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Verità, apparenza, persuasione. I paradossi della verità nella distopia del Novecento

ANNAMARIA LOCHE
Articolo pubblicato nella sezione Tra le righe

Il paradosso è un elemento ampiamente caratterizzante il testo distopico e il modo in cui nelle distopie si modula il rapporto tra verità, apparenza e persuasione esprime molto chiaramente questa peculiarità: la società distopica, che annulla la possibilità di qualsiasi certezza, impone un’unica Verità, una verità non vera e mutevole, che tuttavia si spaccia come assoluta, indiscutibile, stabile. La falsità e l’apparenza si sostituiscono alla Verità, grazie al ricorso a un processo di persuasione, che, occultando e mascherando ogni conoscenza, convince gli abitanti della società distopica a comportarsi in modo consono alla volontà del Potere. La persuasione si qualifica dunque come un ottimo strumento di dominio perché è più facile piegare alla volontà del Potere chi non si senta forzato, ma creda di agire secondo convinzioni personali.
Tuttavia questo schema di massima è stato declinato in termini molto differenti nelle distopie contemporanee, dove la persuasione si ottiene attraverso vie diverse: dalla mistificazione dei documenti e della storia (tanto per citare un esempio “classico”, 1984) alla realtà virtuale indecifrabile di Matrix; dalla lobomotizzazione in My al ruolo della TV o di altri strumenti tecnici o tecnologici in Fahreneit 451. In questo intervento intendo occuparmi di due specifici strumenti di persuasione: la parola vuota di significato e la droga. I miei testi di riferimento saranno una distopia molto nota, Brave New World (1932) di Aldous Huxley, e una forse meno nota, ma estremamente significativa di un grande autore di distopie, The Three Stigmata of Palmer Eldrich (1965) di Philip Dick.


1. Brave New World: discorso senza ragionamento

Il mondo ovattato e consumistico di Brave New World, espressione che non a caso richiama i sogni e l’ironia de The Tempest di Shakespeare, si basa, oltre che sulla tecnica di procreazione in provetta, su due sistemi complementari di controllo sociale, entrambi legati alla persuasione: il condizionamento verbale che avviene durante il sonno nel periodo della formazione e l’uso controllato di una droga leggera, che non dà dipendenza ed è facilmente dosabile, il soma. La società del Nuovo Mondo, infatti, ha come motto tre parole “Community, Identity, Stability” (Huxely 2002, p.5) che, indicando il fine dello Stato, esigono un ferreo controllo sui cittadini. Tuttavia in questa società controllata e “felice” esistono personaggi fuori schema e, come in gran parte delle distopie, luoghi “altri” dove la programmazione distopica non funziona o non è stata volutamente introdotta dal Potere.
Va ricordato che la società è rigidamente divisa in classi (indicate con le prime lettere dell’alfabeto greco); le inferiori sono composte da uomini e donne senza caratteri distinti, facilmente manovrabili e destinati a lavori che un osservatore esterno giudicherebbe duri e poco gratificanti; nelle classi superiori invece, e soprattutto nella classe alfa, si trovano individualità più delineate, che svolgono incombenze più soddisfacenti e hanno gusti più raffinati. Proprio tra queste ultime personalità, tra gli elementi intellettualmente più acuti, è possibile che si verifichino casi sporadici di difficoltà di adattamento (cfr. Manferlotti 1993, p. 45). E le personalità fuori schema sono le protagoniste del racconto, a partire da Mustafa Mond, il Governatore dello Stato Mondiale per l’Europa occidentale, che è “fuori schema” perché è previsto che lo sia, perché “sa”, e in quanto governante deve sapere, quali sono le strutture di controllo della società del Nuovo Mondo.
Il momento teoreticamente più significativo della distopia è l’incontro tra quest’ultimo e il Savage John, che è estraneo al brave world, essendovi giunto da uno dei luoghi “altri”, una riserva, in cui vivono coloro che non sono stati volutamente integrati nella società stabile, i selvaggi, appunto. Come scrive Bertinetti (1983, p. 51), «Il Selvaggio e Mustapha Mond, il ribelle e il detentore del potere sono due linee parallele che corrono verso l’infinito senza toccarsi». Infatti, quello tra Mond e John è un lungo e sfaccettato scontro dialettico, quasi una riproposizione non drammatica della legenda del Grande Inquisitore, dove Mond chiarisce a John la “filosofia” del Nuovo Mondo. È la filosofia della stabilità e della felicità indotta: spiega ad esempio Mond che Helmholtz Watson, il personaggio più “alternativo” della società, in quanto “ingegnere emotivo”, cioè poeta ufficiale del Nuovo Mondo, non potrà mai scrivere Othello, perché il Nuovo Mondo non è il mondo di Otello: «You can’t make flivvers without steel-and you can’t make tragedies without social instability. The world’s stable now. People are happy; they get what they want, and they never want what they can’t get. [...] they’re so conditioned that they practically can’t help behaving as they ought to behave. And if anything should go wrong, there’s soma» (Huxley 2002, p. 151).
