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L'ascesa della green economy nel dibattito pubblico

Cristian Torri

1. Un cambio di paradigma?

 

L'economia verde, o green economy, è senza dubbio uno dei fenomeni economici e culturali più importanti dall'inizio del secondo millennio. Una filosofia di pensiero che si è tradotta in pratica attraverso la lungimiranza di alcuni governi europei e, soprattutto, la spinta innovativa portata avanti da Barack Obama negli Stati Uniti. Il suo programma riguardo ai temi ambientali rappresenta senza dubbio una svolta rispetto alle politiche adottate in precedenza dagli USA, che dovrebbe servire ad invertire la tendenza di uno Stato che vanta il triste primato di essere tra i maggiori inquinatori del pianeta.

L'impatto mediatico ottenuto dalle proposte di Obama, unito ai risultati raggiunti da coloro che hanno iniziato a perseguire questa strada, assieme all'ormai consolidata consapevolezza della necessità di nuove politiche per la salvaguardia ambientale, hanno dunque consentito una diffusione di queste tematiche anche tra l'opinione pubblica. Un'opinione pubblica per certi aspetti sempre più attenta ai cambiamenti climatici che la circondano, ma anche, in questa complessa situazione di crisi economica mondiale, alle nuove opportunità che possono prefigurarsi attraverso una virata nella direzione delle energie rinnovabili e delle fonti alternative.

In questo senso, il dato chiarissimo che emerge dallo studio del WWF Low Carbon Jobs for Europe[1] è quello che riguarda i posti di lavoro legati alle attività economiche "verdi", quantificabili in circa 3,4 milioni di occupati, di gran lunga superiori a quelli delle industrie inquinanti (2,8 milioni). Un sorpasso che non può lasciare indifferenti e che fa guardare con ancora più attenzione agli sviluppi futuri di questo mercato che, come tutti i grandi settori, ha anche un indotto di grandissimo valore, quantificabile in circa 5 milioni di posti di lavoro.

Tra i rami più sviluppati ci sono l'eolico, il solare fotovoltaico, le biomasse, la mobilità pubblica e il settore edile. Su scala europea, la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, dal 1997 al 2006 è cresciuta infatti su una media annua del 19%, passando da 37,11 GWh a 169,12 GWh[2]. In particolare, a fare il principale balzo in avanti è stato il solare fotovoltaico, con un incremento medio annuo del 56%, tallonato dall'eolico, forte di un aumento annuo del 44%. Un notevole passo indietro lo compie invece l'idroelettrico (-1% di media all'anno, con un passaggio da 294,96 GWh prodotti nel 1997 a 266,72 GWh nel 2006), frenato in questo periodo dalle scarse precipitazioni e dall'aumento delle fonti energetiche alternative. E per capire quanto produrre quantità consistenti di energia elettrica per via fotovoltaica sia tutto sommato semplice, basta dire che con le tecnologie attuali, lungi dall'essere ottimizzate, la superficie del territorio nazionale da ricoprire per soddisfare l'intero fabbisogno elettrico nazionale sarebbe quella di una quadrato con un lato inferiore ai 50 chilometri, ovvero 2400 km2, un'area estesa quanto la provincia di Piacenza[3].

A questi dati si affiancano senza dubbio quelli legati alle ricadute occupazionali. Tra i Paesi con il maggior tasso di occupazione riferito alle professioni verdi figurano Germania, Spagna e Danimarca. Desolante è il quadro che si presenta in Italia, dove una tardiva introduzione di incentivi, ha prodotto appena 1700 posti di lavoro nel fotovoltaico, contro i 42000 della Germania e i 26800 della Spagna; e 3000 addetti nel solare termico contro i 17400 della Germania.

 

 

2. L'esempio della Germania

 

