cosmopolis rivista di filosofia e politica
Cosmopolis menu cosmopolis rivista di filosofia e teoria politica

Il pacchetto sicurezza: un'occasione sprecata.
Un primo approccio sistematico*

Vito D'Ambrosio

Questa legislatura è cominciata nel mese di aprile, il governo è in carica dall’8 maggio di quest’anno e ha subito licenziato un primo decreto legge in materia di sicurezza, il d.l. n. 92, del 23 maggio (approvato il 21), convertito, con modifiche, nella L. n. 125 del 24 luglio. Nella stessa seduta del 21 maggio il Governo ha licenziato un altro testo, sempre in materia di sicurezza, sotto forma di disegno di legge, in questi giorni di novembre all’esame dell’aula del Senato (A.S.733), al quale è stato presentato in data 3 giugno 2008.
Non si può negare, quindi, che il governo e la maggioranza che lo sostiene hanno tenuto fede ai loro impegni programmatici, nei quali il tema della sicurezza era ai primissimi posti. Va però subito osservato che quest’impegno tenace ha comportato finora risultati deludenti, quando non preoccupanti, e questo giudizio deriva da un esame oggettivo e puntuale, che si basa principalmente sul testo della legge già approvata, ma tiene conto anche della normativa all’esame del Senato.
Preliminarmente va osservato che dalle norme succedutesi con indubbia e anomala celerità esce un panorama di misure non tutte negative, anzi qualcuna decisamente condivisibile, però raffazzonate, caotiche, contraddittorie, e, soprattutto, di dubbia efficacia. Quanto poi alla rispondenza ai principi della Costituzione, il bilancio è ancora più negativo.
Comunque alcune caratteristiche di fondo sono facilmente individuabili e vanno raccolte, secondo me, in tre grandi categorie. Le idee ispiratrici dell’intervento in materia di sicurezza rispondono infatti a criteri:
  1. 1. di irrigidimento sanzionatorio, sia sul piano delle sanzioni che su quello dei procedimenti;
  2. 2. di diversa attribuzione di competenze istituzionali in materia di sicurezza;
  3. 3. di ampliamento notevole dell’intervento repressivo in materia di immigrazione irregolare.
 
