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Le radici e la svolta: dallo "strappo" all'eurocomunismo

Franca Papa

La vicenda storica del Partito comunista italiano dal 1968 fino alla fine degli anni '70 è certamente segnata dalla figura di Enrico Berlinguer e dal carattere intensamente problematico che la sua personalità ed il suo pensiero impressero ad un passaggio di fase storica che veniva a maturazione ineluttabilmente. La personalità del Segretario, il mito politico che lo circonda da subito e che perdura all'indomani della improvvisa ed "eroica" scomparsa, "incarna" per così dire il percorso e, nello stesso tempo, lo drammatizza e ne complica gli elementi di difficoltà. Figura ombrosa, schiva da ogni tipo di narcisismo, colta e raffinata, sensibile ma non moderna nello stile della relazione e non marcatamente comunicativa, appariva segnata da un forte carisma morale tale da significare fondamentalmente la differenza e lo scarto tra il campo dei valori di riferimento dei "comunisti" e la realtà italiana, secolarizzata e moderna.
Il profilo tragico del Segretario del più grande partito comunista occidentale cui il destino affidava il compito di traghettare una grande comunità fuori dal passato e verso la fine del ciclo storico dell'egemonia dell'URSS era destinato a segnare a lungo la storia d'Italia. Questo avviene anche a partire dai caratteri del ciclo che si apre ed alla grande rilevanza degli eventi storico-politici nazionali ed internazionali che si condensano in quel decennio.
L'ingresso clamoroso, sullo scenario politico europeo ed internazionale, dei movimenti studenteschi del 1968 costituisce una prima ed ardua prova che si propone alla cultura politica del Partito comunista italiano, alla sua storia ed alla sua identità. Per la prima volta prende forma sotto gli occhi dell'opinione pubblica mondiale un movimento politico transnazionale, antiautoritario ed antimperialista, pacifista e ultrademocratico, non-operaio e non anticapitalista ma fortemente orientato alla critica della divisione del mondo in blocchi di influenza contrapposti, e fortemente schierato contro la politica internazionale delle due superpotenze e per il superamento del bipolarismo. Questo movimento elabora culture politiche proprie, che in gran parte mutuano il background delle categorie della classe colta democratica americana, di quel cinema e di quella letteratura o dalla "filosofia" espressa dai nuovi gruppi musicali inglesi e il marxismo vi trova uno spazio ridotto, solo dove viene fortemente elaborato. Capaci di produrre e diffondere nuovi stili di vita radicalmente moderni ma fortemente impregnati di valori tradizionalmente legati alla storia dei movimenti operai popolari e democratici (solidarietà, sobrietà, impegno civile), questi movimenti appaiono subito fortemente espansivi negli strati medio alti delle popolazioni europee.
Doveva appunto essere un estremo ed imprevedibile sviluppo di questo grande cambiamento delle giovani generazioni, il '68 cecoslovacco, insieme al lancio della Ostpolitik di Willy Brandt il primo sintomo di una crisi prossima del modello della "guerra fredda". La "normalizzazione autoritaria" che seguì a quella inattesa esplosione in tutto l'Est europeo portava impetuosamente nell'altro campo la stessa stridente contraddizione contro la quale si era scagliata la prima grande onda di mobilitazione democratica in occidente: la guerra del Viet-Nam. I due blocchi apparivano attraversati da una contraddizione identica. Non reggeva alla prova della più intensa modernità la pretesa divisione del mondo in aree di influenza contrapposte ma reciprocamente riconosciute come punto di equilibrio di un ordine mondiale possibile.
Non fu facile per alcun Partito comunista europeo assorbire l'impatto critico dell'emergere del profilo autoritario della politica dell'URSS, ma il PCI , che pure gestì al meglio la difficoltà, si pose consapevolmente nella prospettiva di incominciare il percorso della presa di distanza da Mosca invertendo il tradizionale giudizio positivo che rinveniva dalla tradizione togliattiana. Principale ed immediato effetto di questo mutamento di linea politica fu la mossa di dislocare il Partito italiano a sostegno di un processo di "distensione" delle relazioni tra i blocchi. Di quella tradizione togliattiana invece si conservava e si esaltava il tema del valore della democrazia e del nesso democrazia-socialismo e tuttavia questo trovava un significato nuovo nella comparsa, per la prima volta in misura significativa, di una vocazione europeistica della sinistra italiana che avvicina, per la prima volta, il ruolo del PCI a quello delle sociademocrazie europee.
