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L'imperfezione dell'e.Democracy. Brevi considerazioni su forme, aspettative ed esperienze

DANIELE PITTÈRI
Articolo pubblicato nella sezione La politica e le nuove tecnologie della comunicazione.

1. L'espressione e.democracy fa la sua comparsa nell'ultimo decennio del XX secolo. Introduce un concetto molto interessante: l'utilizzo delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione nell'ambito dei processi democratici. Si tratta di un concetto generale e apparentemente semplice, che racchiude un insieme di forme, modi, pratiche, sperimentazioni, teorie, utopie e visioni su come i nuovi media possano essere usati per favorire una partecipazione delle persone più diretta ed estesa ai processi politici e istituzionali, o per far sì che i cittadini possano, a qualunque livello (locale, nazionale, internazionale), condizionare le scelte politiche dei governi e delle istituzioni transnazionali o per introdurre, addirittura, forme innovative di democrazia diretta. Un concetto, dunque, aperto a esiti molti diversi per intensità di visione, per profondità di innervamento nei sistemi democratici e per modalità di coinvolgimento delle persone. Ma anche un'operatività, una pratica che, confidando in una loro evoluzione in senso sempre più inclusivo, richiede alle nuove tecnologie di garantire l'accesso libero a informazioni di particolare rilievo (archivi, database, dispositivi di legge, ecc.); di favorire la determinazione di luoghi virtuali e spazi digitali di discussione pubblica e pluralista; di assicurare la possibilità per tutti di intervenire nei processi decisionali attraverso pratiche di voto o di referendum on line.


2. Quando, negli ultimi anni del secolo scorso, presero avvio serie riflessioni sulla democrazia elettronica a molti parve che, inevitabilmente, le nuove tecnologie (in particolare internet e, successivamente, la telefonia mobile) avrebbero condotto alla progressiva erosione dei tradizionali sistemi di democrazia rappresentativa, sostituiti, in maniera crescente e rapidissima, da forme e modelli di democrazia diretta. Un mondo nuovo in cui i cittadini avrebbero avuto la facoltà di intervenire, attraverso deliberazioni e votazioni rese possibili proprio dalle tecnologie informatiche, in tutte le fasi della vita pubblica, assumendo in tal modo direttamente le decisioni, senza mediazioni, senza intermediari, esautorando di fatto i parlamenti e rendendoli inutili.
Oggi lo sguardo è decisamente più cauto e per certi versi disincantato. La democrazia elettronica batte strade diverse, meno radicali. Nel corso degli ultimi dieci anni, infatti, si è sostanziata la consapevolezza che l'erosione e l'indebolimento dei sistemi democratici rappresentativi stavano conducendo non verso la democrazia diretta, ma verso forme estenuanti di democrazia compulsiva (permanente e consultiva), potenzialmente congeniali a logiche populistiche e plebiscitarie. La deflagrante centralità dei mass media, e della televisione in particolare, nelle dinamiche di dialogo fra politica e cittadini, il frequente utilizzo di sondaggi, il facile ricorso alla mobilitazione tattica della piazza e agli appelli telematici, hanno diffusamente consolidato un clima di campagna permanente, in cui le dinamiche comunicative di matrice elettorale si sono estese alle fasi ordinarie e quotidiane della vita politica e in cui l'agire politico, sempre più subordinato e vincolato alle logiche del rapporto con l'opinione pubblica, ha sposato in via quasi del tutto incondizionata la logica del marketing, assumendone la mentalità e sostituendola alle abituali modalità della pratica politica.
A questa crisi di legittimazione delle democrazie rappresentative, si è ritenuto si potesse rispondere rifondando radicalmente il processo decisionale attraverso il coinvolgimento dei cittadini prima di assumere decisioni. In questo quadro, la prospettiva di una democrazia rinnovata o trasformata in profondità dalle tecnologie si è sempre più concretizzata nella direzione dell'allargamento della partecipazione, da un lato appoggiandosi alle opportunità funzionali che le tecnologie stesse determinano, dall'altro ancorandosi alla logica a rete del web, capace di generare un nuovo spazio pubblico, di mettere in relazione, attraverso legami orizzontali, i cittadini fra di loro e di connettere, attraverso legami verticali, la società civile con il mondo politico. Tecnologie, dunque, che da sole non garantiscono la vita democratica, ma che tuttavia consentono di sostenerne lo sviluppo e l'evoluzione, favorendo ed estendendo la partecipazione dei cittadini, facilitando l'avvicinamento alle istituzioni dei soggetti tradizionalmente più distanti da esse, educando ad una diversa cultura organizzativa le istituzioni stesse.
