuita spesso ai Consigli o ad organi più ristretti interni al Consiglio o da questi designati[11] la competenza disciplinare, che costituisce esercizio di una vera e propria funzione giurisdizionale, mentre sono rari i casi in cui l’autorità competente è esterna al Consiglio.
La grande maggioranza dei Consigli non si limita a svolgere funzioni amministrative e di tipo tecnico, ma interviene anche sull’attività normativa di Governo e Parlamento destinata ad incidere sul funzionamento della giustizia mediante pareri, proposte e relazioni periodiche ed esercita anche un potere di tipo normativo, consistente sia nella disciplina dell’organizzazione e del funzionamento interni sia in una potestà regolamentare esterna di attuazione delle leggi relative alla magistratura. Funzioni di questo tipo raramente sono previste direttamente dalla Costituzione, essendo per lo più oggetto di disciplina legislativa o regolamentare, ma risultano pienamente conformi alla natura non meramente tecnico-amministrativa del Consiglio e al suo ruolo precipuo e costituzionalmente garantito di tutela dell’indipendenza della magistratura, che richiede interventi più “politici” in materia di ordinamento giudiziario e di funzionamento della giustizia.
Infine le decisioni adottate dal Consiglio sono di solito ricorribili. Quelle relative alla carriera dei magistrati possono essere impugnate per lo più di fronte al giudice amministrativo, rappresentato dalla suprema autorità giurisdizionale (Consiglio di Stato, Corte suprema amministrativa o Sezione amministrativa della Corte suprema), risultando del tutto eccezionale il doppio grado di giudizio previsto in Italia. Invece le decisioni in materia disciplinare sono più frequentemente ricorribili di fronte alla suprema magistratura ordinaria.

8. Esiste un modello europeo di Consiglio della magistratura?

In conclusione si può affermare che è in corso una evoluzione verso un modello “europeo” di Consiglio della magistratura, caratterizzato da comuni linee di tendenza. In sintesi queste possono essere rinvenute nel fondamento costituzionale e nella natura non meramente amministrativa dei Consigli, nella loro composizione mista, con prevalenza della componente togata eletta di solito dalla magistratura e con una componente laica designata per lo più dal Parlamento in base a criteri e requisiti che ne attenuano la politicità, nell’affidamento della presidenza dell’organo a personalità non politiche, spesso elette dallo stesso Consiglio, nella predisposizione di uno status dei componenti che ne garantisce l’indipendenza e la professionalità, nella titolarità di varie competenze sulla carriera, sulla formazione e sulla professionalità dei magistrati, sul funzionamento degli uffici giudiziari, in materia disciplinare, ma anche di funzioni di natura consultiva e normativa, nella ricorribilità delle decisioni relative ai singoli magistrati, nella attribuzione al Consiglio di risorse e personale propri.
Naturalmente tra i Consigli esistono differenze significative che li rendono più o meno vicini al modello delineato. Ma è innegabile che vi è un processo in atto di costruzione di un modello di Consiglio che potrà subire battute di arresto o conoscere fasi involutive nei singoli paesi, ma appare difficilmente reversibile, corrispondendo ad una evoluzione della configurazione e del ruolo della magistratura nello Stato democratico-costituzionale, non più semplice “bocca della legge”, ma potere che contribuisce al rinnovamento dell’ordinamento giuridico in attuazione della Costituzione, del diritto europeo e delle convenzioni internazionali.

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[1] Tra gli Stati ex comunisti facenti parte del Consiglio d’Europa hanno istituito un Consiglio della magistratura Albania, Armenia, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Georgia, Lituania, Macedonia, Montenegro, Moldavia, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ucraina, Ungheria.
[2] Si tratta delle istituzioni di Belgio, Bulgaria, Danimarca, Francia, Irlanda, Italia, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Ungheria e, nell’ambito del Regno Unito, di Inghilterra e Galles da un lato e Scozia dall’altro.
[3] Cfr. W. WOERMANS, Councils for the Judiciary in Europe: Trends and Models, in F. FERNÁNDEZ SEGADO (editor), The Spanish Constitution in the European Constitutional Context, Dykinson, Madrid 2003, pp. 2134 ss.
[4] Cfr. F. PALERMO, J. WOELK, L’indipendenza della Magistratura e le sue garanzie, in M. CALAMO SPECCHIA, M. CARLI, G. DI PLINIO, R. TONIATTI (a cura di), I Balcani occidentali. Le Costituzioni della transizione, Giappichelli, Torino 2008, p. 208.
[5] Cfr. le Costituzioni di Albania (art. 147), Andorra (art. 89), Armenia (art. 94), Belgio (art. 151), Bosnia-Erzegovina (c.1. art. 4), Bulgaria (artt. 130-131), Cipro (artt. 153 e 157), Croazia (art. 123), Francia (art. 65), Grecia (art. 91), Italia (artt. 104-105), Lituania (art. 112), Macedonia (artt. 104-105), Moldavia (artt. 122-123), Montenegro (artt. 126-127-128), Polonia (artt. 186-187), Portogallo (artt. 217-218), Romania (artt. 133-134), Serbia (art. 15), Slovacchia (art. 141a), Slovenia (art. 131), Spagna (art. 122), Turchia (art. 159), Ucraina (art. 131), Ungheria (art. 50). Solo in quattro paesi (Georgia, Islanda, Paesi Bassi e Scozia) è stata una legge o un atto amministrativo ad istituire il Consiglio.
[6] La nuova legge ha determinato una serie di ricorsi al Tribunale costituzionale, che li ha tutti respinti, in quanto ha ritenuto che il nuovo sistema di elezione non pregiudicasse l’esistenza di un Consiglio espressione del pluralismo, anche se tale finalità sarebbe stata più efficacemente perseguibile con l’elezione da parte dei giudici. Cfr. diffusamente R.L. BLANCO VALDÉS, I giudici: “bocca della legge” o potere dello Stato. Una riflessione intorno alla posizione costituzionale del potere giudiziario in Spagna, in S. GAMBINO (a cura di), La magistratura nello Stato costituzionale. Teoria ed esperienze a confronto, Giuffrè, Milano 2004, p. 16.
[7] Albania, Georgia, Macedonia, Moldavia, Polonia, Romania, Serbia, Turchia, Ucraina e Ungheria.
[8] Cosa diversa è prevedere la semplice partecipazione del Ministro della giustizia alle riunioni del Consiglio, come in Bulgaria, dove presiede le riunioni senza diritto di voto, in Francia all’interno delle due formazioni, ma non in materia disciplinare, e in Italia su richiesta del Presidente o quando lo ritenga opportuno, ma senza essere presente alla deliberazione.
[9] V. G. OBERTO, La formazione dei magistrati alla luce dei principi internazionali e dei profili di diritto comparato, Cedam, Padova 2008.
[10] In Albania, Bulgaria, Georgia, Lituania, Macedonia, Moldavia, Montenegro, Paesi Bassi, Slovacchia, Turchia.
[11] L’autorità competente è il Consiglio in Albania, Andorra, Bosnia-Erzegovina, Cipro, Croazia, Macedonia, Montenegro, Portogallo, Turchia, una sezione o commissione disciplinare del Consiglio in Bulgaria, Italia, Moldavia, Slovacchia, Spagna, Ucraina, le due distinte sezioni in Romania e in Francia, dove quella competente per i pubblici ministeri si limita a dare un parere al Ministro che ha il potere decisionale.
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