cosmopolis rivista di filosofia e politica
Cosmopolis menu cosmopolis rivista di filosofia e teoria politica

Responsabilità e giustizia verso le generazioni future

Sergio Filippo Magni

1. Ci sono diversi modi in cui un’azione compiuta nel presente può coinvolgere la vita di individui che esisteranno nel futuro: può interessare le loro condizioni di vita e quindi la qualità della vita che essi vivranno, ma può interessare anche il loro numero e la loro identità, cioè quanti e quali individui effettivamente esisteranno. E ci sono diversi ambiti nei quali tutto ciò può avvenire. Un primo ambito è connesso alle politiche demografiche, volte a aumentare o diminuire i tassi di natalità: la scelta di una politica demografica oggi è in grado di variare il numero e l’identità stessa della popolazione di domani. Un secondo ambito è connesso al risparmio e all’accumulazione dei capitali: risparmiare o fare oggi ingenti investimenti sociali, decrementare o incrementare il livello di retribuzione pensionistica, ricevere o non ricevere prestiti a lunghissimo termine, possono avere grandi conseguenze sulla qualità della vita delle generazioni future. Un terzo ambito è connesso all’ambiente e alle azioni che hanno un impatto su di esso: dal consumo delle risorse non rinnovabili alla deforestazione, dall’inquinamento del suolo, dell’acqua e dell’aria alla produzione di sostanze nocive che possono avere un’influenza diretta sull’uomo, come le sostanze radioattive, le scorie e gli armamenti nucleari; o un influenza indiretta, come la produzione delle sostanze che hanno condotto al restringimento della fascia atmosferica di ozono o al riscaldamento globale, al centro della discussione di questo numero della rivista.
Quale valutazione morale deve essere data di azioni di questo tipo? Sono esse moralmente lecite o illecite? Si hanno in generale obblighi morali verso individui non ancora esistenti? Si possono impostare considerazioni di giustizia distributiva fra membri di generazioni differenti, anche molto distanti nel tempo? A seguito dei sempre maggiori rischi legati allo sviluppo tecnologico e alle capacità di intervento sulla realtà sociale e naturale, l’insieme di questi problemi si è negli ultimi anni imposto all’attenzione della filosofia morale. Anzi, la riflessione morale che ha esplicitamente tematizzato la questione della responsabilità verso le generazioni future ha assunto i connotati di una vera e propria disciplina, tanto che l’«etica delle generazioni future» può essere considerata una forma di etica applicata, al pari della bioetica, dell’etica animale, dell’etica della natura o dell’etica degli affari. «Se misuriamo il significato morale di un’azione dal numero di persone che essa coinvolge e dall’impatto che ha su di loro – ha scritto recentemente Tim Mulgan in un lavoro dedicato al problema della giustizia intergenerazionale –, allora i nostri obblighi verso le generazioni future meritano di essere l’argomento centrale della filosofia morale» [1].
Occorre, tuttavia, fare subito alcune precisazioni. Quando si discute di responsabilità morale si usa il concetto di responsabilità in un senso valutativo, cioè non esclusivamente descrittivo [2]. In questo impiego il concetto di responsabilità è strettamente connesso alla presenza di obblighi e principi normativi; si ha, cioè, un’assunzione di responsabilità nella misura in cui si presuppongono determinati obblighi. Gli obblighi (o doveri) di carattere morale devono essere distinti dagli obblighi (o doveri) di carattere giuridico: qualora si riconoscano obblighi morali verso le generazioni future si parla di una responsabilità morale verso di esse, qualora si riconoscano obblighi di carattere giuridico, si parla di una responsabilità giuridica. In generale, il riconoscimento di obblighi morali verso le generazioni future può essere considerato propedeutico al riconoscimento anche di obblighi giuridici.
Quando si parla di responsabilità (morale o giuridica), in questo caso, si intende poi una responsabilità indirizzata al futuro, piuttosto che al passato: si adopera cioè il concetto di responsabilità soprattutto nella sua accezione prospettiva, in relazione ad eventi, azioni o scelte non ancora compiute (si ritiene qualcuno responsabile delle conseguenze future delle proprie azioni, sugli altri a lui contemporanei o sulle generazioni che verranno, appunto), anziché retrospettiva, in relazione ad azioni o scelte compiute nel passato, come nelle comuni attribuzioni di responsabilità penale quando si punisce qualcuno per un reato commesso [3].