 
A. Il testo già approvato
 
1. Dei delitti, delle pene e delle misure di prevenzione
 
1.1 L’aggravamento delle pene nell’ambito del codice penale. I primi due articoli della legge contengono modifiche al codice penale, il primo, e al processo penale, il secondo. La linea ispiratrice è quella di un aumento draconiano delle pene e di un utilizzo “finalizzato” dello strumento processuale, alla luce di una generale tendenza al trattamento sfavorevole del non cittadino. Si prenda, come esempio paradigmatico, l’inizio del testo normativo, che, all’articolo 1, comma 1, lettera a) sostituisce l’art. 235 del codice penale, riguardante l’espulsione dello straniero. Il nuovo testo prevede che l’espulsione sia possibile anche per il cittadino comunitario e la prevede nel caso di condanna dell’espellendo – straniero extracomunitario o cittadino comunitario – alla reclusione per un periodo superiore a due anni, mentre in precedenza il limite era fissato in dieci anni di reclusione. Il trasgressore all’ordine del giudice, che prima subiva la sanzione prevista dal testo unico di pubblica sicurezza, adesso è passibile di condanna alla reclusione da 1 a 4 anni (senza aumenti, quindi, rispetto all’ultima disciplina). Però, in sede di conversione del decreto, è stato aggiunto l’arresto obbligatorio dell’autore del fatto, anche se non sorpreso in flagranza, e l’obbligo di procedere a giudizio direttissimo. Stesso tipo di sanzioni e di procedimento sono stabiliti dall’art. 312 – come sostituito dalla lettera b) dello stesso articolo 1, comma 1 della legge in esame – nel caso di condanna per i delitti contro la personalità dello Stato previsti negli articoli da 241 a 309 del codice penale.
Dopo aver proceduto ad un aumento delle pene, già notevoli, per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, e ad una estensione anche alle associazioni straniere, nelle lettere successive c’è un’impennata delle sanzioni per i reati che potremmo definire di “falsificazione identitaria” (art. 495 e seguenti) per i quali la pena viene raddoppiata (art. 495: da uno a sei anni, invece che fino a tre anni, per il reato semplice, mentre per le forme più gravi il minimo della pena viene elevato da uno a due anni), o quintuplicata (art. 496: da uno a cinque anni, invece che reclusione fino ad un anno o soltanto la multa) e le previsioni di reato aumentate (viene aggiunto un articolo 495 ter).
Viene infine rivista, sempre con forti aumenti, l’entità delle sanzioni per i reati di omicidio o lesioni colposi, commessi con violazione delle norme di circolazione stradale da soggetti in stato di ebbrezza alcoolica o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope (per l’omicidio si passa da una pena compresa tra due e cinque anni ad una tra tre e dieci anni, e per le lesioni la proporzione degli aumenti è simile).
Terminata la revisione “in crescendo” delle pene, con uguale finalità si è intervenuto sul complesso sistema delle circostanze dei reati, cioè su quegli elementi di fatto, oggettivi o soggettivi, che possono “accompagnare” un reato e che, se esistenti, influiscono sulla pena, in aumento o in diminuzione. Il sistema originario del codice aveva subito, nel 1944, una prima modifica con l’introduzione delle circostanze attenuanti generiche, previste dall’art. 62 bis del codice penale, il quale, per meglio adeguare la pena alla persona del reo, concedeva alla discrezionalità del giudice di diminuire la pena in presenza di circostanze diverse da quelle generali previste dall’art. 62; già con la c.d. legge Cirielli – L. 5.12.2005, n. 251 – si era aggiunto un secondo comma all’articolo, che poneva limiti alla discrezionalità del giudice. Su questa strada si è spinto molto avanti il legislatore del 2008, che ha agito a tutto campo: a)ha introdotto un’aggravante speciale nuova aggiungendo all’elenco generale dell’art. 61 del codice penale un n. 11 bis per cui la pena è aumentata se il reato è commesso da un soggetto che si trova illegalmente sul territorio nazionale; b) ha aggiunto un’aggravante speciale al delitto di omicidio, per cui è punito con l’ergastolo chi uccide un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza «nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni e del servizio»; c) ha vietato la concessione delle attenuanti generiche soltanto per l’assenza di precedenti condanne; d) nel giudizio di comparazione tra circostanze attenuanti e aggravanti, ha vietato, nel caso di omicidio o lesioni colpose commessi sotto l’effetto di alcool o droga, di ritenere le circostanze attenuanti equivalenti o prevalenti sulle aggravanti, così che prima si applica l’aumento di pena, e poi si calcola la diminuzione per le attenuanti (in regime normale, invece, se si ritengono le circostanze generiche equivalenti alle aggravanti, non si applicano né aumenti, né diminuzioni, mentre si procede solo alla diminuzione della pena se le attenuanti sono considerate prevalenti sulle aggravanti).
Rinviando al seguito una riflessione più approfondita sull’aggravante del n. 11 bis, si può comunque già notare che il legislatore, dopo il generale aggravamento del trattamento sanzionatorio, si preoccupa ulteriormente di non lasciare spazio a valutazioni giudiziarie in contrasto con i suoi obiettivi. Il legislatore, cioè, non si fida dell’interprete, e cerca di limitarne la discrezionalità. La cosa in sé non sarebbe sconvolgente, anche perché non è una novità, ma è grave come sintomo della prassi molto disinvolta di un legislatore, che non tollera ostacoli e tende ad aggirarli, anche quando si tratta di principi di derivazione costituzionale. Tutta la vicenda è ancora più preoccupante perché il legislatore effettivo è il governo (si tratta di decreto-legge), e quindi il procedimento segnala una accentuata torsione delle procedure in materia di rapporti tra poteri o istituzioni.
Tutta da dimostrare, poi, l’efficacia deterrente dell’aumento delle pene, che rischiano sempre di finire come le grida manzoniane.
 