Il Selvaggio rimane molto perplesso quando Mond chiarisce che, sebbene la rigida divisone in classi possa far assomigliare la società a un iceberg («The optimum population [...] is modelled on the iceberg eight-ninths below the water line, one-ninth above», ivi, 2002, p. 153), chi sta sotto la superficie è contento della posizione che occupa e del lavoro che fa, è convinto, anzi, che non si possa avere di meglio, e addirittura a volte è più soddisfatto di chi, con un briciolo maggiore di consapevolezza, fa parte delle classi elevate. Per altro verso se, come si diceva, la parziale autonomia di identità e coscienza degli appartenenti alle classi superiori può dar luogo a una insoddisfazione legata a una vaga sensazione della limitatezza del proprio modo di vivere, la presenza di individualità troppo decise e di coscienze più consapevoli del necessario può minare la felicità e la stabilità complessive del Nuovo Mondo. Si trovano in tale situazione coloro che (come il poeta già citato o, per altri motivi, un altro protagonista del romanzo, Bernard Marx) hanno, almeno in parte, resistito ai condizionamenti e ai metodi persuasivi utilizzati dal sistema e sono quindi personalità “disadattate”, che devono essere allontanate dalla società. La soluzione sarà quella, non violenta, di esiliarli in un’isola, luogo, precisa Mond, estremamente interessante, proprio perché abitato da questi “disadattati” non-condizionati, che sono sfuggiti, per loro sfortuna, alla persuasione dolce organizzata dal Potere. È, come si vede, una sorta di rovesciamento della perfetta isola delle utopie, che è incongrua con i principi di questa distopia della persuasione totale (ivi, pp. 155-156).
Nel Nuovo Mondo, spiega Mond a John, l’equazione tra stabilità e felicità è garantita dalla mancanza di genialità nell’arte e nella scienza; dall’assenza di Dio; dall’inutilità dell’autonomia di giudizio, della nobiltà d’animo, dell’eroismo; dall’atarassia verso la vecchiaia (che non c’è) e verso la morte che è predeterminata (ivi, pp. 158-162). La nascita in provetta, il condizionamento prenatale e nel sonno per tutto il periodo della formazione e l’uso controllato del soma, che Mond definisce «Christianity without tears» (ivi, p. 162), sono gli strumenti di quel processo di persuasione grazie al quale gli abitanti del Nuovo Mondo credono di vivere una vita felice, comoda, soddisfacente, priva di ogni preoccupazione, votata solo al consumo e al divertimento. Il Selvaggio non si fa convincere da questa prospettiva, dall’argomentare persuasivo di Mond; non appare interessato a comodità e parvenza di felicità, ma afferma il suo bisogno di Dio, del pericolo, della libertà, del peccato, della bontà, del dolore, della morte. Sembra, commenta con una certa difficoltà il Governatore, che John voglia reclamare «the right to be unhappy» e John, dopo un attimo di esitazione, ribadisce: «All right then. [...] I’m claiming the right to be unhappy» (ivi, p. 163). Secondo Muzzioli (2007, p.77) il Selvaggio «finisce lui stesso preda di valori non messi in discussione. Nella sua “tragedia” la distopia mostra un lato nostalgico [...], il credo umanistico nell’“anima” che sarebbe venuta meno con l’avanzare della modernità». Il Selvaggio può reclamare tutto questo perché è nato, è cresciuto e ha vissuto nel mondo “altro”, è stato tenuto fuori dalla “civiltà”. Gli altri cittadini del brave world, invece, sono da sempre nel meccanismo della persuasione forzata, dei condizionamenti organizzati, e hanno fatta propria una visione del mondo rovesciata e non autentica. È il meccanismo, scrive Meloni (2009, p. 35), che serve per bloccare qualsiasi tentativo di perfezionare la conoscenza, processo inutile in un modo che si presenta perfetto.
La prima forma di condizionamento a cui tutti costoro sono sottoposti avviene prima della nascita. Nella parte iniziale del romanzo viene descritto il «Hatchery and Conditioning Centre» (Huxley 2002, p. 5): si diceva che la società del Nuovo Mondo è una società rigidamente divisa in classi; tale divisione è resa possibile, senza che la tranquillità sociale ne risenta, dal fatto che gli esseri umani non “nascano da donna”, ma grazie a una controllata gestazione in provetta con un complesso meccanismo di eugenetica (cfr. Congdon 2011). E si è anche accennato al fatto che solo chi è destinato a far parte delle classi superiori (alfa e beta) avrà caratteristiche individuali proprie, mentre man mano che si scende nella stratificazione sociale la programmazione genetica farà nascere individui sempre più rozzi, intellettualmente limitati, fisicamente identici l’uno all’altro. Se l’individualità è prerogativa delle classi elevate, le classi inferiori, e in particolare le ultime due (delta ed epsilon), derivano dalla suddivisione fino a 96 parti di un unico ovulo fecondato. Nell’ultimo gradino sociale, così, vi saranno gruppi di 96 gemelli uguali tra loro, capaci di lavorare alle stesse macchine, compiendo sempre le stesse operazioni, uomini e donne completamente uniformati, che si comportano tutti in modo identico: «The principle of mass production at last applied to biology» (Huxley 2002, p. 8); ma anche le classi elevate sono condizionate biologicamente: «that is the secret of happiness and virtue-liking what you’ve got to do. All conditioning aims at that: making people like their unescapable social destiny» (ivi, p. 13).
