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Il fondo oscuro della nazione. Rousseau e la nascita della comunità

MARIANNA ESPOSITO
Articolo pubblicato nella sezione Tra le righe.

1. Economia e desiderio: la guerra sociale

La tesi di quest’articolo è che al fondo dell’idea di nazione, definita da Rousseau nel Contratto sociale (1762)[1], permane un nucleo teorico non del tutto esplicitato che riemerge nei momenti di crisi economica sotto forma di unhemilich, verità perturbante del discorso rousseauviano sulla comunità nazionale. Il motivo di tale ambivalenza sta nel legame originario che l’idea di nazione intreccia con l’economia e che fa di essa non solo un simbolo in cui identificarsi e ritrovare la propria autenticità[2], ma un dispositivo di governo i cui effetti politici contrastano con l’ideale democratico in cui Rousseau radica il concetto di nazione[3]. Si tratta, quindi, di mettere a fuoco questa contraddizione, di rilevare la coesistenza fra le istanze antinomiche presenti nel suo pensiero - sovranità e governo, libertà e comunità, partecipazione e rappresentanza - e di cogliere la portata concreta sul piano teorico-politico del concetto di “sovranità popolare”: laddove il governo è introdotto nella forma giuridica dello Stato e la volontà generale affermata in nome del «legame sintetico»[4] tra spirituale e temporale che Durkheim rileva a proposito del progetto rousseauviano di unità nazionale. Per analizzare, quindi, la strategia di rimedio alle patologie moderne[5] predisposta dal filosofo ginevrino e coglierne le implicazioni più problematiche, occorre prendere le mosse anzitutto dalla sua penetrante diagnosi della vita sociale svolta nel Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza. È qui che analizza lo stato di guerra scatenato dal mercato, o meglio, dal desiderio che instilla nei cuori: «Concorrenza e rivalità da un lato, conflitto d’interessi dall’altro, e sempre il desiderio nascosto di fare il proprio interesse a spese degli altri. Tutti questi mali sono il primo frutto della proprietà e il corteo inseparabile della disuguaglianza nascente»[6]. Dalla proprietà, dunque, deriva la più grave forma di oppressione mai conosciuta prima tra gli uomini: quella determinata dalla concorrenza economica, a cui è necessario far fronte, secondo l’autore, con una riforma morale e una strategia di governo. In polemica con i fisiocratici[7], Rousseau ritiene, infatti, che la disuguaglianza prodotta dal libero scambio non sia affatto una condizione “naturale” nell’ordine dei rapporti umani, ma sia una condizione “politica”, che come tale va affrontata in vista di una più equa redistribuzione sociale. Essa perciò non si iscrive nella natura delle cose, ma nella sua corruzione, quando l’economia di sussistenza fondata sui bisogni vitali cede il passo all’economia di scambio votata al profitto. È qui che il filosofo registra uno scarto decisivo nella storia della civiltà moderna e del suo progressivo imbarbarimento: nel momento in cui l’«universale desiderio di reputazione, di onori e distinzioni»[8] che struttura l’economia psichica del mercato ha presa sulla natura umana con l’avvento dell’amor proprio - la passione sociale per la convenienza e il prestigio - sul naturale amore di sé[9]. In netto anticipo sui tempi, il filosofo intuisce perciò il legame essenziale tra economia e desiderio predisposto dal mercato e il suo ruolo strategico nella produzione di stili di vita, soggettivazioni, condotte[10]. Questo legame introduce, infatti, una novità radicale nel campo della razionalità economica: crea i «segni rappresentativi delle ricchezze»[11], cioè, i simboli e le credenze che influiscono sul modo in cui i soggetti percepiscono i propri bisogni. Ciò altera la funzione dello scambio, che non è più orientata alla sussistenza, ma alla crescita, cioè, alla valorizzazione dei beni scambiati, all’incremento di potere derivante dalla loro acquisizione. È chiaro, infatti, che in virtù di tale slittamento epistemico, lo scambio non serve più alla conservazione, ma all’identificazione[12], cioè alla costruzione della propria identità personale come apparenza, immagine di sé funzionale al riconoscimento degli altri: «Bisognò, nel proprio interesse, mostrarsi diversi da ciò che si era in realtà. Essere e parere diventarono due cose del tutto diverse»[13]. È dunque lo stesso interesse economico, fondato sull’amor proprio, a costringere l’individuo ad allontanarsi da se stesso. La sua infelicità deriva, infatti, da una corsa illimitata e senza oggetto: il mancato appagamento di rivalsa sull’altro, il mancato accrescimento di potere sull’altro, la mancata accumulazione di beni a scapito dell’altro. Il tutto perché alla base della società domina un sistema fondato sulla concorrenza, cioè, sulla lotta per il potere, che perverte i moventi delle relazioni umane e trasmuta i mezzi in fini, come scrive Simone Weil nel 1934[14], in consonanza profonda con l’analisi di Rousseau.
Se, dunque, l’economia produce disuguaglianza e ha presa sull’identità nel segno dell’apparenza e dell’inautenticità, occorre un’azione di governo che ne normalizzi gli squilibri e che riannodi con nuove individuazioni il legame perduto tra il soggetto e la verità. Da qui prende le mosse Rousseau con il suo discorso sulla nazione, sul governo e sulla sovranità popolare.