1.2. Le violazioni al codice della strada. Analoghi interventi di aggravamento sanzionatorio vengono previsti dall’art. 4 della legge per le violazioni al codice dalla strada commesse in stato di ebbrezza o sotto l’influenza di stupefacenti, o per chi, nella stesse condizioni, provoca un incidente. Vengono altresì previste obbligatoriamente la revoca della patente e la confisca del veicolo, salvo che appartenga a persona estranea al reato.
L’esclusione della confisca quando il veicolo appartiene a persona estranea al reato rischia di attenuare l’efficacia della misura, che invece rimarrebbe se la mancata confisca fosse collegata ad una condotta concretamente contrastante con quella del reo, a cominciare dall’utilizzo del veicolo.
 
1.3. Le misure di prevenzione. L’art. 10 della legge contiene le modifiche alla legge n. 575 del 1965 “Disposizioni contro la mafia”. Allo scopo, apprezzabile, di arricchire e affinare la strumentazione per le misure di prevenzione personali e patrimoniali contro la mafia, il legislatore del 2008 ha dettato un insieme di previsioni, introdotte in sede di conversione del decreto legge, senza illustrazione e discussione, che sono frutto di una tecnica legislativa approssimativa, lacunosa e a volte contraddittoria; va segnalata, in particolare, la confusa distribuzione di competenze tra Procuratore Distrettuale e Procuratore “normale”, l’allargamento anche al direttore della DIA (Direzione Investigativa Antimafia) di poteri e competenze in materia, nonché la pasticciata soluzione sulla scelta del p.m. destinato a sostenere le tesi dell’accusa davanti al tribunale competente.
 
 
2. La via processuale
 
2.1. Interventi sul processo. La riforma in ambito processuale risponde ad un criterio generale di tendenziale accentramento, che ispira i rapporti tra potere esecutivo-legislativo (con il trattino ad indicare il vincolo strettissimo tra i due poteri, in una situazione nella quale la posizione di primazia non è certo quella del Parlamento) e potere (o ordine, secondo la Costituzione, all’articolo 104) giudiziario. Questa linea, inaugurata per accettabili ragioni organizzative con l’istituzione della Procura Nazionale e delle Procure Distrettuali Antimafia (con riflessi anche in ordine agli uffici giudicanti), è stata scelta come parte di una strategia complessiva che, in materia di sicurezza, punta ad un accentramento delle indagini e ad una velocizzazione dei processi, obiettivi apprezzabili, ma perseguiti con pericolose scorciatoie. Così, accanto ad un ampliamento delle competenze delle Procure distrettuali antimafia, con conseguente spostamento di competenza territoriale in favore degli organi giudicanti, è previsto un aumento dei reati con arresto facoltativo in flagranza, ed una trasformazione del giudizio direttissimo che non è di poco peso. Infatti, oltre ad un aumento dei casi di giudizio direttissimo, e dei termini entro i quali il giudizio deve seguire all’arresto (aumentato da 15 a 30 giorni) si è proceduto ad una drastica riduzione della discrezionalità del pubblico ministero, che mentre prima “poteva” procedere a giudizio direttissimo, adesso “deve”, ed analoga linea si è seguita per il giudizio immediato.
Una ulteriore manifestazione dell’intento rigoristico è presente nella modifica dell’istituto della sospensione dell’esecuzione della pena, che non può più essere disposta, oltre che per i reati indicati precedentemente, anche per quelli di incendio boschivo, furto pluriaggravato, furto in abitazione o con strappo, nonché per tutti i delitti commessi da soggetto illegalmente immigrato, al quale sia, quindi, applicabile l’aggravante introdotta al n. 11 bis dell’art. 61 del codice penale.
Le previsioni normative illustrate hanno il grave difetto di ricadere su un sistema processuale profondamente insoddisfacente per i suoi tempi di funzionamento.
 
2.2. Intervento sull’udienza. Gli articoli 2 bis e 2 ter della legge, introdotti in sede di conversione, operano un intervento assai incisivo sulla predisposizione della scala di priorità nella trattazione dei processi, terreno in genere poco frequentato dal legislatore. Le nuove norme prevedono un meccanismo complesso, per il quale ad alcuni processi viene assicurata la priorità assoluta, e, di conseguenza, si introducono meccanismi processuali che rendano effettiva tale priorità.
 