La forma chimico-biologica di generazione controllata è solo il prerequisito dei meccanismi di persuasione, è solo il primo gradino di un processo complesso al quale tutti, seppure in modi diversi a seconda della classe sociale e al ruolo cui sono destinati, vengono sottoposti. Ed è proprio a questo punto che arriva al suo culmine la divaricazione tra essere e apparire, tra verità e falsificazione e comincia ad assumere il suo ruolo un subdolo processo di persuasione. I bambini, sin da piccolissimi, subiscono un condizionamento di tipo pavloviano, con ripetuti esperimenti di stimolo-risposta; un ulteriore e più ricercato condizionamento avviene soprattutto mentre dormono, quando ascoltano l’ossessivo insegnamento (l’ipnopedia), attraverso il quale ciascun componente di ogni classe sociale viene convinto di vivere la vita più felice possibile. Si tratta di una lezione di «Elementary Class Consciousness» (ivi, p. 20) che serve a dimostrare come sia essenziale che tutti, considerati sia come singoli sia, soprattutto, come membri di un gruppo preciso e determinato, siano indotti a credere di trovarsi nella condizione più desiderabile. Bambini Beta, mentre dormono, per un numero scientificamente programmato di volte sentono la stessa frase: «“... all wear green,” said a soft but very distinct voice, beginning in the middle of a sentence, “and Delta Children wear khaki. Oh no, I don’t want to play with Delta children. And Epsilons are still worse. They’re too stupid to be able to read or write. Besides they wear black, which is such a beastly colour. I’m so glad I’m a Beta.”» (ibidem). Questo procedimento ha lo scopo di far sì che «the child’s mind is these suggestions, and the sum of the suggestions is the child’s mind. And not the child’s mind only. The adult’s mind too-all his life long. The mind that judges and desires and decides- made up of these suggestions. But all these suggestions are [...] suggestions from the State» (ivi, p. 21).
Il condizionamento verbale, viene spiegato, è molto più raffinato ed efficace di altri tipi di condizionamento che pure vengono utilizzati, perché con le parole si possono inculcare modi di comportamento più complessi. L’importante è che le parole si concretizzino in un discorso senza ragionamento, word without reason (ibidem). Questo tipo di condizionamento riguarda tutti i tipi di comportamento che il futuro adulto dovrà seguire, tutte le convinzioni che devono dare un’apparente motivazione alla sua vita e che gli permettono di accettare la comunità e di essere da essa accettato.
Il word without reason accompagna costantemente i “cittadini” del Nuovo Mondo anche in altre forme: vi sono, ad esempio, i discorsi che guidano il rituale parareligioso di solidarietà, dove ciascuno deve “misticamente” unirsi ai suoi compagni (cfr. Congdon 2011, pp. 93 sgg ; Diken 2011, p. 162; Fortunati 2000, p. 92); e c’è il discorso “sintetico” che risolve la “sommossa” provocata da John. In questo episodio, mentre l’appello di John alla libertà, alla dignità umana risveglia ben poco interesse nei Delta cui è diretto, effetto molto maggiore hanno non solo l’intervento dei poliziotti, che diffondono vapori di soma, ma soprattutto il «Synthetic Anti-Riot Speech Number Two (Medium Strength)» con cui una voce sintetica, la voce della Ragione e del Buon senso, blandisce la folla agitata: «Straight from the depths of a non-existent heart – scrive Huxely - “My friends, my friends!” said the Voice so pathetically, with a note of such infinitely tender reproach that, behind their gas masks, even the policemen’s eyes were momentarily dimmed with tears, “what is the meaning of this? Why aren’t you all being happy and good together? Happy and good,” the Voice repeated. “At peace, at peace.” [...] “Oh, I do want you to be happy,” it began, with a yearning earnestness. “I do so want you to be good!» (Huxley 2002, p.147).
Il word without reason della macchina influisce, grazie anche al soma, non solo sulla classe infima dei Delta, ma anche sui poliziotti, su Helmholtz e persino sul Selvaggio che i condizionamenti del Nuovo Mondo non ha mai subito. Questo discorso è forse il simbolo più evidente della forza della parola mistificante, ove utilizzata entro un contesto ben organizzato: un meccanismo di convinzione costruito con il nulla, l’esempio più raffinato di un’arte di vuota persuasione verbale.