2. La nascita della comunità: la nazione, bene comune

Lettore della patristica e consapevole del nesso etimologico che unisce l’economia all’immagine nel concetto di oikonomia[15], Rousseau utilizza a fondo la potenza simbolica del paradigma economico per realizzare un nuovo progetto di unificazione in seno allo smembrato corpo sociale. Da qui prende corpo la sua idea di “nazione”: dall’esigenza di ricomporre il disordine prodotto dal mercato nel valore comunitario di un simbolo in cui l’etica si ricongiunge all’economia[16]. La nazione è, infatti, il “bene comune” di tutti i cittadini - anziché bene economico di alcuni o di pochi - l’espressione della volontà generale sanzionata dal popolo, l’immagine in cui identificarsi, singolarmente e reciprocamente, come parti di un tutto indivisibile: «Ciascuno di noi mette in comune la sua persona e tutto il suo potere sotto la suprema direzione della volontà generale e noi, costituiti in corpo, riceviamo ogni membro quale parte indivisibile del tutto»[17]. È la posta in gioco della sua filosofia: la costituzione della sovranità popolare. Ciò chiama in causa il governo nella sua relazione con la sovranità. Si tratta, infatti, di costituire un corpo politico fondato non solo sulla sovranità della legge, come nella teologia politica di Hobbes, ma insieme anche sul governo delle vite, come nella teologia economica dei Padri della Chiesa. Nel Contratto sociale, in cui mette a punto la sua teoria politica, Rousseau dimostra di attingere con chiarezza a questa logica economica del governo, poiché dispiega un’economia di salvezza di cui l’agente è il popolo sovrano[18]. Come il Cristo è l’immagine salvifica che, riconciliando i contrari, legittima il governo di Dio sulla terra attraverso l’autorità temporale della Chiesa, così, sul piano secolarizzato della filosofia sociale, la Nazione è l’immagine che, unificando le pluralità in unità indivisibile, legittima il governo degli uomini a opera dello Stato in nome della sovranità popolare. Il fatto che Noi, costituiti in corpo, riceviamo ogni membro quale parte indivisibile del tutto fa riferimento proprio a questo originario processo di legittimazione e costituzione “economico-incarnazionale”: che ciascuno non è rappresentato da Noi, ma è Noi, si identifica, cioè, nel corpo comune della nazione e ritrova in tale unità simbolica se stesso, la propria autentica natura, spogliata della volontà particolare e dal desiderio di possesso.
La matrice economico-governamentale dell’idea elaborata da Rousseau verrà recepita, quindi, nel XIX secolo dai fondatori della scienza sociale, Comte e Saint–Simon, e poi ai primi del XX secolo, dai sociologi Tönnies, Durkheim, Mauss[19], nella messa a punto di una “comunità” funzionale al governo predisposto dallo Stato per garantire i diritti sociali. Essa incarna, infatti, un’immagine destinata a rendere accessibile a tutti la verità in essa custodita: che si è Uno, che si appartiene ad una unità indivisibile.
Il nodo teorico messo a fuoco da Rousseau, mutuato dai positivisti ottocenteschi e dai sociologi di primo Novecento nella formalizzazione della comunità nazionale, sta dunque in questa operazione strategica finalizzata ad attuare un governo dell’economia e a garantire un’eguaglianza politica, un piano di gestione ad opera dello Stato che riporti l’ordine sociale e il benessere per tutti.
Rispetto a quello hobbesiano, il paradigma adottato da Rousseau implica perciò uno scarto fondamentale: che una “religione civile” si installi nei cuori dei cittadini e abbia presa sulle loro vite mediante l’interiorizzazione di prassi, credenze, misure istituzionali inerenti all’amore della patria. «Non basta dire ai cittadini “Siate buoni”; bisogna insegnar loro a esserlo; e l’esempio stesso, che è sotto questo aspetto la prima lezione, non è il solo mezzo che va impiegato: l’amor della patria è il più efficace»[20]. Ecco perché la nazione è l’immagine - l’eikôn - funzionale al discorso dell’economia pubblica e alle sue soggettivazioni: perché, in quanto «madre comune di tutti i cittadini»[21], veicola un immaginario in cui tutti possono identificarsi come di loro appartenenza vitale, originaria, biologica. Così, il sentimento comune per la patria assicura la virtù, cioè, la conformità delle volontà particolari alla volontà generale.