2.2.1 Processi prioritari. Sul primo punto, accanto ad indicazioni prevedibili (oltre ai processi per delitti già valutati gravi dal codice nonché di criminalità organizzata, reati con imputati detenuti, in atto o in precedenza, quelli puniti con la reclusione non inferiore a quattro anni, quelli per i quali si procede con giudizio direttissimo o immediato) vengono aggiunte altre ipotesi indice di una determinata visione di politica criminale (delitti commessi con violazione delle norme antiinfortunistiche, o del codice della strada, o della normativa sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero, reati il cui autore sia già stato dichiarato recidivo).
 
2.2.2 Sospensione degli altri processi. Quanto agli strumenti per rendere effettiva la scelta di una celebrazione prioritaria dei processi “ritenuti” più gravi dal legislatore, è stata introdotta la previsione di una possibile sospensione degli altri processi pendenti. Lo strumento scelto è molto discutibile: innanzitutto si può utilizzare per i processi relativi a reati commessi fino al 2 maggio 2006, per i quali ricorrono le condizioni per l’applicazione dell’indulto, e la cui pena possa essere contenuta nei limiti previsti dall’indulto (tre anni di reclusione e € 10.000 di multa); la individuazione dei criteri di rinvio deve tener conto anche di altri elementi, quali la gravità e l’offensività del reato, il pregiudizio che il ritardo può arrecare in materia di prove, l’interesse della persona offesa. Il rinvio non può essere superiore a 18 mesi, con contemporanea sospensione dei termini di prescrizione, non è possibile se l’imputato si oppone o il dibattimento è stato chiuso. La parte civile può agire in sede civile, se non vuole attendere. I provvedimenti di sospensione vanno comunicati al Consiglio Superiore della Magistratura e al Ministro, che riferisce alle Camere le sue valutazioni. Infine, sempre nella stessa ottica, si riaprono i termini per richiedere l’applicazione della pena su richiesta, nei processi la cui pena possa rientrare nei limiti dell’indulto.
Lascia profondamente insoddisfatti la rinuncia ad interventi ben più efficaci, come, ad esempio, una semplificazione drastica del sistema delle notifiche e l’abolizione della prescrizione, o l’ampliamento sensibile dei suoi tempi, dopo il processo di primo grado, segno inequivoco della volontà dello Stato di perseguire quel reato.
 
 
3. Le nuove competenze
 
3.1. Le nuove attribuzioni del sindaco. Dalla rubrica dell’articolo 6 si coglie un chiaro segno dell’intenzione del legislatore, che disciplina le attribuzioni del sindaco nelle funzioni e non più nei servizi di competenza statale, come si leggeva nella versione originaria, così come nella nuova versione viene mutato l’ordine delle funzioni previsto nel comma 1 e, al primo posto, alla lettera a) si cita l’emanazione di atti in materia di ordine e sicurezza pubblica, mentre la tenuta dei registri di stato civile, che stava alla lettera a) nella versione originaria, è stata spostata ad un altro comma, così che il primo comma dell’articolo disciplina solo le funzioni sindacali in materia di ordine e sicurezza pubblica. Il contrasto con la precedente disciplina diventa clamoroso quando al sindaco viene attribuito un potere generale di adozione di atti contingibili ed urgenti per prevenire ed eliminare «gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana», mentre nella versione originaria si specificava «gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini». Si è previsto, in aggiunta, un obbligo di comunicazione (preventiva, si è specificato in sede di conversione) al prefetto «anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione». Una ulteriore indicazione dell’intenzione del legislatore si ricava ripercorrendo la via scelta per superare eventuali ostacoli: infatti, in sede di conversione, si è aggiunto il comma 4 bis, che rinvia ad un futuro decreto del Ministro dell’interno la disciplina dell’ambito di applicazione dei punti principali dell’articolo «…anche con riferimento alla incolumità pubblica e alla sicurezza urbana», e con decreto del successivo 5 agosto, il Ministro dell’interno definisce la sicurezza urbana «un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa…del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità…la convivenza civile e la coesione sociale» (art. 1), esemplificando all’articolo 2 come contrarie alla sicurezza urbana le attività di spaccio di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, accatonaggio con impiego di minori e disabili, oltre ad altre più tradizionali. Da questo complicato mosaico normativo si rileva la voglia di superare il dettato costituzionale, ma il sostanziale fallimento del tentativo di distinguere questa funzione da quella in materia di ordine pubblico e sicurezza, riservata alla competenza esclusiva dello Stato dall’art. 117 della Costituzione.
In sostanza con un contorto insieme di norme, generiche, vaghe e suscettibili di notevoli ampliamenti in via di interpretazione, si è puntato a costruire non tanto uno Stato di polizia, quanto uno Stato ad ordine pubblico e sicurezza variabili territorialmente.
 