Nell’episodio che ho appena riassunto viene utilizzata, si è visto, anche la droga leggera e dosabile, che non dà assuefazione e non danneggia: il soma, strumento fondamentale per sostituire l’apparenza alla realtà e per far credere a ciascun individuo e a ciascuna classe che è vero e reale ciò che non lo è. Il soma – che rispecchia l’interesse di Huxley per la ricerca di una droga innocua e “liberatoria” – in alcune occasioni viene somministrato, in altre gli abitanti del Nuovo Mondo ne possono fare libero uso. Ne capiamo l’importanza e il ruolo quando il Governatore espone ad alcuni giovani una sorta di filosofia della storia che è la ragion d’essere del Nuovo Mondo (cfr. Bertinetti 1983, pp. 35-36). Il vecchio mondo non aveva stabilità sociale, perché lo impedivano l’emotività, il liberalismo, la democrazia, le Piramidi, Shakespeare, il Cristianesimo, Dio (Huxley 2002, pp. 24-37) – tutte parole ignote e prive di significato per i giovani – ; queste, che venivano presentate come conquiste di civiltà e cultura, rovinavano la società: si bevevano alcolici, ci si drogava pesantemente, ci si faceva guerra gli un gli altri. Ma dopo la guerra dei Nove anni, dopo la distruzione dei libri inutili, gradualmente le cose cambiarono e finalmente venne prodotta su scala industriale «the perfect drug. [...] All the advantages of Christianity and alcohol; none of their defects» (ivi, p. 37). Grazie ad essa la felicità individuale e la stabilità sociale vennero assicurate per sempre. Per questo, nel mondo del soma non c’è più bisogno né di Shakespeare né delle Piramidi né di Dio: l’essere umano, sempre giovane e sempre felice, senza emozioni profonde e mai solo, ha bisogno di un Dio assente (ivi, p. 209). La vita del Nuovo Mondo è una vita in linea retta, senza scarti, senza eccessi né verso l’alto né verso il basso. La funzione della droga è quindi quella di creare la tranquillità, di indurre una felicità senza scosse ed emozioni; è quindi anch’essa uno strumento di persuasione. Trasmette i precetti che devono guidare una vita, dalla convinzione della bontà della propria condizione sociale a quella della necessità di consumare prodotti inutili per mantenere l’economia e la ricchezza mondiale, come fa l’ipnopedia; e, come il discorso senza ragionamento convince, blandisce, persuade con la sua insensatezza e idiozia, così il soma fornisce una felicità che non è felicità, ma una falsa immagine del benessere e della realizzazione dei desideri personali. Quando questi non siano immediatamente soddisfatti, il soma allontana la frustrazione, la cancella, sostituisce un dato negativo reale con l’evasione in una dimensione fittizia, ma piacevole.
La persuasione, quindi, svolge perfettamente il suo compito paradossale: con i suoi strumenti, convince gli abitanti del brave new world di volere ciò che sono altri a volere per loro, e, negando l’individualità, la libera scelta, i dannosi “filosofemi” di un mondo instabile, crea una favola, una vita nell’apparenza in cui però tutti si riconoscono.


2. The Three Stigmata of Palmer Eldritch: la persuasione tra svago e allucinazione

Se lo scambio tra vero e non vero, tra apparenza e realtà è tema centrale delle opere dickiane (si pensi, ad esempio, a Time out of Joint, 1959, The Simulacra, 1964, Do Androids Dream of Electric Sheep, 1968), è indiscutibile che in ognuna di esse l’intervento della persuasione è differente, a seconda della situazione che è oggetto del racconto. Sebbene non tutti gli studiosi di Dick considerino The Three Stigmata of Palmer Eldritch una distopia, è mia opinione che questo romanzo sia una delle più complesse, allucinate e angoscianti distopie di Philip Dick, dove il rapporto tra vero e falso assume colorature particolari e specifiche. Tale rapporto è mediato in modo prevalente dall’uso della droga, tanto che secondo Sutin (2001, p. 217) la composizione di The Three Stigmata è ispirata in modo specifico dall’assunzione che lo scrittore faceva del LSD, mentre si è già avuto modo di ricordare il diverso significato che aveva l’impiego di droghe per Huxley, come può dedursi anche dalla sua utopia a esito negativo, Island.
In The Three Stigmata la droga induce i diversi personaggi del racconto a convincersi dell’esistenza di ciò che non c’è, a credere di agire in luoghi che sono fittizi, a perdere la consapevolezza del reale. Tuttavia, se in Brave New World i diversi strumenti della persuasione perseguono un’unica finalità, nell’opera di Dick lo strumento di persuasione è unico, ma è di due tipologie che hanno scopi differenti.