3. Per la “pubblica felicità”: sovranità popolare e governo economico

Ma è proprio qui che sorgono alcune domande e si fa cruciale la questione della verità nella teoria politica di Rousseau. Se è vero, infatti, che il governo ristabilisce un legame tra l’etica e il soggetto mediante l’educazione pubblica[22], è proprio questa modalità di soggettivazione che pone delle contraddizioni alla concezione rousseauviana della democrazia. E ciò non solo per la questione fondamentale della volontà deliberante, giacché la volontà generale del popolo esige la ritraduzione operativa nella volontà “particola rizzata” del governo. Vi è un altro punto in cui emerge una contraddizione essenziale: laddove il filosofo enuncia lo scopo a cui è destinato il potere governamentale predisposto dalla legge. Non si tratta, infatti, dell’ordine o della sicurezza pubblica, come in Hobbes e Locke, ma della felicità pubblica: «La miseria umana nasce dalla contraddizione fra la nostra condizione e i nostri desideri (...) fra la natura e le istituzioni sociali, fra l’uomo e il cittadino; conferite unità all’uomo e lo renderete felice per quanto può esserlo. Datelo tutto allo Stato o lasciatelo tutto intero a se stesso: ma se dividete il suo cuore lo dilaniate»[23]. Così Rousseau scrive nei Frammenti politici, in una sezione intitolata Della pubblica felicità. Ciò che annuncia è la trasformazione radicale introdotta dal governo nella modalità di esercizio del potere[24]: una modalità biopolitica, in cui il potere prende ad oggetto la vita, se ne fa carico attraverso un’economia di salvezza. Infatti: «Non basta avere dei cittadini e tutelarli. Bisogna pensare anche alla loro sussistenza, provvedere ai pubblici bisogni»[25]. È questo provvedere ai bisogni umani ad opera dello Stato, questo prendersi cura della popolazione nei suoi desideri e nei suoi aspetti biologici di sussistenza che non si concilia pacificamente con il progetto democratico di sovranità popolare. O meglio, si concilia con esso, ma a prezzo di sacrificare forzosamente le differenze di cui ciascun essere umano è espressione[26] dentro il progetto di unificazione nazionale.
Qui si profila la questione della verità - del soggetto - nella filosofia politica di Rousseau. Nel suo progetto politico, infatti, rimane aperta la contraddizione tra il discorso della verità - interiorizzato dall’uomo che si fa cittadino - e l’esperienza della verità, che il soggetto vive nella propria autentica, incarnata singolarità. Voler risolvere la contraddizione fra l’uomo e il cittadino, far sì che l’uomo e il cittadino coincidano integralmente, senza scarti, rifiuti, differenze, distanziamenti, è la contraddizione più alta che Rousseau paga al suo ideale democratico. È questa la verità perturbante della sua idea di nazione, il suo fondo oscuro, biopolitico e governamentale, che continua a riemergere nei momenti di crisi economica e di collasso sociale con dispositivi escludenti, e che scuote e fa tremare l’immagine di un’unità nazionale sempre più fragile[27].


[hr]
[1] J. J. ROUSSEAU, Il contratto sociale, a cura e con un saggio introduttivo di R. Gatti, Rizzoli, Milano 2005 (ed. or. Du contrat social, ou principes du droit politique, 1762).

[2] Cfr. A. FERRARA, Autenticità, normatività dell'identità e ruolo del legislatore in Rousseau, in G.M. Chiodi - R. Gatti (a cura di),La filosofia politica di Rousseau, Franco Angeli, Milano 2012, pp. 9-34.

[3] Cfr. L. BAZZICALUPO, Economia e dispositivi governamentali, in «Filosofia Politica», n. 1, il Mulino, Bologna 2006, pp. 43-56.

[4] É. DURKHEIM, Le Contrat social de Rousseau, in «Revue de Métaphysique et de Morale», 1918.

[5] Cfr. E. PULCINI, Rousseau e le patologie della modernità: le origini della filosofia sociale, in G.M. Chiodi - R. Gatti (a cura di), La filosofia politica di Rousseau, Franco Angeli, Milano 2012, pp. 35-52.