3.2 Ruolo delle forze armate e delle polizia locali. L’articolo 7 bis prevede la possibilità di impiegare «per specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, ove risulti opportuno un accresciuto controllo del territorio» un contingente di personale militare appartenente alle Forze armate. Il principio non è nuovo (analoga esperienza in Sicilia all’epoca di una recrudescenza dei delitti di mafia) ma anche di questa previsione si rivela l’intrinseca debolezza, quando si limita il periodo di impiego delle Forze a sei mesi, rinnovabile una sola volta, e, soprattutto, si fissa in 3.000 unità il contingente.
Di fronte, cioè, ad una asserita emergenza non improvvisa e non provvisoria di ordine e sicurezza pubblica, si prevede, per un anno al massimo, l’impiego di un contingente di non più di 3.000 uomini. Se si ricorda che il totale delle forze di polizia (in senso lato, comprendente, cioè, Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza), impiegato o impiegabile a tempo pieno e senza limiti di durata nei compiti d’istituto di tutela dell’ordine e sicurezza pubblici, supera le 200.000 unità, si coglie subito l’insignificanza della previsione, il che rende superfluo anche l’esame degli ulteriori profili di criticità (la qualifica di agenti di pubblica sicurezza e non di polizia giudiziaria, con tutto il seguito di limitazione di poteri). Né si può guardare con più indulgenza alle previsioni di maggiori attribuzioni alle polizie municipale e provinciale «nell’ambito dei piani coordinati di controllo del territorio» (art. 7), o alla attribuzione, ai sindaci, del compito di concorrere ad assicurare la cooperazione della polizia locale con le forze di polizia statali, nell’ambito delle direttive di coordinamento del Ministro dell’Interno (art. 6, comma 2).
In queste ipotesi lo scopo perseguito è apprezzabile, ma assai difficilmente realizzabile, visto che non si è ancora riusciti ad ottenere un coordinamento effettivo tra le forze di polizia statali, unico strumento efficace di contrasto ai fenomeni che attentano alla pubblica sicurezza.
 
 
4. L’impronta xenofoba (e incostituzionale) della normativa
 
4.1 Lo spirito della legge e la normativa specifica. Dagli esempi indicati in precedenza, ai quali altri se ne possono aggiungere, quali il potere del sindaco di segnalare la condizione irregolare dello straniero e del cittadino comunitario, per l’eventuale adozione di provvedimenti di espulsione o di allontanamento (art. 6 comma 5 bis) si ricava già l’impronta fortemente xenofoba dell’intero testo. Ma, per completare l’opera, il legislatore ha provveduto a modificare, sempre in senso peggiorativo, le norme specifiche destinate a regolare l’immigrazione del testo unico di cui al D.L.vo n. 286 del 1998, soggette a continue modifiche. In questa materia, oltre all’aumento delle pene in genere, è introdotta una nuova previsione sanzionatoria, cioè la confisca dell’immobile nel quale si dia alloggio, o che venga ceduto in locazione, a uno straniero «privo di un titolo di soggiorno», salvo, aggiunge la legge, «che appartenga a persona estranea al reato». A parte la discutibilità della previsione, sicuramente sproporzionata rispetto al bene che si vuole tutelare e in probabile contrasto con il diritto ad usufruire di un alloggio per rispetto alla dignità umana, e a parte l’innegabile appesantimento degli oneri gravanti sui proprietari di immobili, va evidenziata l’elevata probabilità di una inefficacia del divieto nei riguardi dei soggetti più pericolosi, quelli che organizzano il mercato dell’immigrazione clandestina, perché la loro esperienza suggerirà il modo di eludere l’obbligo, con il semplice espediente di intestare l’immobile a soggetto (apparentemente) estraneo al reato.
 