Ma come ha fatto la Germania a ricavarsi questo ruolo di leader mondiale delle fonti energetiche alternative? Il percorso è stato lungo e ha coinvolto in particolare la sfera delle politiche di sostegno e degli investimenti in ricerca e sviluppo. Oltre che, naturalmente, una serie di misure atte a disincentivare l'utilizzo di fonti energetiche tradizionali. Come si legge nel rapporto Global Trends in Sustainable Energy Investment 2009, pubblicato nel programma ambientale delle Nazioni Unite[4], la Germania ha saputo intraprendere impegni a lungo termine, politiche coerenti, oltre ad adeguate strategie di mercato per la diffusione delle rinnovabili. Sono stati erogati prestiti a basso interesse (alcuni offerti attraverso il programma 100000 tetti solari[5]), aiutando così a superare l'ostacolo degli alti costi di capitale iniziale; crediti d'imposta sul reddito derivante dalla produzione di energia pulita; per finire con la misura forse più importante, ovvero una norma di legge (ispirata alla Danimarca), promulgata nel 1990, che ha obbligato le imprese ad acquistare energia elettrica generata da fonti energetiche rinnovabili, stabilendone anche un prezzo minimo. La legge ha così creato certezza per gli investitori e permesso di realizzare economie di scala, nonché di ridurre drasticamente il costo dell'energia. Una serie di misure simili è stata adottata anche dal Giappone, attraverso il programma "New Sunshine".

Al di là di questi casi da manuale, in tutto il mondo, i governi stanno comunque iniziando ad adottare una serie di misure, tra cui feed-in/pricing law; sistemi di quote negoziabili (vedi il cap and trade proposto da Obama[6]), certificati di energia rinnovabile; contributi in conto capitale, sovvenzioni o sconti, gli investimenti delle accise o di altri crediti d'imposta, l'imposta sulle vendite, la tassa sull'energia, o riduzioni sull'imposta sul valore aggiunto (IVA).

Ne consegue che i Paesi che investiranno sui settori rinnovabili e sostenibili saranno quelli che nei prossimi anni risulteranno vincenti in termini di economia nazionale, occupazione e benessere sociale e individuale, con conseguenti vantaggi in termini di riduzione di conflitti e spese sociali. Non deve sorprendere, infatti, che anche alcuni Paesi dell'Asia, come la Cina e l'India stiano puntando decisamente verso le fonti rinnovabili. Il che è testimoniato dal fatto che a fronte di un investimento del continente asiatico di 5,5 miliardi di dollari nel 2005, si è passati a 24,2 miliardi di dollari nel 2008. Cifre che rimangono al di sotto dell'indicatore europeo (17,7 miliardi di dollari investiti nel 2005; 49,7 miliardi di dollari investiti nel 2008), ma di gran lunga superiori (come tasso di crescita) a quelle degli Stati Uniti, passati dai 10,3 miliardi di dollari nel 2005 ai 30,1 miliardi di dollari nel 2008 (32,7 nel 2007, ma il dato è spiegabile con la recessione che ha investito gli USA)[7].

Ecco perché le politiche statali di sostegno allo sviluppo delle energie pulite saranno cruciali nel corso dei prossimi anni, in quanto un sostegno forte e deciso verso questo tipo di comparto eviterà di pagare costi altissimi a livello ambientale, sociale ed economico. E servirà anche per fornire ulteriori basi per una sempre maggiore presa di coscienza da parte delle imprese e di tutto il sistema economico mondiale.

 

 

3. Il caso italiano

 

A conferma di quanto appena detto, basta analizzare il caso italiano, raffigurato nel rapporto 2009 del Centro Studi di Unioncamere. Di fronte ad una crisi economica mondiale che ha costretto tutti a rivedere i piani di crescita per i prossimi anni, oltre che ripensare le strategie di marketing aziendale, il 40,3% delle piccole e medie imprese italiane hanno deciso di puntare su tecnologie per il risparmio energetico e di mitigazione degli impatti ambientali al fine di rilanciare la propria attività[8]. L'attenzione verso la cosiddetta green economy sembra particolarmente accentuata all'interno delle medie imprese, soprattutto del settore alimentare. Più del 50% di queste sta sviluppando o adottando tecnologie e modelli organizzativi eco-compatibili. Dalla ricerca emerge che questa particolare sensibilità è stata espressa proprio dalle imprese meridionali (48,9%). L'interesse non appare solo di natura economica, infatti, nonostante la riduzione dei costi della bolletta energetica sia oggi una priorità, le aziende appaiono consapevoli delle grandi potenzialità legate alle tecnologie verdi, soprattutto alla luce delle politiche intraprese in tale ambito negli Stati Uniti, in Europa e nei paesi più avanzati.

Ecco allora che la nota stonata arriva dalle misure adottate dal Governo Berlusconi in tema di investimenti nel settore energetico. Oltre che privilegiare in toto il rilancio del nucleare, l'esecutivo ha scelto – di fatto – di rimuovere tutti i fondi destinati alle fonti rinnovabili, privilegiando appunto il ritorno dell'atomo in Italia.