[6] J. J. ROUSSEAU,Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini, in Scritti politici, a cura di E. Garin, vol. 1, Laterza, Roma - Bari 1997, p. 185 (ed. or. Discours sur l'origine et les fondements de l'inégalité parmi les hommes, 1755).

[7] Cfr. C. SPECTOR, Rousseau et la critique de l’économie politique, in Rousseau et les sciences, B. Bensaude -Vincent et B. Bernardi éd., L'Harmattan, Paris 2003, pp. 237-256.

[8] J. J. ROUSSEAU,Discorso sulla disuguaglianza, cit., p. 200.

[9] Ivi, pp. 239-240.

[10] Cfr. M. FOUCAULR, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France (1977-1978), Feltrinelli, Milano 2005 (ed. or. Sécurité, territoire, population, Seuil, Gallimard, Paris 2004).

[11] J. J. Rousseau,Discorso sulla disuguaglianza, cit., p. 185.

[12] C. SALVAT, L’echange et la loi: le statut de la rationalité chez Rousseau, in «Revue économique», Vol. 58, n. 2, Presses de Sciences Po, 2007.

[13] [] J. J. ROUSSEAU,Discorso sulla disuguaglianza, cit., p. 184. Cfr. A. MARTONE, Le radici della disuguaglianza. La potenza dei moderni, Mimesis, Milano 2011.

[14] Cfr. S. WEIL, Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, Adelphi, Milano 1983 (ed. or. Réflexions sur les causes de la liberté et de l’oppression sociale, 1955).

[15] Cfr. M. J. MONDZAIN, Immagine, icona, economia. Le origini bizantine dell’immaginario contemporaneo, Milano, Jaca Book 2006 (ed. or. Image, icône, économie, Les sources byzantines de l’imaginaire contemporaine, 1996). Cfr. G. AGAMBEN, Il Regno e la Gloria. Per una genealogia teologica dell’economia e del governo, Neri Pozza, Vicenza 2007. Inoltre mi permetto di rinviare a M. ESPOSITO, Oikonomia: una genealogia della comunità. Tönnies, Durkheim, Mauss, Mimesis, Milano 2011.

[16] Cfr. C. SALVAT, Œconomie. Les articles ‘Œ/Economie’ et leurs désignants,Recherches sur Diderot et sur l'Encyclopédie, n. 40-41, http://rde.revues.org/index352.html. Cfr. J. MATHIOT, Politique et économie dans Rousseau, in Rousseau anticipateur-retardataire, sous la direction de J. Boulad-Ayoub, I. Schulte-Tenckhoff et P.-M. Vernes L'Harmattan, Paris 2000.

[17] Cfr. J. J. ROUSSEAU, Il Contratto sociale, cit., p. 67.

[18] Cfr. B. KARSENTI, Il corpo a corpo politico. Rousseau e l’ideale democratico, in «Filosofia Politica», n. 2, Il Mulino, Bologna 2010, pp. 183-195.

[19] Cfr. F. TÖNNIES, Comunità e Società, intr. di R. Treves, Edizioni di Comunità, Milano 1963 (ed. or. Gemeinschaft und Gesellschaft, 1887); É. DURKHEIM, La divisione del lavoro sociale, Edizioni di Comunità, Milano 1971 (ed. or. La division du travail social, 1893); M. MAUSS, I fondamenti di un’antropologia storica, a cura di R. Di Donato, Einaudi, Torino 1998 (ed. or. Écrits politiques, 2004).

[20] J. J. ROUSSEAU, Discorso sull’economia politica, in Scritti politici, vol. 1, cit., p. 291 (ed. or. Discours sur l’économie politique, 1755).

[21] Ivi, p. 295.

[22] Ivi, p. 298.

[23] J. J. ROUSSEAU, Frammenti politici, in Scritti politici, vol. 2., cit., p. 263.

[24] L. BAZZICALUPO, Economia e dispositivi governamentali, cit., p. 44.

[25] J. J. ROUSSEAU, Discorso sull’economia politica, cit., p. 300.

[26] H. ARENDT, Sulla rivoluzione, a cura di R. Zorzi, Edizioni di Comunità, Milano 1983 (ed. or. On the Revolution, 1963).

[27] Cfr. J. BUTLER - G. C. SPIVAK, Che fine ha fatto lo Stato-Nazione?, Meltemi, Roma 2009 (ed. or. Who sings The Nation-State?, Seagull Books, London 2008).

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