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I collegi invisibili: politica e sapere ai tempi di Internet

MARIA CHIARA PIEVATOLO
Articolo pubblicato nella sezione La politica e le nuove tecnologie della comunicazione.

I Grandi Fratelli

Nella seconda metà del secolo scorso, all'epoca della guerra fredda e dell'equilibrio del terrore, Internet era stata pensata come una macchina per l'apocalisse[1], in grado di funzionare in un ambiente ostile, senza un'autorità centrale e in modo neutrale rispetto ai contenuti trasmessi. Nella sua architettura è inscritta una capacità non straordinaria, bensì ordinaria[2], di sottrarsi al controllo: di essere apocalittica - capace di rivelazioni al di là degli oligopoli e delle oligarchie dei mezzi di comunicazione di massa centralizzati.
Quando la rete era per lo più popolata da militari, studiosi e appassionati, il timore più diffuso era quello oggi solitamente associato alla prospettiva dei suoi detrattori: che la sua architettura venisse sconvolta dalla censura e da un'occupazione militare da parte degli stati, per trasformarsi, da macchina per l'apocalisse, in strumento di sorveglianza al servizio dei tiranni[3]. Non a caso, nel 1999 la più nota associazione italiana per la difesa della privacy e dei diritti civili in rete, il "Progetto Winston Smith"[4], si battezzò col nome del protagonista del romanzo 1984[5].
Ma, se nel 1999 il pericolo più grande sembrava quello del Grande Fratello statale, nel 2011, dopo che la rete è diventata un fenomeno di massa, si è aggiunto un rischio più insidioso. Come scrive uno dei fondatori del progetto Winston Smith, Marco Calamari[6],


l'apparizione di entità della Rete di dimensioni tali da renderle quasi onnipotenti, come Google, Twitter e Facebook, o di ibridi Mondo-Rete come Apple ed Amazon, ha segnato un altro punto di svolta, in questo caso totalmente negativo. Una frazione maggioritaria della popolazione della Rete, che rappresenta ormai una frazione consistente della popolazione mondiale, ha iniziato a riversare sé stessa nella Rete, ma ha purtroppo scelto la strada sbagliata. Invece di diffondere in Rete il meglio di sé stessi, cose accuratamente realizzate e curate, possibilmente intelligenti o geniali, e magari fare questo con una certa dose di umiltà, vi ha riversato la propria vita e le proprie relazioni, permettendo ai pesi massimi della Rete di esercitare silenziosamente il loro potere per accumulare ricchezze e istituire un tecnocontrollo pervasivo.


Se la connettività "sparisce" negli oggetti e diventa un orizzonte invisibile, anziché uno spazio di partecipazione che dipende dalle nostre competenze e dalle nostre scelte, anche i cittadini della rete tendono a scomparire a favore di «una vastissima maggioranza di plebei sazi di quotidiano e privi di domande e aspirazioni, unicamente concentrati sulla promozione del proprio sé come brand personale». Fuori dalla plebe rimangono due minoranze: «quella dei potenti», di «coloro che sanno, decidono cosa fanno gli oggetti, li progettano, e li danno da realizzare ad una parte della plebe (oggi in oriente, ma domani chissà) che in condizioni di sfruttamento produce cose che non comprende e che probabilmente non può permettersi», e «quella dei ribelli, dell'underground digitale» - «ribelli certo, geniali forse, ma ghettizzati e autoghettizzati».