Di converso, le molteplici opportunità determinate dalle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione possono generare forme di democrazia istantanea, con il continuo ricorso a sondaggi e a referendum, che riducono i processi partecipativi ad un insieme di domande e di risposte, lasciando prevalere una pericolosa logica della maggioranza. Possono aprire la strada a processi di controllo e di manipolazione operati da oligarchie o da gruppi ristretti di persone. Possono favorire l'affermarsi di fenomeni neopopulistici di democrazia plebiscitaria, saldando direttamente la leadership politica con la cittadinanza, grazie alla specificità stessa dei new media e ad un loro uso strumentale.
Tuttavia, in questo articolo si adotta uno sguardo che si sofferma esclusivamente sulle esperienze più o meno compiute di democrazia elettronica realizzate fino ad oggi, tentando di comprenderne i punti di forza e le debolezze, i limiti e le opportunità che comportano.


3. Proprio come il concetto di democrazia, anche quello di e.democracy è significativo di ambiti e di dimensioni ampie e differenti: l'inclusione sociale (in termini web, anche l'abbattimento del digital divide), tutti possono partecipare; l'accesso all'informazione, ossia ricevere, produrre e diffondere informazione; la determinazione della sfera pubblica e l'accesso alla medesima e quindi luoghi e momenti di discussione aperti a tutti; la partecipazione diffusa ai processi decisionali; l'azione diretta, ossia la possibilità da parte di chiunque di presentare petizioni, appelli, proposte inerenti la comunità; la dimensione elettorale.
Facendo leva su questi principi generali, nel corso degli ultimi quindici anni, si sono affermate in maniera abbastanza diffusa, forme di democrazia elettronica, per lo più nate su iniziativa e volontà delle istituzioni (tranne qualche isolato caso, fra cui e-democracy.org), rigorosamente strette (ad esclusione di Your Voice in Europe, un progetto transnazionale della Commissione Europea) dentro i confini nazionali e successivamente conformate alla dimensione locale, considerata più consona a sviluppare forme di democrazia partecipativa, vista la prossimità fra istituzioni, cittadini, comunità. Si è trattato di esperimenti soft di e.democracy, che nelle loro applicazioni specifiche, si sono definiti soprattutto sotto forma di modalità di utilizzo delle nuove tecnologie della comunicazione per promuovere e sostenere la partecipazione dei cittadini nei processi decisionali, lungo tutto l'arco temporale del loro determinarsi, in un ambito preciso e quindi riferibile a una comunità amministrativamente e geograficamente delimitata e circoscrivibile.
Secondo questa impostazione generale si sono consolidati nel tempo alcuni modelli di democrazia elettronica, che, come si vedrà, non costituiscono strade e modalità alternative per costruire processi democratici on line, quanto concezioni diverse del rapporto fra istituzioni e cittadini, fra rappresentati e rappresentanti.
L'e.governement, ossia l'amministrazione elettronica, pur se non ne costituisce necessariamente la premessa, rappresenta l'altra faccia dell'e.democracy. Si tratta, infatti, del processo di informatizzazione della pubblica amministrazione che, accompagnandosi ad un mutamento organizzativo della stessa, consente di razionalizzare e ottimizzare il lavoro degli enti e di offrire a cittadini e imprese i servizi tradizionali in maniera più rapida e in maniera innovativa. Trattandosi di un procedimento che impatta in profondità sulla struttura organizzativa della pubblica amministrazione e sulla sua efficienza, l'e.government può essere considerato un presupposto culturale, per quanto non sufficiente, dell'e.democracy, poiché aiuta a riavvicinare enti e cittadini, incidendo sulla mentalità organizzativa delle pubbliche amministrazioni, rendendo più controllabile l'azione amministrativa e migliorando l'equità di trattamento.
La e.democracy consultiva è un modello che prevede che istituzioni governative o rappresentative stimolino e favoriscano la consultazione "non vincolante" dei cittadini in vista di determinanti momenti decisionali. È una modalità nella quale è l'istituzione a stabilire l'agenda, a individuare il problema da dibattere e a porre le alternative su cui i cittadini debbono esprimere la propria opinione e che si sostanzia in un processo fondamentalmente centrato sul principio della trasparenza, ma in cui la dimensione interattiva è limitata e a bassa intensità.