La droga CanD, il cui nome richiama palesemente la cannabis, consente a chi ne fa uso di immergersi in un universo di fantasia “patinato”, dove ciascuno si immedesima con personaggi che ricordano l’ambiente della bambola Barbie (Pat e Walt ne sono gli “attori”); la droga Chew-Z (da to chew, masticare: cfr. Pagetti 2006, p. 11) crea invece falsi mondi che si intersecano, si sovrappongono, si contengono e dai quali è problematico o forse impossibile emergere, perché Chew-Z può produrre effetti irreversibili.
La Can-D provoca uno straniamento consapevole dalla realtà: chi ne fa uso sa che cosa gli capiterà, sa che l’effetto della droga sarà limitato nel tempo e che essa lo aiuterà a sopportare una condizione di vita dura e misera. Essa consentirà delle fughe piacevoli dalla quotidianità ai Terrestri trasferiti su Marte per ordine delle Nazioni Unite (che appaiono ufficialmente come il potere politico e di controllo sociale dominante), per garantire – vien detto – la sopravvivenza della specie, difficile sul pianeta d’origine ormai surriscaldato e dove solo un numero sempre minore di esseri umani continua a risiedere grazie a costosi meccanismi di protezione (Dick 2011, p. 5-6). I colonists – come vengono chiamati – sanno qual è il loro destino e, grazie alla droga, ingannano se stessi in modo consapevole, “trasferendosi” in un mondo che ricorda loro la Terra, un mondo altro, fatuo e consumistico, dove desidererebbero ardentemente vivere; un mondo che appare loro incomparabilmente più desiderabile e gradevole di quello marziano, ma nel quale solo la CanD può provvisoriamente riportarli. Questa fantasia, questa sorta di gioco liberatorio “a tempo”, diventa l’unico scopo “positivo” di una vita inutile, vuota, priva di attività dotate di senso. Per il nostro discorso è significativo che i coloni si persuadano di vivere una più piacevole e gratificante vita “altra” solo per un tempo limitato: essi, cioè, ad ogni assunzione del Can-D, sanno di essere sotto l’effetto contingente di una droga. Ad esempio, un colono che ha appena assunto la sua dose, pur vedendosi nell’appartamento di Walt e con le sue fattezze può dirsi: «this is an illusion. You are Sam Regan, a colonist on Mars. Make use of your time of translation, buddy boy. Call up Pat pronto!» (ivi, p. 43; cfr. Pagetti 2006, pp. 11 ss.).
Uno dei tre protagonisti del romanzo, Leo Bulero, vende ai coloni – oltre che, in modo semiclandestino ma tollerato dalle autorità, parte della droga che consumano – dei plastici che riproducono nei minimi particolari i luoghi perduti della terra. In questo modo i coloni possono costruire una specie di casa di bambole o di piattaforma di partenza, che si arricchisce continuamente di nuovi pezzi, divenendo una sorta di gioco di società. Gruppi di “amici” o di “condomini” si riuniscono nei loro hovels sotterranei e, assunta la droga, si “trasferiscono” dentro i plastici, immedesimandosi nelle personalità degli “eroi” del gioco.
Nella vita dei coloni, così, si contrappongono nettamente le due dimensioni della verità e della finzione, anche se tra costoro vi sono pareri discordi sulla natura di quest’ultima. Per alcuni la persuasione di vivere altrove crea un mutamento della sostanza (una sorta di transustanziazione), per cui, almeno a tempo, essi diventano “realmente” le bamboline del gioco; per altri, invece, si ha una consustanziazione, un mutamento dei soli accidenti. L’assurdità teorica della disputa pone in luce quale grande rilievo assuma l’apparenza nella vita dei colonists: per loro, la realtà della situazione in cui vivono va relegata in ogni caso tra parentesi, anche se si ripropone duramente ogni volta che l’effetto del CanD viene meno. È peraltro evidente come il meccanismo di persuasione e sostituzione del duro dato oggettivo con il mondo altro creato dalla droga sia consapevole e ben accetto da tutti: da Leo Bulero, che da esso si arricchisce e soprattutto trae potere, oltre che la “consolazione” di aver «made life bearable for over one million unwilling expatriates from Terra» (Dick 2011, p. 24); dalle Nazioni Unite, che mantengono il controllo su Marte e, di conseguenza, sulla Terra; dai coloni, che trovano uno sfogo alla loro situazione cupa e un mondo in cui poter fare, senza conseguenze, ciò che vogliono e che dalla “schiavitù” del Can-D non hanno alcun desiderio di liberarsi.