Idiozia tecnologica

Internet - scrive il programmatore e attivista Dmytri Kleiner[7] - è una rete aperta, centralizzata e distribuita[8]. Non è un giardino murato[9]. Ben prima che si parlasse di Web, Usenet[10] offriva una rete paritaria di server, senza un'amministrazione centrale, su cui gli utenti pubblicavano e discutevano i propri contenuti, filtrando localmente la visualizzazione di quelli altrui. La novità del cosiddetto Web 2.0[11] non è dunque l'user generated content, ma una condivisione sottoposta a forme di controllo centralizzato da parte di aziende private.
I sistemi peer to peer[12], proprio perché distribuiti, sono più efficienti di quelli centralizzati: mentre You Tube o Facebook richiedono enormi data center e grandi quantità di banda, a un nodo in una rete p2p basta un computer e una connessione commerciale. Sono più longevi, perché la loro sopravvivenza dipende esclusivamente dalla persistenza dell'interesse di chi vi partecipa, sono più resistenti alla censura, perché diffondono i loro contenuti in un modo simile a quello in cui l'antichità lasciava circolare i suoi manoscritti[13], e garantiscono maggiore privacy perché privi di un database centrale di utenti.
Il valore di piattaforme come Facebook non sta né nel loro software, né nei loro server, ma nei contributi che vi caricano, gratuitamente, gli utenti: deriva dunque dalla recinzione e dalla privatizzazione di oggetti prodotti in comune[14], in modo da controllarli e sfruttarli unilateralmente. In modo da trasformare le persone in prodotti da offrire a pagamento come bersagli della propaganda economica, se non di altre, più insidiose, forme di sorveglianza.
A prima vista, niente ci costringe a regalare noi stessi a Facebook quando potremmo usare Diaspora[15] o Usenet - niente se non una certa autocompiaciuta ignoranza tecnologica che si accompagna all'idiozia[16] di non avere altro orizzonte al di là del proprio naso e del proprio marchio personale.
Un'idiozia simile rallenta anche il progredire della pubblicazione ad accesso aperto[17], specialmente nell'ambito delle scienze umane. Se la ricerca si fonda sulla libertà dell'uso pubblico della ragione, non ha senso imporle artificialmente una discussione ad accesso riservato[18], dietro barriere economiche ormai tecnologicamente obsolete, a esclusivo vantaggio degli oligopoli dell'editoria scientifica[19]. Questo principio dovrebbe essere elementare, specialmente per ricercatori finanziati con denaro pubblico. Eppure, nonostante l'impegno di alcune istituzioni[20], buona parte degli studiosi continua a lavorare gratis[21] per i latifondisti della conoscenza[22] e a misurarsi su parametri di cui non ha controllo – dagli indici bibliometrici[23] a qualche altra più impalpabile rete di rapporti personali. Come mai gli studiosi – lo notava recentemente Robert Darnton[24] – non si rendono conto del danno che arrecano alla repubblica delle lettere? Perché, proprio come gli utenti illetterati di cui parla Calamari, si lasciano così facilmente degradare da cittadini della repubblica della scienza, a proletariato, a plebe?[25]

La libertà dei moderni

La libertà dei moderni ci ha indotto ad affinare gli strumenti per proteggere i privati dallo stato. Quanto alla questione della protezione dei privati dai privati, la nostra esperienza storica l'associa a un mondo prepolitico, e la vede risolta nell'istituzione dello stato[26]. La rete, però, è un ambiente post-politico, in cui il potere dei privati sui privati e sugli stati riesce a essere pervasivo ma implicito, e in cui i più non si rendono conto che le leggi del codice e dell'architettura[27] sono tanto importanti quanto quelle del diritto.
Di una proletarizzazione dei ricercatori aveva già parlato Max Weber[28], nel secondo decennio del secolo scorso: il professore, inserito come dipendente in un sistema burocratico, è privato della proprietà del suo strumento di lavoro - la biblioteca - proprio come gli operai sono separati dai mezzi di produzione. Se vediamo la rete come una macchina per la conoscenza, soltanto un piccolo passo separa il ricercatore proletarizzato, al servizio di un sistema il cui senso è stabilito da una struttura aliena, dal plebeo inconsapevole che regala se stesso a Facebook perché altri ne traggano profitto.
Il testo in cui Weber menzionò questo tema, La scienza come professione[29], è però più noto per la sua «difesa - come spiegava Norberto Bobbio[30] - della scienza disinteressata [che] va di pari passo con una concezione fondamentalmente irrazionalistica dell'universo etico», per la quale lo scienziato deve custodire «l'unica e limitata cittadella della ragione dagli assalti della non-ragione che si esprime nei giudizi di valore»:


non saranno mai ricordate abbastanza le accorate, severe, e quanto preveggenti!, parole che Weber pronunciò alla fine del 1918, al momento della sconfitta della Germania, nella conferenza alla Libera lega studentesca, sulla scienza come professione e come vocazione (Wissenschaft als Beruf), quando disse che nella scienza ha una sua personalità e una sua dignità soltanto colui che «serve puramente il proprio oggetto», esaltò «l'intima dedizione al proprio compito», e domandandosi perché il professore non debba dare consigli pratici intorno al modo di agire nella società, rispose: «Perché la cattedra non è per i profeti e per i demagoghi».