2. In un saggio di una decina di anni fa, Giuliano Pontara individua sei argomenti a sostegno della tesi che rifiuta l’estensione della responsabilità morale alle generazioni future, la cosiddetta «tesi della non-responsabilità» [4]. I primi due argomenti hanno forti implicazioni di carattere metafisico: essi fanno riferimento alla provvidenza divina e alla razionalità della storia e sostengono che non ci sarebbe bisogno di farsi carico di una responsabilità verso le generazioni future perché la storia, grazie all’intervento divino e ad una sua intrinseca razionalità, andrebbe comunque verso il meglio. Il terzo argomento fa perno sull’ignoranza nel presente di quali preferenze e quali concezioni del bene avranno le generazioni future; esso sostiene che non si hanno obblighi verso individui futuri perché non si sa cosa preferiranno. Il quarto argomento sottolinea l’assenza di motivazione ad agire in relazione a individui non ancora esistenti in quanto non si proverebbe alcuna empatia verso di essi: se non si hanno legami di compassione verso determinati enti non si è nemmeno motivati ad agire moralmente verso di loro. Il quinto argomento fa perno sulla necessaria relazionalità degli obblighi morali; si può avere un obbligo morale solo verso enti con cui abbiamo contratto degli impegni o con cui siamo legati da relazioni rilevanti (la parentela, l’appartenenza ad una certa comunità, ecc.), relazioni che non sarebbero presenti nel caso degli individui futuri. Infine, il sesto argomento sostiene che solo il presente ha rilevanza etica, mentre il futuro ne è privo.
Quest’ultimo è probabilmente l’argomento più impegnativo per chi ritiene esserci una responsabilità intergenerazionale: solo se il futuro è messo sullo stesso piano del presente, o è quantomeno preso in considerazione, è possibile un’estensione degli obblighi morali alle generazioni future. La considerazione della rilevanza morale del futuro può tuttavia essere più o meno radicale: si può sostenere la sua piena rilevanza morale, e quindi la completa irrilevanza del fattore temporale, oppure una sua rilevanza graduale, tanto maggiore quanto più esso si avvicina al presente (applicando al futuro qualcosa di simile ad un tasso di sconto della responsabilità [5]). La responsabilità verso le generazioni future può essere, cioè, più o meno decrescente.


3. Secondo Pontara ci sono tre teorie normative in grado di rifiutare questi argomenti e sostenere la «tesi della responsabilità» verso le generazioni future: il contrattualismo (nella differenti versioni di Gauthier e di Rawls), la teoria liberale dei diritti e l’utilitarismo [6]; Mulgan amplia questo quadro aggiungendo alcune forme di conseguenzialismo [7]; altri ancora aggiungono il comunitarismo [8].
Tanto le teorie dei diritti, quanto il contrattualismo e il comunitarismo possono essere considerate teorie di carattere deontologico: per le teorie deontologiche il criterio in base al quale viene giudicata la giustezza di un’azione è il rispetto di determinati principi di carattere generale (siano essi fondati per via contrattualistica o comunitaria o intesi come diritti fondamentali riconosciuti agli individui); per le teorie deontologiche, cioè, un’azione è giusta qualora rispetti certi principi morali fondamentali, indipendentemente dalle conseguenze.
Le altre sono teorie di carattere conseguenzialistico. Secondo il conseguenzialismo un’azione è giusta solo in ragione delle sue conseguenze: giusta cioè se produce conseguenze buone, sbagliata se produce conseguenze cattive (ed è implicita una teoria del valore che stabilisce quali conseguenze sono ritenute buone e quali cattive). L’utilitarismo è la principale forma di conseguenzialismo: per l’utilitarismo è giusta l’azione che produce la massima quantità possibile di benessere, concependo il benessere, a seconda delle varie versioni di utilitarismo, come piacere, o felicità, o come la soddisfazione delle preferenze e dei desideri individuali [9].