La e.partecipation è una concezione dell'uso delle tecnologie finalizzata a stimolare una partecipazione attiva, in cui i cittadini divengono parte di un processo diffuso di policy making, pur se la responsabilità delle scelte finali compete ai governi. Si tratta di un modello che, alimentato dall'esperienza delle comunità virtuali e dalle conseguenti speranze (o utopie) di una rivitalizzazione del capitale sociale delle democrazie rappresentative attraverso la mobilitazione di una fitta rete di comunità e di associazioni spontanee si risolve per lo più in processi di trasparenza istituzionale e di «ascolto soft», attuati grazie ai siti web realizzati ad hoc dai principali istituti rappresentativi (nazionali e locali), nel ricorso a pratiche interattive di intensità variabile e nell'esercizio di voto elettronico, attivato per lo più a scopo consultivo e referendario.
La e.democracy deliberativa, infine, dovrebbe costituire la forma più compiuta di democrazia elettronica. Infatti, da un lato presuppone la partecipazione dei cittadini ai processi di policy making e dall'altro individua nelle dinamiche discorsive e di confronto la modalità imprescindibile secondo cui la partecipazione si attua: una vita politica consapevole richiede, infatti, che i cittadini siano messi nelle condizioni di poter discutere e valutare le diverse opzioni politiche e valoriali prima di esprimersi su di esse e di sceglierle. La logica di funzionamento di questo modello è incardinata su due elementi: la centralità dell'individuazione e della proliferazione di soluzioni tecniche in grado di concretizzare e favorire processi di comunicazione interattivi e trasparenti; l'attivazione di meccanismi di partecipazione e di deliberazione sostanzialmente inclusivi che, pur riconoscendo un ruolo centrale alle istituzioni rappresentative, favoriscono anche altri attori istituzionali. Queste soluzioni, infatti, si aprono e inglobano anche circuiti comunitari diversi o non ufficiali, sia verso il basso, riconoscendo funzione o dignità a network associativi locali, fortemente radicati sul territorio e quindi rappresentativi di porzioni più o meno ampie di popolazione, sia verso l'alto, favorendo il costituirsi di una sfera pubblica sovranazionale.
Tutti questi modelli testimoniano una logica tecno-evoluzionistica che, attraverso passaggi successivi e fasi intermedie, conduce da una forma primaria di connessione fra cittadini e istituzioni attraverso le nuove tecnologie (e.government) ad una forma molto complessa di relazioni e azioni (e.democracy partecipativa) integrate fra loro. Si tratta, tuttavia, di una visione debole e asfittica della democrazia elettronica, che fondamentalmente esalta il carattere meramente tecnico delle nuove tecnologie e che - senza coglierne la deflagrante discontinuità che esse operano rispetto al passato, col loro essere al contempo apparato, infrastruttura, media, linguaggio, dinamica relazionale -, ne esalta esclusivamente la funzione di strumento, l'innovazione che rende facile ciò che prima era difficile. Un paradosso, poiché un significato pieno o un'attuazione costante dell'e.democracy - che in parte collimano anche con i concetti stessi di laicità e di democrazia - si possono cogliere proprio nel modo in cui il web evolve e si configura: ambiente di produzione e di diffusione generalizzate della conoscenza, di dialogo continuo e privo di limitazioni, di esposizione delle più svariate opinioni e quindi di testimonianza delle diversità.


4. Le esperienze di e.democracy attuate fino ad oggi[1], pur se a grandi linee riconducibili ai quattro modelli descritti, differiscono tra loro per un numero importante di variabili: ambito geografico, pubblici di riferimento, organizzazioni responsabili dei singoli progetti, modalità di interazioni tra utenti e istituzioni, formati, tecnologie e protocolli utilizzati. D'altra parte, la diversa disposizione partecipativa delle persone, le differenti necessità delle istituzioni e l'insieme contraddittorio di pratiche e di idee che ne sono derivati, hanno originato modalità operative in cui sono riconoscibili l'attivazione di molteplici e distinti processi di democrazia elettronica: quelli (tanti e vari) contraddistinti da forme di attivismo telematico spontaneo, attraverso cui i cittadini autonomamente e senza condividere piattaforme tecnologiche con le istituzioni, discutono delle opzioni, operano pressioni, attivano petizioni, nell'intento di condizionare, in maniera più o meno efficace, le scelte istituzionali e gli indirizzi politici; quelli trasparenti e rigidi in cui le istituzioni attivano molteplici flussi informativi a beneficio della cittadinanza oltre ad attuare un numero crescente di servizi alle persone; quelli dibattimentali e in parte decisionali, promossi, per lo più dalle istituzioni, per coinvolgere la cittadinanza nelle dinamiche di condivisione delle scelte e di gestione delle stesse. Forme, tutte parimenti imperfette, che testimoniano comunque un panorama quanto mai vario e dinamico. Alcune di esse, infatti, tendono a concretizzare, attraverso le tecnologie, la disposizione partecipativa nel dialogo costante e non episodico fra soggetti diversi (cittadini e istituzioni), in merito alle questioni di natura pubblica e comunitaria; altre sperimentano processi di partecipazione, condivisione e con-decisione, i cui ambiti sono tuttavia troppo esigui sia in termini di qualità dei contenuti, che in termini di quantità della cittadinanza coinvolta e dunque risultano abbastanza significativi, ma non paradigmatici.