Ma il fatto che il senso del sapere sia solo interno, a uso dei professori, entro un universo relativistico che ha rinunciato all'intellettualismo etico e all'orizzonte etico e all'orizzonte di una verità possibile[31], non induce, all'esterno, a smettere di prendere decisioni, e di prenderle secondo valori. Difendere la cittadella della scienza in questi termini significa ridursi volontariamente all'idiozia, per lasciare ad altri - al tecnocontrollo burocratico o capitalistico - la scelta di che cosa sia meritevole di essere studiato. Togliere dalla cattedra i profeti e i demagoghi, per sostituirli con i proletari e i plebei, sulla cattedra e altrove, finché - con le parole di Weber - «non sia stato consumato l'ultimo quintale di carbon fossile»[32] cioè fino al crollo del sistema e alla sua apocalisse.

I collegi invisibili

La rivoluzione digitale che ha popolato la rete di idioti può essere dunque vista come parte di quello stesso processo che ha messo i proletari in cattedra. Internet, come scrive Clay Shirky[33], ha certamente aumentato la capacità espressiva dell'umanità. Ma che una risorsa divenga abbondante, da scarsa che era, è una sfortuna, almeno per chi su quella scarsità fondava il suo potere economico e sociale. Nel 1500 bastava saper leggere e scrivere per guadagnarsi da vivere: nei secoli successivi l'alfabetizzazione, proprio mentre diventava sempre più importante per la società, perse gradualmente il suo valore professionale. Qualcosa di simile accade ora per la capacità editoriale; mentre nel XX secolo rivolgersi al pubblico era un privilegio che dava influenza, denaro e prestigio, oggi lo può fare chiunque sia in rete.
Il primo esito evidente è un mondo de-professionalizzato, in cui sono in crisi tutti i modelli consolidati di valutazione della qualità. Questo è solamente un male, agli occhi dei più conservatori[34]. Attraverso le rivoluzioni mediatiche dell'ultimo millennio il libro, nato come pezzo unico e opera d'arte, diventa prodotto industriale di massa, per finire come qualcosa che può comporre chiunque sappia usare un computer e collegarsi in rete.
Una società in cui chiunque abbia accesso alla sfera pubblica e in cui la partecipazione amatoriale - per dilettantismo, per amore - di massa sia qualcosa di scontato, può però essere imprevedibilmente diversa dal mondo gerarchico di produttori attivi e consumatori passivi a cui erano abituate le generazioni precedenti. Quando venne inventata la stampa a caratteri mobili, fu usata dapprima al servizio della religione costituita, riproducendo Bibbie e indulgenze: nessuno avrebbe immaginato che nel giro di pochi decenni sarebbe stata determinante per il successo della Riforma di Lutero[35].
L'esperienza delle rivoluzioni mediatiche del passato può però darci una prospettiva su qualche futuro possibile.
Nella prima metà del Seicento, non c'era, in principio, una gran differenza fra chimici e alchimisti[36]: entrambi indagavano sui misteri della materia in laboratori di storte e alambicchi. La cerchia attorno a Robert Boyle[37] - il cosiddetto invisible college[38] che fu il germe della Royal Society[39] - abbracciò il principio di credere solo a quanto dimostrato e di sottoporre i suoi membri a reciproco esame. Questo principio li indusse alla pubblicità, alla chiarificazione e alla condivisione dei risultati e delle procedure: gli alchimisti, che lavoravano da soli, mantenevano il segreto e tramandavano il loro sapere da maestro ad allievo o lo divulgavano in modo oscuro, furono soppiantati[40] nel giro di un paio di decenni. Gli adepti del collegio invisibile divennero scienziati non semplicemente perché usavano la stampa[41], ma perché la usavano per sostenere e diffondere una cultura di comunicazione, trasparenza e discussione libera[42].
La rete può essere un invisible college sia nel senso di una scuola media invisibile - un luogo di divulgazione, narcisismo ossessivo e socializzazione vuota - sia in quello di un'università invisibile in cui si fa ricerca, si condividono risultati e ci si sottopone a un libero esame reciproco al di là dalle gerarchie delle accademie visibili. Sta a noi decidere quale delle due opzioni sarà prevalente.
Kant, scrivendo di filosofia della storia, osservava che non è difficile fare previsioni sul futuro se il profeta ha il potere di influenzare i fatti con le sue parole e le sue azioni[43]. Umberto Eco, che, pur non disdegnando di approfittare del lavoro gratuito altrui su Wikipedia[44], pubblica ad accesso chiuso perché crede nell'insostituibilità dei filtri dell'editoria e dell'accademia[45], contribuisce col suo comportamento a creare il tipo di Internet che critica - la scuola media invisibile. I fisici delle alte energie, che mettono immediatamente a disposizione di tutti anche i loro risultati[46] più controversi e li discutono in pubblico[47] contribuiscono alla rete come università invisibile. Per Eco la fisica è una disciplina talmente esoterica da aver paradigmaticamente bisogno di un sistema di pubblicazione altrettanto esoterico: l'esperienza dei fisici, però, dimostra che perfino questo esempio non è del tutto appropriato.
In questo momento, ci sono collegi invisibili che riescono a riproporsi con successo nel passaggio dal mondo esclusivo della stampa a quello più aperto della rete, e altri – specialmente nel settore delle scienze umane - che non ci provano nemmeno, o lo fanno con esasperante lentezza[48]. Una simile scelta però, se vogliamo prendere sul serio l'analogia proposta da Shirky, non è priva di conseguenze: chi, nel corso di una rivoluzione mediatica "democratizzante", si comporta come se fosse un'élite tecnocratica quando non è più né l'una ne l'altra cosa si espone al rischio di fare la fine degli alchimisti.
Siamo dunque di fronte a una questione non soltanto tecnica, ma in primo luogo culturale. Per smettere di essere idioti dovremmo imparare a sentirci a un tempo ingegneri e filosofi, e scienziati, profeti e demagoghi - dovremmo imparare a riflettere sul senso non specialistico di quanto facciamo e sul valore dell' uso pubblico della ragione[49] e dei suoi strumenti. La rete, anche oggi, continua a offrire gli strumenti per riuscirci. Le gabbie d'acciaio non si fanno da sé.