4.2 I contrasti con la Costituzione. La legge che stiamo esaminando ha prodotto importanti modifiche, nel sistema e di sistema, operando una operazione di bilanciamento tra interessi contrastanti. Tale operazione rientra nella discrezionalità di ogni legislatore ed abbraccia certamente le scelte in materia di penalizzazione delle condotte e di determinazione del relativo trattamento sanzionatorio. Nell’esercizio concreto di tale potere, però, rimangono fermi i principi costituzionali, come strumenti volti ad impedire un uso costituzionalmente distorto della discrezionalità legislativa, che può, quindi, essere sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale, unico giudice delle leggi previsto dalla Costituzione (e tanto basta a confutare le tesi di chi, dalla firma di un testo normativo da parte del Presidente della Repubblica, vorrebbe trarre conclusioni definitive sulla costituzionalità del testo; il controllo del Presidente, infatti, può essere più o meno penetrante, ma la sua funzione è altra, e la valutazione sulla rispondenza di una legge alla Costituzione è competenza esclusiva della Corte Costituzionale).
Tornando al tema, a me sembra fortemente dubbia la compatibilità costituzionale dell’intera normativa, o almeno di sue parti importanti.
Il carattere spiccatamente xenofobo, la parificazione del cittadino comunitario, che ha libertà di circolazione nell’intero territorio dell’Unione, allo straniero immigrato clandestinamente, l’allargamento delle competenze del sindaco con invasione sostanziale di una competenza esclusiva dello Stato, la previsione di una assai probabile punibilità di condotte anteriori alla legge sanzionatoria (in relazione alla misure di prevenzione per i delitti previsti dall’art. 51 ter c.p.p. così come modificato) sono tratti distintivi della legge in contrasto con puntuali principi costituzionali o, nel caso dei cittadini comunitari, con i principi del diritto comunitario e della Carta di Lisbona, secondo l’interpretazione della Corte di Strasburgo e di quella del Lussemburgo.
 
4.3 Un punto specifico: l’aggravante dell’art. 61, n. 11 bis codice penale.
Mentre quelli esposti nel numero precedente sono dubbi personali, almeno allo stato, su una specifica previsione il dubbio si è tradotto nel sollevamento di una questione incidentale di costituzionalità; nel corso di un giudizio, cioè (nel nostro caso di due giudizi) il giudice ha ritenuto di non poter decidere prima che la Corte costituzionale, da lui investita formalmente della questione, sciogliesse i suoi dubbi sulla rispondenza ai principi costituzionali di una norma specifica – quella dell’articolo 1, lettera f), del decreto legge n. 92/2008, lasciato immutato dalla legge di conversione n. 125/2008 – che ha introdotto una nuova aggravante comune, aggiungendo il numero 11 bis all’articolo 61 del codice penale, e prevedendo, quindi, un aumento di pena se il fatto è stato commesso mentre il colpevole si trovava illegalmente sul territorio nazionale. Il tribunale di Latina prima, il 1 luglio 2008, e quello di Ferrara poi, il 15 luglio, hanno quindi sollevato una questione di costituzionalità della norma indicata, per contrasto con gli articoli 3, 13, 25 e 27 della Costituzione (principio, rispettivamente, di uguaglianza, di libertà personale, di punibilità per una legge entrata in vigore prima della commissione del reato, di funzione rieducativa della pena) secondo il tribunale di Latina e 3, 25 e 27 secondo il Tribunale di Ferrara[1]. Esistono, poi, dubbi anche sulla compatibilità della norma con i principi internazionali in materia, sia della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, sia della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (CEDU), non apparendo giustificato, in questa materia e per le ragioni desumibili dal testo, un trattamento diverso dello straniero “irregolare” rispetto a quello del cittadino e dello straniero “regolare”[2].
 