4. Nel dibattito sulla questione della giustizia intergenerazionale, si possono individuare alcuni problemi caratteristici che coinvolgono tutte le principali teorie. Una prima questione è connessa all’intrinseca difficoltà di conoscere quali saranno esattamente gli effetti futuri delle nostre azioni. Le conoscenze al riguardo possono essere solo approssimative e tutt’al più probabili. Ogni teoria che intende farsi carico del problema della responsabilità intergenerazionale deve confrontarsi col problema dell’inesatta previsione degli eventi futuri.
Un’ulteriore questione è connessa al fatto che gli interessi degli individui futuri non sono facilmente componibili con gli interessi degli individui presenti (risparmiare oggi per il futuro significa ridurre il livello di qualità della vita degli individui esistenti per consentire quella degli individui futuri): se si riconosce l’obbligo morale di tutelare gli interessi di individui futuri, ciò può condurre a situazioni di conflitto con l’obbligo morale di tutelare gli interessi degli individui presenti. Ci si trova, cioè, quasi sempre in una situazione di conflitto di interessi e ciò richiede dei modelli di interazione strategica non elementari, al fine di stabilire quale azione porterà alla migliore soddisfazione degli uni e degli altri.
Un’ulteriore questione ancora è connessa alla definizione di chi sono gli individui futuri, se solo gli individui possibili che di fatto esisteranno, o tutti gli individui possibili, anche quelli che non esisteranno ma che sarebbero potuti esistere se fossero state fatte scelte alternative, gli «individui meramente possibili» [10]. Si ha responsabilità solo verso individui futuri possibili o anche verso individui futuri meramente possibili? Si ha cioè una «responsabilità parziale» o una «responsabilità piena» [11] verso le generazioni future?
Questo problema è connesso a quello che Mulgan chiama il «principio di coinvolgimento personale» (Person-Affecting Principle). Questo principio sostiene che «un’azione può essere sbagliata solo se esiste una particolare persona che sta peggio dopo quell’azione di quanto sarebbe stata se al suo posto fosse stata compiuta qualche altra azione» [12]. Perché un’azione possa essere ingiusta occorre cioè che essa peggiori le condizioni di qualcuno: se non esiste nessuno che subisce un tale peggioramento l’azione è moralmente indifferente.
Questo principio è rilevante in relazione al tema delle generazioni future perché la scelta di un’azione oggi può avere non solo buone o cattive conseguenze sulle persone che esisteranno, ma anche, come si è detto, conseguenze su quali e quante persone esisteranno. La scelta nel presente di un’azione anziché un’altra può comportare, cioè, l’esistenza futura di persone differenti: il caso più semplice è quello della scelta fra una politica demografica volta alla pianificazione delle nascite e una volta all’incoraggiamento della procreazione, ma può essere il caso anche di scelte di politica industriale, energetica e di impiego delle risorse in grado di incidere sull’identità degli individui futuri, influendo ad esempio sulle condizioni climatiche e atmosferiche, come è il caso del riscaldamento globale. Le persone che ci saranno in futuro se viene compiuta l’azione a non sono identiche alle persone che ci saranno se viene compiuta l’azione b: è il cosiddetto «problema della Non-Identità» [13]. Se si ha a che fare con azioni che modificano quali e quante persone esisteranno, è chiaro, secondo il «principio di coinvolgimento personale», che un’azione che porta all’esistenza di persone che vivranno una vita con una qualità non molto alta non potrà essere considerata peggiore di un’altra che conduce ad una qualità della vita più alta, ma di persone diverse da quelle che sarebbero esistite nel caso fosse stata compiuta la prima azione. Per persone che altrimenti non sarebbero esistite non può esserci, cioè, alcun peggioramento di condizioni.
Il dibattito sulle generazioni future ha mostrato che un tale principio causa notevoli problemi: se si adotta questo principio si rischia di non avere strumenti concettuali per giudicare la giustezza di azioni che riguardano persone diverse da quelle che di fatto esisteranno, anche se ci si trova di fronte ad azioni che conducono a grandi rischi e a grandi differenze in termini di qualità della vita. Qualora gli individui messi al mondo fossero completamente diversi, infatti, finirebbero per essere considerate sullo stesso piano tanto una politica demografica che conduce al controllo delle nascite quanto una politica demografica che conduce ad un aumento indiscriminato della popolazione e ad un consumo molto rapido delle risorse, e quindi ad una qualità della vita molto bassa. Addirittura un’azione che condurrebbe all’estinzione futura dell’umanità potrebbe essere giudicata lecita se in base ad essa venissero estinti individui completamente diversi rispetto a quelli dell’azione alternativa.