Ciò crea un ambito di studio e di analisi estremamente variegato, in cui è difficoltoso proporre classificazioni univoche, per almeno due importanti ragioni: in primis, la natura sperimentale di quasi tutte le iniziative, che si presentano in molti casi più come studi e tentativi che come prassi acquisite; in secondo luogo, la velocissima evoluzione di Internet, con la nascita e l'introduzione continua di nuovi formati, strumenti e tecnologie, apre ininterrottamente nuove possibilità e prospettive e, soprattutto, rende difficile paragoni, in particolare in merito all'efficacia delle azioni intraprese.
Tuttavia alcune considerazioni di fondo sono possibili e necessarie.
In generale emerge un tratto comune e caratterizzante della gran parte delle esperienze realizzate: la dimensione locale come terreno proprio dell'e.democracy. Non si tratta di una casualità, perché è espressione di una tendenza di pensiero radicata che individua in quella dimensione l'ambito ideale per sviluppare i rapporti più efficaci fra i cittadini e le istituzioni, poiché sia il raggio di intervento dell'azione pubblica che la portata delle decisione che le competono comportano un maggior impatto sulla quotidianità e quindi una maggiore attrattività sulla cittadinanza. La relativa dimensione delle comunità, inoltre, è più consona a favorire il processo partecipativo, soprattutto nella fase dibattimentale, poiché meglio può articolarsi e dettagliarsi.
Da questo scenario generale emergono, però, alcune differenze sostanziali, per cui in alcuni casi le iniziative di e.democracy si inseriscono in una logica di proseguimento delle politiche di e.government, da cui deriva una spiccata centralità delle istituzioni nei processi e una certa marginalizzazione della cittadinanza. In altri casi, invece, la partecipazione e la democrazia on line sembrano essere parte di un processo più complessivo di rafforzamento ed estensione delle pratiche democratiche. D'altra parte, si assiste anche ad una dinamica per cui il livello e l'intensità della promozione delle iniziative di e.democracy presso le comunità e i cittadini sono completamente distaccate dall'indirizzo politico perseguito e sono invece correlate alla tipologia di azioni realizzate. In particolare, le iniziative di e.vote e di voto elettorale on line (che pure non sono da considerarsi strettamente una pratica di e.democracy, cioè di rafforzamento dei processi democratici, quanto una facilitazione dell'esercizio di un diritto) sono quelle sostenute da un maggior livello informativo, da un'elevata pressione promozionale e da una molto articolata rete formativa, oltre che da investimenti in tecnologie tese a facilitare l'accesso al voto.
Anche sul fronte dei processi democratici emergono una serie di ostacoli, la cui origine è da rintracciare in debolezze proprie sia della cittadinanza, che dimostra scarsa fiducia nella reale volontà dei governi di coinvolgere i cittadini nei processi decisionali, che delle istituzioni che sottovalutano i vantaggi che potrebbero derivare dal coinvolgimento dei cittadini e che, il più delle volte, affidano le dinamiche di dialogo con i cittadini non al personale politico, quindi ai rappresentanti dei cittadini in seno alle istituzioni, ma alla struttura burocratica. Ne consegue che molto spesso le consultazioni vengono aperte in una fase già troppo avanzata del processo decisionale, per cui gli spazi di discussione e la partecipazione sono limitati al consenso o al rifiuto di proposte avanzate dalle istituzioni.
Infine, emerge una scarsissima integrazione dei processi di e.democracy, o comunque sostenuti dalle nuove tecnologie, con forme di partecipazione più tradizionali, come ad esempio assemblee pubbliche, incontri, petizioni, comitati, ecc. Visto che lo scopo dichiarato è il miglioramento della qualità democratica, i processi di e.democracy dovrebbero tendere ad integrarsi con queste forme, piuttosto che a sostituirsi ad esse. Soltanto una sorta di realtà mixata, in cui si integrano luoghi e mezzi diversi, tecnologie e modalità di azione territoriale, può favorire dinamiche di inclusione e di partecipazione diffusa della cittadinanza nei processi democratici.