 
B. Il testo all’esame del Parlamento (disegno di legge)
 
1. Elenco e rinvio. Affrontare la miriade di problemi posti dal disegno di legge in materia di sicurezza, nella versione originale e in quella emendata all’esame dell’aula del Senato (che riprenderà dopo la Finanziaria) comporterebbe una riflessione molto ampia il che peserebbe non poco sull’economia dell’articolo. Rinviando un esame più penetrante ad altra occasione (sperando che il disegno non venga approvato, ma temendo che lo sia) mi limiterò, quindi, ad indicare i punti più discutibili:
a) il rilascio degli atti di stato civile subordinato alla titolarità del permesso di soggiorno (art. 39) non sembra in linea, quanto meno, con il primato della famiglia fondata sul matrimonio previsto dall’art. 29 della Costituzione;
b) il rimpatrio dei minori comunitari che esercitano la prostituzione (art. 47) probabilmente lede la direttiva 2004/38/CE;
c) il rinvio ad un regolamento governativo per il permesso di soggiorno “a punti” (articolo 41) si accorda difficilmente con la riserva di legge dell’articolo 10 della Costituzione in materia di condizione giuridica dello straniero;
d) il trattenimento dello straniero per un periodo massimo di 18 mesi nei centri di identificazione ed espulsione viola la direttiva europea “Migration Policy” che pretende invece essere sua ispiratrice, perché il trattenimento è autorizzato dall’Europa solo per una resistenza all’identificazione, e non per una semplice difficoltà;
e) la schedatura dei soggetti senza fissa dimora (art. 44), che rinvia ad un decreto ministeriale di attuazione, è in aperta violazione della dignità della persona ed anche di tutela della privacy;
f) le cosiddette “ronde cittadine”(art. 46) possono portare ad un arretramento pauroso sul terreno del principio base degli Stati moderni, del monopolio statale dell’uso della forza;
g) la “penalizzazione”, sia pure solo amministrativa, dell’immigrazione irregolare non ha alcuna pratica utilità che giustifichi una scelta così irrazionale e in probabile contrasto con i principi, in materia di libertà di movimento, quanto meno della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, della quale ricorre proprio in questi giorni l’anniversario;
h) il ventilato collegamento tra diritti alla salute e posizione regolare in tema di immigrazione sarebbe una plateale violazione dei diritti minimi della persona, riconosciuti e tutelati da tutta la normativa internazionale (volendo tacere sull’autentico “strappo” che sarebbe rappresentato, se introdotto, dall’obbligo dei medici di denunciare i loro clienti non in regola con le norme sull’immigrazione).
 
 
C. Spunti di conclusione
 
1. Poche luci e molte ombre nel cosiddetto “pacchetto sicurezza”. Le maggiori criticità sono state indicate in corsivo nel testo. Resta il forte rammarico che ad una riforma così vasta ed impegnativa ci si sia avvicinati principalmente sulla base di pulsioni in gran parte irrazionali, e per giunta strumentalizzate, ed anche con una strumentazione tecnica confusa, arretrata e discutibile. Inoltre la caparbia volontà di ignorare le indicazioni costituzionali, di per sé sintomo preoccupante, si è accompagnata, in sinergia accentuatamente negativa, con una assoluta trascuratezza dal punto di vista dell’efficacia delle norme e degli strumenti previsti da queste norme. Una legge che presenta una minoranza di aspetti positivi, e che però non si cura neppure di impegnarsi perché sia efficace e gestibile, è un altro esempio del modo di legiferare nel nostro Paese, e questo è vizio assolutamente bipartisan.
Un’altra occasione perduta, un’altra riforma francamente “sbagliata” nel suo complesso.
Resta, ma non è gran cosa, la speranza nel giudice delle leggi e la prospettiva di un possibile miglioramento in sede di applicazione concreta.


E-mail:



[*]Il testo è apparso anche sul sito dell'associazione ASTRID in data 11 gennaio 2009 e sul n. 84 della Rassegna on line della stessa associazione.
[1] Vedi le due ordinanze riportate nella Gazzetta ufficiale n. 42 dell’8.10 per Ferrara e n. 44 del 22.10 per Latina.
[2] Sul punto, una ampia illustrazione da parte di C. INTERLANDI, Gip del tribunale di Milano, La compatibilità del pacchetto sicurezza in Italia con le norme e la giurisprudenza europea nel sito www.europeanrights.eu “Newsletter n.11, 15 novembre 2008” tra i commenti.
torna su