Il secondo tipo di droga, il Chew-Z, determina uno scambio tra verità e apparenza molto più radicale e si presenta come uno strumento di persuasione e dominio più subdolo e invasivo; esso è legato al personaggio eponimo del racconto, l’ambiguo Palmer Eldritch, diffusore e probabilmente anch’egli vittima della droga. La figura misteriosa e indecifrabile di Eldritch, segnata dalle tre “stigmate” (il braccio, gli occhi, la mascella bionici) che, nel caratterizzarlo, lo smascherano e lo “rivelano” quando egli si occulta sotto i più diversi aspetti, è stata ampiamente discussa dalla critica in termini sui quali, almeno in questa sede, si deve sorvolare (cfr., ad esempio, Manferlotti 2007, p. 129 e Di Costanzo 2006, p. 264); nello stesso tempo, la storia che viene raccontata in The Three Stigmata è troppo complessa e intricata per essere non dico riassunta, ma neppure seguita nelle sue linee fondamentali. Posso solo ricordare un filone, peraltro centrale, della vicenda distopica: la lotta di Palmer Eldritch contro Leo Bulero per il dominio del mercato della droga. Di questo scontro Eldritch per certi versi appare vincitore; tuttavia il prezzo della vittoria è quello che fa di lui la principale vittima del Chew-Z. Egli, infatti, è destinato a rimanere imprigionato nella ragnatela dei mondi fittizi che essa fa sorgere nella mente di chi la assume e in cui egli, in qualche modo e forma, deve essere sempre presente perché deve “controllare” ogni universo creato nelle allucinazioni, attribuendogli una sorta di realtà, di finta realtà. Scrive in proposito Di Costanzo (2006, p. 265) «Leo non vuol sapere quello che noi lettori sappiamo [...]: l’allucinazione prodotta da Chew-Z, il desiderio indotto che possiamo realizzare grazie al Chew-Z è reale».
Nel racconto, si dice che Eldritch ritorna in contatto con gli esseri umani in una veste che non è del tutto umana. Sembra di capire che gli abitanti di Proxima Centauri, gli extraterrestri che lo hanno curato dalle sue ferite mortali facendolo diventare bionico, in realtà lo dominano proprio attraverso la droga. Dick sottolinea il carattere straordinario e tragico di questa figura: «With vast trailing arms he extended from the Proxima Centaurus system to Terra itself, and he was not human; this was not a man who had returned. And he had great power. He could overcome death. But he was not happy. For the simple reason that he was alone. So he at once tried to make up for this; he went to a lot of trouble to draw others along the route he had followed» (Dick 2011, p. 204).
Tale descrizione pone in luce uno dei nuclei di questa complessa distopia, un suo elemento simbolico. La lotta che Eldritch combatte per strappare a Bulero il dominio sul mercato legale della droga è certo interpretabile, entro i canoni più classici della fantascienza, come uno strumento che i proximiani usano per impadronirsi della Terra; ma è anche il simbolo, appunto, degli effetti più radicali a cui l’uso del Chew-Z può condurre. Questa droga infatti nelle prime assunzioni fa vagheggiare possibilità di vita accattivanti, se è vero che lo slogan che Eldritch usa per propagandarla presso i coloni recita: «God promises eternal life. We can deliver it» (ivi, p. 152); è però anche vero che questo effetto si ottiene perché chi la assume più volte passa da un universo di vita a un altro, da un tempo a un altro, si convince di vivere in eterno, sebbene la sua vita organica faccia il suo corso normale e questa eternità duri, nel tempo “reale”, pochi secondi. Tuttavia, non solo la droga crea una dipendenza difficile da superare, ma un individuo, anche quando riesca a non assumerla per molto tempo, ne rimane schiavo, sarà sempre possibile che cada in momenti in cui perde la propria personalità e torna nei mondi assurdi e allucinati del Chew-Z. Mondi assurdi e allucinati perché la conturbante presenza di Eldritch si percepisce in ciascuno di essi; così l’esperienza della droga, di per sé esaltante, ha sempre qualcosa che incute paura e inquietudine: a Barney Mayerson (il terzo protagonista del romanzo) che ha deciso di non assumere più il Chew-Z, uno dei coloni confessa: «That wasn't my reaction; I liked it, and a lot better than Can-D. Except.... [...].There was a creepy presence though, where I was; it sort of marred things»; e un’altra colona conferma: «I felt it, too. [...] I'm not going to try it again. I'm--afraid of it. Whatever it was» (ivi, p. 215).
E “il padrone della droga”, di questa – si diceva – è anche schiavo, dai mondi da essa generati non può più uscire e cerca disperatamente di non rimanervi intrappolato da solo. Schiavo della droga e al servizio dei proximiani, Eldrich deve ubbidire a entrambi: e da questo, che sembra il dato “oggettivo” della vicenda distopica, si dipana la drammaticità della relazione tra una verità, del tutto sfuggente, e una contorta apparenza, della cui multiforme varietà la droga si fa mezzo di persuasione. Ma ciascuno dei personaggi si rapporta diversamente agli effetti di questo strumento: se i colonists, assumendo il Chew-Z “percepiscono” solo la presenza negativa di Eldritch (che può essere qualsiasi persona e qualsiasi cosa in cui si imbattono nei mondi fittizi), i tre protagonisti hanno una differente consapevolezza della natura e delle conseguenze dell’assunzione del Chew-Z.