5. È evidente che l'e.democracy così concepita palesa più difetti che opportunità reali. Necessariamente, vista l'ufficialità dei processi che impatta, non può non prevedere protocolli molto precisi e dettagliati e quindi un sistema di regole in grado di garantire tutti gli attori partecipi. Necessità, tuttavia, che determina molte contraddizioni relativamente a svariate problematiche quali, ad esempio, la privacy o la trasparenza. Man mano che il processo procede si complica e man mano che aumenta il livello di interattività, e quindi la forza d'impatto dell'azione dei cittadini, crescono gli sbarramenti all'accesso. Mentre, infatti, l'accesso alle informazioni è libero e, quindi, "consentito" alla generalità della cittadinanza (trasparenza=facilità), gli accessi alla discussione o alla deliberazione passano attraverso l'identificazione e quindi sono "riservati" ad uno specifico cittadino (trasparenza=riconoscibilità). Circostanza questa che mina alla radice due dei principi fondanti dei processi dibattimentali e decisionali, il diritto alla tutela della libertà di espressione e il diritto alla riservatezza delle decisioni assunte e, in ultima analisi, del voto.
Non è un caso che su queste e su altre problematiche, meno evidenti, ma egualmente impattanti sull'equilibrio fra tutela dei diritti individuali e tutela degli interessi collettivi, si sia da diversi anni aperto un dibattito intenso che ha coinvolto esperti, giuristi e governi e che ne siano derivate proposte, come quella avanzata da Rodotà (una Costituzione di internet), o, addirittura, il riconoscimento dell'accesso alla rete come diritto fondamentale delle persone, inserito nelle Costituzioni (Estonia, Grecia, Ecuador) o nella legislazione ordinaria (Finlandia, Francia) o recepito da organismi sovranazionali (Unione Europea, Consiglio d'Europa).
D'altra parte, se i processi formali di e.democracy sembrano evolversi e affermarsi con notevole lentezza, almeno rispetto alle previsioni iniziali, negli ultimi anni si sono sviluppati e moltiplicati gli esperimenti e le esperienze di consultazione informale o la creazione di piazze telematiche, piattaforme di discussione e dibattito che vedono coinvolti nel ruolo di soggetti attivi sia il personale politico che la cittadinanza. Non si parla qui né dei blog dei politici, né delle esperienze di discussione partecipata nate dal basso su iniziativa dei cittadini a cui restano estranee le istituzioni, la cui partecipazione non è prevista. Ci si riferisce ad operazioni di ascolto e dibattito come, ad esempio, quello perseguita da Barack Obama dopo la sua elezione, attraverso una piattaforma (Organizing for America), orientata a raccogliere idee, proposte e suggerimenti su alcuni temi sensibili (sanità, energia, ecc.), al fine di diffondere consapevolezza e dibattito il più possibile in profondità nella società.
Questa e altre costituiscono esperienze importanti e decisive, perché proiettate verso la rivitalizzazione e la ricostruzione della sfera pubblica. Ma sono comunque forme sostanzialmente consultive, che il più delle volte soffrono degli stessi limiti già riscontrati nei processi di e.democracy strutturati (localismo, tematiche di importanza limitata, ritardo di inizio della discussione, ecc.), che non determinano decisioni da parte dei cittadini e che spesso non valgono neppure come semplice indirizzo o perché non sono in grado di operare sufficiente pressione (nel caso di forme spontanee) o perché le scelte della politica sono sempre più determinate dalla contingenza momentanea.
Anche quella elettronica, dunque, fino ad ora si sta dimostrando una democrazia imperfetta.

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[1] Le esperienze sviluppatesi negli ultimi anni sono state molte, anche se non tutte comparabili fra loro. Di seguito si segnalano una serie di siti che, nella maggior parte dei casi, sono contemporaneamente piattaforme di e.democracy (nelle sue varie forme), portali di accesso ad altre esperienze o archivio delle più significative attività svolte nel mondo. Gli ultimi due siti sono invece di centri di ricerca universitari sui temi della partecipazione e della democrazia elettronica. Anche questi propongono una ricca ricognizione di esperienze effettuate nel mondo (www.ec.europa.eu/yourvoice, www.give-your-voice.eu, www.demo-net.org, www.eu-participation.eu, www.direct.gov.uk/en/index.htm, www.e-democracy.org, e-democracy.org/uk, www.deliberative-democracy.net, www.partecipa.net; http://edc.unige.ch, cdd.stanford.edu).

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