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[*] Questo testo è sottoposto a una licenza Creative Commons by-sa http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/it/.
[1] Cfr. N. MENDOZA, A tale of two worlds Apocalypse, 4Chan, WikiLeaks and the silent protocol wars, in "Radical Philosophy", 166, 2011 http://www.radicalphilosophy.com/commentary/a-tale-of-two-worlds-2.
[2] Cfr. M.C. PIEVATOLO, La rete fra libertà e identità: anello di Gige o Panoptikon?, in "Cosmopolis", I (2006), n. 1 http://www.cosmopolisonline.it/pievatolo.htm.
[3] Cfr. E. MOROZOV, The internet is a tyrant's friend, in "New Scientist", 8 March 2011 http://www.newscientist.com/article/mg20928026.100-the-internet-is-a-tyrants-friend.html.
[4] Cfr. Chi siamo nel sito del Progetto: http://pws.winstonsmith.org/people.html.
[5] Cfr. G. ORWELL, 1984, Secker and Warburg, London 1949, disponibile all'indirizzo http://www.george-orwell.org/1984/index.html.
[6] Cfr. M. CALAMARI, I colori di Cassandra/Nero: la scomparsa della Rete, in "Punto Informatico", 25 novembre 2011, http://punto-informatico.it/3346633/PI/Commenti/colori-cassandra-nero-scomparsa-della-rete.aspx.
[7] Cfr. D. KLEINER, The Telekommunist Manifesto, Institute of Network Cultures, Amsterdam 2010 http://bfp.sp.unipi.it/btfp/?p=423.
[8] Cfr. M MANTELLINI, Contrappunti/Internet del futuro, in "Punto informatico"; 17 ottobre 2011 http://punto-informatico.it/3306290/PI/Commenti/contrappunti-internet-del-futuro.aspx.
[9] Cfr. M. CALAMARI, Cassandra Crossing/ Il muro oltre il giardino, in "Punto informatico", 6 ottobre 2011, http://punto-informatico.it/3294189/PI/Commenti/cassandra-crossing-muro-oltre-giardino.aspx.
[10] Cfr. voce Usenet in Wikipedia: https://en.wikipedia.org/wiki/Usenet.
[11] Cfr. voce Web 2.0 in Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Web_2.0.
[12] Cfr. voce Peer to peer in Wikipedia: http://en.wikipedia.org/wiki/Peer-to-peer.
[13] Cfr. M.C. PIEVATOLO, «Le cose degli amici sono comuni»: conoscenza, politica e proprietà intellettuale, in "Bollettino telematico di filosofia politica", 1 ottobre 2005, http://bfp.sp.unipi.it/~pievatolo/lm/amici.html#id250513.
[14] Cfr. T. BEMERS-LEE, Long Live the Web: A Call for Continued Open Standards and Neutrality, in "Scientific American", 22 novembre2010 http://www.scientificamerican.com/article.cfm?id=long-live-the-web.
[15] Cfr. voce Diaspora in Wikipedia: http://en.wikipedia.org/wiki/Diaspora_%28software%29.
[16] Cfr. La scheda Idiota, a cura di F. Macciò, in "Mediaclassica. Un sito per la didattica delle lingue classiche", http://www.loescher.it/mediaclassica/greco/lessico/falsiamici06.asp.
[17] Cfr. il progetto "Pleiadi" http://www.openarchives.it/pleiadi/.
[18] Cfr. M.C. PIEVATOLO, Introduzione a L. LESSIG, The architecture of access to scientific knowledge: just how badly we have messed this up, "Bollettino telematico di filosofia politica", 6 giugno 2011 http://bfp.sp.unipi.it/btfp/?p=77.