Sembra che il più consapevole di tutti sia proprio Eldritch, di cui si dice che, avendo assunto il Chew-Z su Proxima Centauri, ne rimarrà per sempre dipendente: «He was given it on Prox; he's been taking it for years. It's too late for him and he knows it» (ivi, p. 80; cors. mio): il massimo della consapevolezza coincide con il massimo della dipendenza e quindi si pone un rapporto direttamente proporzionale tra la dipendenza e la persuasione (cfr. Pagetti 2006, p. 9). Questa potrebbe apparire come una verità, un dato oggettivo di una storia che sembra non averne e che potrebbe spiegarne l’intero meccanismo, potrebbe dar conto della complessità dei piani che in essa si incrociano; nello stesso tempo, quel «e lo sa» potrebbe essere il segno della effettiva superiorità di Palmer Eldritch, poiché egli “sa” di dover costruire mondi dove cercare di portare altri uomini, per renderli, da avversari, complici o per eliminarli. Dipendente assoluto dal Chew-Z, sarà costretto, anche per affermare il suo potere, a insinuarsi per sempre in tutte le allucinazioni che i consumatori della droga immaginano (Di Costanzo 2006, pp. 263-264).
Anche Bulero capisce quando è sotto l’effetto della droga: mentre è momentaneamente prigioniero di Eldrich, gliene viene iniettata una dose; in quelli che si riveleranno pochi secondi, egli vive e vede immagini, situazioni, personaggi diversi, mondi che si incrociano e si intersecano. Soprattutto ha un incontro con una bambina la quale in un paesaggio campestre fa apparire forme, oggetti, animali, anche minacciosi. È qui che Bulero è in grado di rendersi gradualmente conto di essere in un mondo costruito dall’effetto della droga e che tutto quello che lo circonda può rappresentare lo stesso Eldritch. La bambina, una delle forme che Eldritch assume spesso nel racconto, lo informa che la droga è uno strumento dei proximani che lo usano tramite lo stesso Eldritch per impadronirsi della Terra. Bulero sarà trasportato dal Chew-Z in più dimensioni spaziali e temporali che sarà persuaso a considerare di volta in volta vere, fino a che non crederà di essersi liberato dalla schiavitù della droga; ma non è così se, nelle ultime righe del romanzo, quando da tempo non ne ha più assunto, perde, almeno momentaneamente, la propria identità, non “sa più” di essere Bulero (Dick 2011, p. 233).
Barney Mayerson ha una consapevolezza simile a quella di Eldritch ed è, in un certo senso, l’unico a uscire in modo non del tutto negativo dal gioco perverso della persuasione che continuamente convince a modificare il proprio punto di vista. Se Eldritch “sa”, ma in realtà non vuole e non può accettare il mondo in cui si è o è stato rinchiuso, Barney usa le sue facoltà di previsione del futuro per lo scopo opposto. Con lui Dick disegna la figura di “antieroe”, classica nelle distopie (Maferlotti 1993, pp.46-47): non ha la grandezza, ambigua e perversa, di Bulero né, tanto meno, quella di Eldritch; semmai, è segnato da una blanda depressione (Pagetti 2006, pp. 9-11), aspira al benessere e al successo, per il quale sacrifica ciò a cui per altro verso scopre di tenere di più (il rapporto con la moglie), non è disposto a correre rischi e preferisce andare su Marte piuttosto che affrontare le incertezze di una vita nella quale si rende conto di aver sbagliato tutto o perlomeno molto. Tuttavia a me sembra che sia l’unico a capire, alla fine, la relazione tra verità e illusione e che questa comprensione gli consenta di vivere consapevolmente una scelta, quella di accettare un destino da colono: la quotidianità di una vita semplice, ma libera da condizionamenti, anche se povera di stimoli. Non saprei dire quanto questo sia un motivo dickiano; mi sembra però di leggere in Barney Mayerson una conquista (una riconquista, forse) di una dimensione in cui l’essere umano per vivere non ha bisogno di allucinazioni e invenzioni, ma della cosciente accettazione delle condizioni psicologiche e limitate della vita individuale.
A questa consapevolezza Mayerson arriva dopo una lunga lotta con Eldritch, una lotta in cui, sotto l’effetto del Chew-Z, egli passa in vari momenti temporali, vive la terribile esperienza di “diventare” Eldritch, pur rimanendo se stesso; resiste, combatte e sembra perdere, ma riesce a uscire in tempo dall’effetto del Chew-Z. Mayerson, che sa di non essersi del tutto liberato dalla malia che lo ha portato a immedesimarsi con Eldrich, si convince che costui sia una sorta di Dio malvagio, un Dio colpevole; ma Eldritch, a questo punto, gli rivelerà la sua natura di extraterreste, mortale come tutti, ma destinato a vivere una vita estremamente lunga, che sarebbe insopportabile per gli umani; egli, leggiamo infine, si è solo impadronito dell’aspetto esteriore della figura dell’uomo Palmer.