5. Oltre a queste difficoltà comuni a tutte le proposte che affrontano la questione della responsabilità intergenerazionale, ogni teoria presenta problemi specifici e caratteristici.
Seguendo Parfit si possono richiamare alcuni problemi dell’utilitarismo. Un primo problema è il cosiddetto «problema della simmetria». Esso riguarda tutte le forme di utilitarismo impersonale, le forme di utilitarismo cioè che non accettano il principio di coinvolgimento personale e che prendono in considerazione il benessere di tutti, anche di individui che sarebbero stati messi al mondo se fossero state fatte scelte alternative, cioè di individui futuri meramente possibili. Se si valuta l’azione in base al benessere prodotto si deve sostenere che come è ingiusta l’azione di mettere al mondo un individuo che avrà una vita priva di benessere, così è ingiusta l’azione di non mettere al mondo un individuo che avrà una vita ricca di benessere. Fra queste due azioni vi sarebbe dunque una simmetria di valutazione morale. Se si ravvisa un obbligo morale di non procreare persone prive di benessere, ogniqualvolta ci siano le condizioni per farlo ci sarebbe anche un obbligo morale di procreare persone con una vita ricca di benessere. Questa simmetria crea notevoli problemi, perché, se è un obbligo quello di mettere al mondo individui con una vita ricca di benessere si potrebbe correre il rischio di un aumento indiscriminato della popolazione.
La simmetria sarebbe evitata se si accettasse il principio di coinvolgimento personale, dato che in questo caso non mettere al mondo un individuo con una vita ricca di benessere non potrebbe essere considerato un’azione ingiusta, poiché ciò non coinvolge nessuna persona che esisterà e non viene quindi peggiorata la sorte di nessuno. Si aprirebbero però, come si è detto, altri problemi: non potrebbe ad esempio essere considerato ingiusto che tutti smettessero di procreare così da far cessare il genere umano, sebbene gli individui che sarebbero altrimenti esistiti avrebbero potuto vivere una vita di grande benessere [14].
Un altro problema è quello «della conclusione ripugnante». Esso tocca solo le forme di utilitarismo impersonale del totale. L’utilitarismo del totale viene distinto da quello della media: in base al primo la valutazione dell’azione, dipende dal livello totale di bene realizzato, in base al secondo dipende dal livello medio (cioè dal livello totale diviso per il numero degli individui coinvolti). I due livelli coincidono quando il numero degli individui è costante, ma divergono quando il numero non è costante, come è appunto il caso di scelte in grado di modificare il numero della popolazione che esisterà in futuro. Se si adotta l’utilitarismo del totale, si incorre nel problema che un’azione che aumenta il livello totale di qualità della vita grazie al semplice aumento numerico degli individui coinvolti andrebbe preferita alle alternative che conducono ad un livello totale più basso ma ad un livello medio più alto. Una conclusione che Parfit ha considerato moralmente ripugnante: ciò significherebbe, scrive, che «per ogni possibile popolazione di almeno dieci miliardi di persone, tutte quante con una qualità della vita molto alta, deve esistere una immaginaria popolazione molto più numerosa, la cui esistenza a parità di altre condizioni, sarebbe migliore, anche se i suoi membri vivono esistenze che sono a malapena degne di essere vissute» [15].
La strada sembrerebbe quella di optare per l’utilitarismo della media, ma anche questa teoria non è esente da problemi: in base ad esso, ad esempio, diverrebbe lecito eliminare tutte quelle persone il cui livello di benessere posseduto è al di sotto della media. Sarebbe quindi lecito uccidere persone innocenti al solo scopo di aumentare il livello medio, una conclusione che nessuno può essere disposto ad accettare.
Queste difficoltà dell’utilitarismo hanno spinto a cercare soluzioni alla questione della responsabilità intergenerazionale da un punto di vista deontologico: ammettendo l’esistenza di diritti delle generazioni future o assumendo dei principi di giustizia intergenerazionale, fondati per via contrattualistica o comunitaria. Ma anche in questo caso i problemi non mancano: le teorie dei diritti sembrano in grado di rendere conto solo dei diritti delle persone che effettivamente esisteranno in futuro. Diritti e obblighi risultano strettamente legati al principio di coinvolgimento personale, apparendo implausibile sostenere che esistano diritti di esseri umani meramente possibili: come è stato detto, «esseri potenziali, in quanto tali, non sono il genere di entità nei confronti dei quali è possibile avere degli obblighi morali» [16].
Le teorie contrattualistiche si trovano di fronte alla difficoltà di considerare parti contraenti del contratto generazioni non ancora esistenti; col problema ulteriore che pare impossibile ottenere, come esito del contratto, una soluzione di mutuo vantaggio fra le parti, dato lo squilibrio nella dotazione iniziale di potere: tutto il potere alle generazioni attuali, nessuno alla generazioni future. Le teorie comunitarie devono, dal canto loro, rendere plausibile l’idea di una comunità di valori e principi di carattere trans-generazionale, in grado di fondare obblighi morali anche verso individui futuri; una comunità che appare un mero postulato teorico, poiché non è basata sull’interazione effettiva degli individui in un determinato tempo e luogo, come le comunità morali effettivamente esistenti.
Altri autori continuano a muoversi all’interno di un impianto conseguenzialistico, allargandolo ad istanze tipiche del deontologismo [17]; una strada più flessibile e probabilmente più efficace, sebbene meno semplice e lineare. Nonostante tutti questi sforzi, in fin dei conti, la discussione intorno alla responsabilità intergenerazionale sembra destinata a condividere l’esito del più generale dibattito normativo: non è stata ancora trovata una teoria in grado di risolvere tutti i problemi che le possano essere sollevati.