[19] Cfr. M.C. PIEVATOLO, Monbiot: I latifondisti della conoscenza, nel blog "Minima academica", 1 settembre 2011 http://minimacademica.wordpress.com/2011/09/01/monbiot-i-latifondisti-della-conoscenza/
[20] Cfr. la presa di posizione della CRUI. Conferenza dei Rettori delle Università Italiane http://www.crui.it/HomePage.aspx?ref=894.
[21] Cfr. M.C. PIEVATOLO, Servi, signori e revisori, nel blog "Minima academica", 8 novembre 2011.
[22] L'espressione è di G. MONBIOT, The Lairds of Learning, in "The Guardian", 29 agosto 2011 http://www.monbiot.com/2011/08/29/the-lairds-of-learning/.
[23] Cfr. F. SYLOS LABINI, Valutazione della ricerca e arbitrarietà delle scelte, ne "Il Fatto Quotidiano", 1 dicembre 2011 http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/01/valutazione-della-ricerca-e-arbitrarieta-delle-scelte/174303/.
[24] Cfr. D. WEINBERGER, Robert Darnton on the history of copyright, open access, the DPLA, 19 dicembre 2011 http://www.hyperorg.com/blogger/2011/11/19/avignon-2b2k-robert-darnton-on-the-history-of-copyright-open-access-the-dpla/.
[25] Cfr. M.C. PIEVATOLO, Introduzione a I. KANT, Sette scritti politici liberi, in "Bollettino Telematico di filosofia politica", 11 novembre 2011 http://bfp.sp.unipi.it/dida/kant_7/index.html#liberarekant; pubblicato in cartaceo come I. KANT, Sette scritti politici liberi, a cura di M.C. Pievatolo, FUP, Firenze 2011.
[26] Cfr. M.C. PIEVATOLO, Beni comuni: appunti su Stefano Rodotà, nel blog "Minima academica", 26 marzo 2011 http://minimacademica.wordpress.com/2011/03/26/beni-comuni-appunti-su-stefano-rodota/.
[27] Cfr. M.C. PIEVATOLO, Dmytri Kleiner, Manifesto telecomunista, nel blog "Minima academica", 19 ottobre 2011 http://bfp.sp.unipi.it/btfp/?p=423.
[28] Cfr. M.C. PIEVATOLO, Introduzione a I. KANT, Sette scritti politici liberi, cit.
[29] Cfr. M. WEBER, Wissenschaft als Beruf, in Id., Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, Mohr, Tubingen 1922 http://www.textlog.de/weber_wissen_beruf.html.
[30] Cfr. N. BOBBIO, Voce Intellettuali dell'Enciclopedia del Novecento, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma 1979, Vol. 3., pp. 798-808, ora liberamente visibile presso http://www.treccani.it/enciclopedia/intellettuali_(Enciclopedia_Novecento)/.
[31] Cfr. M.C. PIEVATOLO, Socrate: la dignità della vita teoretica, nell' ipertesto Il Gorgia di Platone, disponibile in "Bollettino telematico di filosofia politica", 4 ottobre 2011 http://bfp.sp.unipi.it/dida/gorgia/ar01s06.html#forzafilosofia.
[32] Cfr. M. WEBER, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, trad. it. di P. Burresi, Sansoni, Firenze 1977, pp. 304-305.
[33] Cfr. C. SHIRKY, How Has The Internet Changed The Way You Think?, in "The Edge", 2010 http://edge.org/q2010/q10_1.html#shirky.
[34] Cfr. V. VERDÙ, Umberto Eco: "Desgraciadamente, el futuro de Europa será Italia", in "El Pais", 25 aprile 2010, http://preview.tinyurl.com/3xneldm.