Tralasciando i motivi mistici e metafisici sempre presenti nell’opera di Dick, sembra emergere il tema di una umanità che potrebbe, volendolo, evitare le trappole della persuasione e dell’apparenza da essa indotta. In questa prospettiva dickiana (o almeno in questa interpretazione della prospettiva dickiana) non c’è, in fin dei conti, un soggetto che subisce processi di persuasione che gli fanno vedere ciò che altri vogliono che veda, ma c’è invece un processo di autopersuasione, ricercato e voluto, solo liberandosi dal quale si può riconquistare una sia pur minimale dignità. Ciò perché in questa distopia l’apparenza è completamente scissa dalla verità, ma, nello stesso tempo, le due dimensioni sono strette in una serpentina e l’uso del Chew-Z rende impossibile sapere in quale universo spazio-temporale ci si trovi, a meno che non si sia consapevoli di essere dentro una trappola senza uscita, dentro una matrioska infinita.


3. Una breve conclusione

Brave New World e The Three Stigmata of Palmer Eldritch non sono distopie di tipo simile: hanno stili, intenti, sviluppi diversi, l’ironia della prima non trova alcun riscontro nel clima pesante e oppressivo della seconda. A maggior ragione, credo sia interessante porre in evidenza il ruolo centrale della mistificazione della verità che è uno degli elementi fondamentali per ascrivere entrambe queste opere nel genere distopico.
Il ricorso a metodi di persuasione, attraverso strumenti differenti o almeno usati in modi differenti, crea in chi li subisce una passiva accettazione di una verità su cui non si può e non si vuole indagare, una verità che – come si è già detto – è falsa o non reale e che porta allo snaturamento dei protagonisti, sia nel mondo ovattato del brave world che in quello crudo e violento delle lotte interplanetarie di The Three Stigmata. E poco importa che, in fin dei conti e a ben vedere, il processo sembri più radicale, definitivo, senza scampo nella distopia apparentemente mite, nel pericoloso «totalitarismo “morbido”» di Aldous Huxley (Muzioli 2007, p. 77; cfr. anche Diken 2001, p. 156) piuttosto che nel sogno o nell’incubo allucinatorio di Philip Dick. In entrambi i casi, il tema, della persuasione la quale, in modo ossimorico e paradossale, tende a sostituire l’apparenza alla verità, sottolinea come nel complesso universo della distopia contemporanea ci siano dei temi ritornanti e particolarmente idonei a segnare il limite a cui non si dovrebbe giungere o che non si dovrebbe, in alcun caso, varcare.


Riferimenti bibliografici

Bertinetti R. (1983), Il suicidio della cultura. Divagazioni su “Brave New World” di A. Huxley, in R, Bertinetti. A. Deidda, M. Domenichelli, L’infondazione di Babele: l’antiutopia, Franco Angeli, Milano, pp. 17-58.
Congdon B. (2011),«ESC», 37, 3-4, pp. 83-105.
Dick Ph.K., (2011), The Three Stigmata of Palmer Eldritch, (1965), Mariner Books, Houghton Mifflin Harcourt, Boston-New York.
Di Costanzo G. (2006), La paura del Signore è il principio della sapienza, Postfazione a Ph.K. Dick, Le tre stigmate di Palmer Eldritch, tr. it., Fanucci, Roma.
Diken B. (2011), Huxley’s Brave New World and Ours, «Journal of Cultural Reserch», Vol. 15, N. 2, pp. 153-172.
Fortunati V. (2000), Brave New World, in Fortunati V., Trousson R. (eds), Dictionary of Literary Utopias, Honoré Champion, Paris, pp. 89-94.
Huxley A. L. (2002), Brave new World, (1932).
Manferlotti S. (1993), Distopie contemporanee: Zamjatin, Huxley, Orwell, in A. Colombo (a cura di), Utopia e distopia, Edizioni Dedalo, Bari, pp. 35-48.
Meloni I. (2009), Immaginazione e scienza in Frankenstein, Brave New World, Never Let Me Go, University Press, Cuec, Cagliari.
Muzzioli F. (2007), Scritture della catastrofe, Meltemi, Roma.
Pagetti C. (2006), Palmer Eldritch e le Barbie dolls, introduzione a Ph.K. Dick, Le tre stigmate, cit.
Sutin L. (2001), Divine invasioni. La vita di Philip K. Dick, tr. it. Fanucci Roma; Divine Invasions. A Life of Philip K. Dick, Barror Intternational Inc., Aromonk, New York, 1989.



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