E-mail:


[1] T. MULGAN, Future People. A Moderate Consequentialist Account of Our Obligations to Future Generations, Oxford University Press, Oxford 2006, p. 1.
[2] Il senso descrittivo ricorre ad esempio quando diciamo che un fulmine è responsabile di un incendio: “responsabile” è in questo senso sinonimo di “essere causa di”.
[3] Per un’analisi della nozione di responsabilità mi permetto di rinviare a S. F. MAGNI, Teorie della libertà. La discussione contemporanea, Carocci, Roma 2005, pp. 90 ss.
[4] Cfr. G. PONTARA, Etica e generazioni future, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. 26 ss.
[5] Cfr. ivi, pp. 49 ss.
[6] Cfr. ivi.
[7] Cfr. T. MULGAN, Future people, cit.
[8] Cfr. A. DE-SHALIT, Future Generation, Obligations to, in E. CRAIG (ed.), Routledge Encyclopedia of Philosophy, vol. 3, Routledge, London – New York 1998, pp. 820 s. Per un panorama delle proposte avanzate, cfr. R. I. SIKORA - B. BARRY (eds.), Obligations to Future Generations, Temple University Press, Philadelphia 1978.
[9] Per un resoconto delle principali teorie presenti nella discussione etica contemporanea, cfr. L. FONNESU, Storia dell’etica contemporanea. Da Kant alla filosofia analitica, Carocci, Roma 2006.
[10] Si veda G. PONTARA, Etica e generazioni future, cit, pp. 85 s.
[11] Ivi, pp. 55 s.
[12] T. MULGAN, Future People, cit., p 9.
[13] Cfr. D. PARFIT, Reasons and Persons, tr. it. Ragioni e persone, Il Saggiatore, Milano 1989, pp. 447 ss.
[14] Si veda G. PONTARA, Etica e generazioni future, cit. pp. 133 ss.
[15] D. PARFIT, Diventare persone, cit., p. 493.
[16] M. WARREN, Do Potential People Have Moral Rights, in R. I. SIKORA - B. BARRY (eds.), Obligations to Future Generations, cit., p. 19.
[17] Così ad esempio il «conseguenzialismo moderato» di Mulgan, cfr. Future People, cit.
torna su