[35] Si veda la mia annotazione a M. Lutero, Monito agli stampatori, in "Bollettino telematico di filosofia politica", 2009 http://bfp.sp.unipi.it/classici/lutero.html.
[36] Cfr. la voce Alchimia su "Wikipedia" http://it.wikipedia.org/wiki/Alchimia.
[37] Cfr. la voce Robert Boyle su "Wikipedia" https://secure.wikimedia.org/wikipedia/en/wiki/Robert_Boyle.
[38] Cfr. la voce Invisible College su "Wikipedia" https://secure.wikimedia.org/wikipedia/en/wiki/Invisible_College.
[39] Cfr. la voce Royal Society su "Wikipedia" https://secure.wikimedia.org/wikipedia/en/wiki/Royal_Society.
[40] Cfr. la voce Alchimia, cit.
[41] Cfr. M.C. PIEVATOLO, Minima post-academica, nel blog "Minima academica", 16 marzo 2008 http://minimacademica.wordpress.com/2008/03/16/minima-post-academica/.
[42] Cfr. P. A.DAVID , The Historical Origins of "Open Science": An Essay on Patronage, Reputation and Common Agency Contracting in the Scientific Revolution, in "Capitalism and Society", 3 (2008), 2 http://www.bepress.com/cas/vol3/iss2/art5/.
[43] Cfr. I. KANT, Riproposizione della questione: se il genere umano sia in costante progresso verso il meglio, 80, in Id., Sette scritti politici liberi, FUP, Firenze 2011 http://bfp.sp.unipi.it/dida/kant_7/ar01s14.html#aa080.
[44] Cfr. A. ZANNI, Intervista a Umberto Eco, in "Wikinotizie", 11 maggio 2010 http://it.wikinews.org/ wiki/Intervista_a_Umberto_Eco.
[45] Cfr. G. DE STEFANO, Umberto Eco a El Pais: «Internet non conosce filtri sociali», in "Dowloadblog", 27 aprile 2010 http://www.downloadblog.it/post/12289/umberto-eco-a-el-pais-internet-non-conosce-filtri-sociali.
[46] Cfr. The OPERA Collaboraton, Measurement of the neutrino velocity with the OPERA detector in the CNGS beam, 2011 Arxiv arXiv: 1109.4897v1 http://arxiv.org/abs/1109.4897v1.
[47] Cfr. M. DELMASTRO, Considerazioni dopo il seminario di OPERA. Ovvero, di come si misura la velocità dei neutrini (superluminali o meno), nel blog "Borborigmi", 23 settembre 2011 http://www.borborigmi.org/2011/09/23/considerazioni-dopo-il-seminario-di-opera-ovvero-di-come-si-misura-la-velocita-dei-neutrini-superluminali-o-meno/?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+borborigmi%2Fposts+%28Borborigmi+di+un+fisico+renitente+%28posts%29%29.
[48] Cfr. P. GALIMBERTI - A. MARCHITELLI, Change is glacially slow (but it happens): challenges and opportunities for the HSS, in PKP Scholarly Publishing Conference 2011, Berlino http://hdl.handle.net/10760/16159.
[49] Cfr. I. KANT, Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung? in "Berlinische Monatsschrift", dicembre 1784, trad. it. di F. Di Donato, rivista da M.C. Pievatolo, Risposta alla domanda: che cos'è l'illuminismo?, in "Bollettino telematico di filosofia politica", http://bfp.sp.unipi.it/dida/kant_7/ar01s04.html#ftn.id2794969.

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