È proprio il 1968 l'anno in cui si mette in luce, per la prima volta con evidenza internazionale, la figura di Enrico Berlinguer, inviato a Mosca dal partito, a rappresentare una se pur limitata forma di dissenso. Ancora nel 1969, quando l'intervento sovietico in Cecoslovacchia era ormai alle spalle dell'opinione pubblica europea, di nuovo a Mosca Berlinguer ribadiva le riserve del Partito italiano e addirittura rifiutava di sottoscrivere la dichiarazione conclusiva comune. Questo formalizzava il fronte del dissenso occidentale pur nel quadro di una sostanziale continuità di relazioni solidali. Mosca era troppo impegnata nella contrapposizione col Partito comunista cinese per coltivare una contrapposizione contro il PCI e questo, dal canto suo, individuava ed offriva a Mosca una modalità di relazione intermedia: «I rapporti tra i comunisti sovietici e quelli italiani si fondarono sulla tacita rimozione di questioni cruciali: proprio questa sembra anzi essere stata la condizione per il mantenimento di un'intesa. Per il PCI ciò significava contenere, ma non recidere, legami tradizionali che implicavano ingerenza e condizionamento da parte sovietica»[1].
Tra le conseguenze prodotte dagli eventi di quell'anno cruciale, giustamente, Pons segnala l'«irreversibile svuotamento dei miti del comunismo sovietico» soprattutto presso quelle generazioni che si affacciavano per la prima volta in quegli anni all'impegno civile e che, di lì a poco, avrebbero affollato gli spazi ancora aperti dal PCI alla partecipazione politica contribuendo, se pure lentamente e faticosamente, a modificare la cultura politica di quel Partito. Nel 1973 questa trasformazione dell'agenda politica del PCI appare già abbastanza definita: «Nella prospettiva del superamento dei blocchi, e del ricostituirsi in una forma di presenza unitaria dell'intera Europa, noi, dunque, ci battiamo intanto per una Europa occidentale che sia democratica, indipendente e pacifica: non sia antisovietica né antiamericana, ma, al contrario, si proponga di assolvere una funzione di amicizia e cooperazione con l'America e l'Unione sovietica, e tra esse e con i paesi sottosviluppati e con tutti i paesi del mondo: nella linea della prospettiva della pacifica coesistenza e collaborazione»[2].
Anche l'esame profondo e doloroso dell'esperienza cilena che Berlinguer compie nel 1973 lo conferma nella prospettiva della necessità storica del superamento della "guerra fredda": «La politica della distensione, nella prospettiva della pacifica coesistenza, è prima di tutto la via obbligata per garantire un obiettivo primario, di interesse vitale per tutta l'umanità e per ciascun popolo: evitare la catastrofe della guerra atomica e termonucleare, assicurare la pace mondiale, affermare il principio del negoziato come unico mezzo per risolvere le controversie tra gli Stati»[3].
È sicuramente il clima di distensione che prende forma in quegli anni tra Mosca e Washington a costituire il contesto di una nuova definizione dei caratteri dei Partiti Comunisti europei. La radice dell'idea politica dell'eurocomunismo sta tutta dentro questa nuova struttura degli equilibri politici internazionali e nel solco di quell'autonomia lentamente e faticosamente guadagnata dal PCI a definire il percorso di una "via nazionale"[4]. L'adozione esplicita del concetto di "eurocomunismo" si deve a Berlinguer che la utilizza in occasione di un'iniziativa pubblica di PCF e PCI a La Villette, nei pressi di Parigi, nel giugno 1976. Berlinguer segnala in un passaggio del suo intervento, un forte interesse dell'opinione pubblica internazionale per questa nuova idea politica che esprime crescenti elementi di convergenza tra i diversi partiti comunisti europei. Il riferimento era prima di tutto alle posizioni di più esplicita polemica con Breznev ed il gruppo dirigente sovietico che andava esprimendo Santiago Carrillo, segretario del Partito comunista spagnolo. Per Berlinguer la "fortuna" di una nuova idea di "comunismo europeo" sostiene e rafforza l'altra direzione strategica che, in questi anni, sta imprimendo alla strategia del Partito: il "compromesso storico": «Esisteva un nesso tra la linea politica internazionale rivolta al comunismo europeo occidentale e il lancio della proposta del compromesso storico tra comunisti e cattolici nella politica italiana, compiuto da Berlinguer in tre celebri articoli scritti su Rinascita nel settembre-ottobre 1973. La motivazione immediata della proposta nasceva da una riflessione sul golpe del generale Pinochet in Cile, che aveva abbattuto il governo di sinistra guidato da Salvador Allende»[5]. Il nesso era nella esigenza di raccogliere attorno ad una strategia democratica di riforme uno schieramento più ampio di forze popolari di quello tradizionalmente toccato dall'influenza dei partiti comunisti e tale da rendere più stabili ed irreversibili le trasformazioni delle società. La possibilità di superare il minoritarismo e l'isolamento del Partito comunista in Italia passava certamente attraverso la realizzazione di una ampia unità di forze popolari e democratiche intorno alla prospettiva del cambiamento e questo poteva realizzarsi solo imponendo una relativa autonomia della via europea al socialismo rispetto all'Unione sovietica. Nello stesso tempo il processo di distensione internazionale appare a Berlinguer come la condizione più favorevole a superare l'ostacolo più importante alla partecipazione del PCI al governo del paese, l'ordine bipolare, e la conseguente condizione di democrazia bloccata, che stava producendo effetti drammatici sulla storia politica italiana.
Dalla seconda metà degli anni '70 prende forma una forte iniziativa politica del Partito italiano nei confronti degli altri partiti fratelli europei (spagnoli, francesi e inglesi) per mettere a punto gli elementi nuovi di una cultura politica che mettesse al centro il principio democratico come elemento fondamentale per la emancipazione di grandi masse popolari e per la realizzazione progressiva della loro partecipazione al governo delle grandi nazioni moderne europee.
La lunga e difficile preparazione e poi la celebrazione della Conferenza di Berlino (29-30 giugno 1976), assise dei Partiti Comunisti Europei, con l'esito di un documento sottoscritto da 29 partiti comunisti e operai d'Europa, fu la manifestazione evidente delle contraddizioni sempre più marcate con l'URSS che si formavano sulla via della definizione dell'eurocomunismo e dell'adozione di una strategia democratica di trasformazione delle società europee. Lo strappo veniva compiuto ma il prezzo pagato era la rinuncia, da parte dei partiti europei a sostenere la legittimità del dissenso che si andava formando contro i regimi comunisti imposti dall'URSS nei paesi dell'Est. Santiago Carillo, che dei dirigenti europei si spinse più radicalmente nella critica al modello statale sovietico fu censurato da Mosca e dovette fronteggiare anche un forte dissenso interno al suo partito.
Largamente condivisa fu l'impostazione che Berlinguer fornì della strategia europea e dei caratteri dell'eurocomunismo e questi risentivano certo fortemente dei caratteri del "caso italiano": forte valorizzazione del metodo e della cultura politica democratica, formazione di modelli economici ispirati dalle teorie keynesiane (intreccio funzionale tra pubblico e privato), pluripartitismo e parlamentarizzazione della lotta politica attraverso l'allargamento della base sociale di consenso ai governi popolari e democratici (grandi coalizioni, "compromesso storico"). Condizione fondamentale per la realizzazione di questa linea politica era certamente una indipendenza progressivamente più marcata dei Partiti comunisti europei rispetto a Mosca a cui si sommò, con l'andare del tempo, una critica sempre più marcata dei sistemi politici nei paesi dell'Est europeo.
L'atto ufficiale di nascita fu certamente l'incontro di Madrid (1977) tra Enrico Berlinguer (PCI), Santiago Carrillo (PCE) e George Marchais (PCF) che fu dedicato alla definizione della nuova via. I tre Partiti si avviavano decisamente verso posizioni vicine alla socialdemocrazia e in alcuni casi, soprattutto per il Partito italiano, questo percorso compiva l'allontanamento definitivo dalle posizioni di Mosca cominciato molti anni prima con il dissenso esplicito sull'invasione della Cecoslovacchia.
Fu l'omicidio di Aldo Moro e della sua scorta ad interrompere bruscamente un percorso che era destinato a portare il PCI nell'arco delle forze di governo in Italia. Con il delitto Moro comincia in Italia la fine della Prima Repubblica che si compirà attraverso passaggi complessi e dolorosi lungo un quindicennio di storia nazionale.

[1] S. PONS, Berlinguer e la fine del comunismo, Einaudi, Torino 2006, p. 11.
[2] E. BERLINGUER, Relazione al Comitato centrale e alla Commissione centrale di controllo del PCI, 7-9 febbraio 1973, in Berlinguer, discorsi 1969-1976, a cura di G. Tomsic, Sarmi, Roma 1976, p. 77.
[3] E. BERLINGUER, Riflessioni dopo i fatti del Cile, in AA.VV., I comunisti italiani e il Cile, Editori Riuniti, Roma 1973, p. 10.
[4] L. BONANATE, Appunti sull'eurocomunismo, Giappichelli, Torino 1978, p. 136.
[5] S. PONS, Berlinguer e la fine del comunismo, cit., p. 35.

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