La recente manovra finanziaria si è caratterizzata infatti per la chiusura pressoché totale a qualsiasi forma di sviluppo delle energie alternative. In campo energetico taglia 50 milioni di euro di fondi destinati complessivamente al Fondo sull'efficienza energetica (38,624 milioni di euro nel 2009) e agli incentivi per il risparmio energetico (11,587 milioni di euro nel 2009), inoltre non menziona alcuna copertura per la detrazione di imposta del 55% per interventi di riqualificazione energetica degli edifici esistenti. A questo si aggiunge che la finanziaria destina alla tutela dell'ambiente solo 276 milioni di euro (tra Legge Finanziaria e Bilancio 2010), confermando la marginalità del comparto di tutela ambientale e spuntando così le armi ai controlli ambientali.

In campo fiscale, se il Governo Prodi aveva emanato una norma per la detrazione al 55% sulla spesa per montare pannelli solari, installare infissi isolanti o cambiare la caldaia ad alto consumo con una più efficiente, con l'entrata in vigore del nuovo decreto anticrisi varato dal Governo Berlusconi, accedere a questo incentivo sarà molto più complesso. Il decreto prevede infatti che per le spese sostenute dopo il 31 dicembre 2007, i contribuenti debbano inviare all'Agenzia delle entrate, esclusivamente in via telematica, un'apposita istanza per consentire il monitoraggio della spesa e la verifica del rispetto dei limiti di spesa complessivi. Il provvedimento stabilisce ancora che l'Agenzia delle entrate esamini le domande secondo l'ordine cronologico di invio e comunichi entro 30 giorni l'esito della verifica agli interessati. Decorso questo periodo di tempo senza esplicita comunicazione di accoglimento, "l'assenso si intende non fornito" e il cittadino non potrà usufruire della detrazione. Finora il bilancio della norma era stato molto positivo, con un +56% nel settore della caldaie a condensazione (giungo 2007-giugno 2008) e un +42% nei metri quadri di solare termico, dati in controtendenza con altri settori, soprattutto in un momento di difficoltà economica come quello attuale (vedi anche studio di Unioncamere). Ora invece, grazie anche all'introduzione di questa nuova formula del "silenzio dissenso", la mancata comunicazione da parte dell'agenzia delle entrate comporta la bocciatura senza appello (e senza spiegazioni) della richiesta. Questo, molto probabilmente, porterà ad una drastica riduzione delle ordinazioni per le aziende dei settori delle energie alternative, visto che nessuno penserà di ottenere una detrazione che ormai non è più garantita, ma che al contrario diventerà un problema anche tra coloro che pensavano di averla già ottenuta avendo investito nel corso del 2008.

A questo si aggiunge una situazione quasi paradossale per le aziende che operano nel settore dell'energia pulita. Un emendamento del governo alla Finanziaria ha ritoccato il contestato incentivo Cip6 (l'ormai noto sovraprezzo della bolletta elettrica del 6-7% che doveva servire a promuovere le rinnovabili e che, invece, all'atto pratico è stato usato per costruire inceneritori), ma ha aggiunto per tutte le centrali alimentate da fonti rinnovabili di energia un obbligo: se l'impianto non è "programmabile" (cioè se funziona seguendo gli incerti del vento, del sole o della pioggia) deve dotarsi di un impianto di «accumulo di energia» per poter funzionare quando l'energia rinnovabile non è disponibile. Accumulo sotto forma di bacino idroelettrico, o sotto forma dell'energia chimica contenuta nel gasolio, o qualunque altra tecnologia che permette di produrre elettricità quando il vento non fa girare l'elica o la nuvola oscura il pannello fotovoltaico.

Un cavillo che mette in seria difficoltà un settore in grande sviluppo, depotenziandone la possibilità di crescita nel corso dei prossimi anni. A ciò si aggiunge anche l'Ici sugli impianti fotovoltaici a terra, che l'agenzia del Territorio ha classificato come «opifici», assoggettandoli al pagamento dell'imposta (risoluzione 3 del 6 novembre 2008). Il tributo dovuto ai comuni, secondo le stime dei tecnici, arriva a incidere, mediamente, per 13000 euro su ogni megawatt. Un onere aggiuntivo che potrebbe scoraggiare anche gli investitori internazionali, in un settore che ha tassi di rendimento minimi, anche se sicuri nel tempo.

 

 

4. Il nodo dell'energia

 

Perché porre l'accento su tutto questo? Il motivo lo si è visto chiaramente analizzando il caso della Germania, dove avvedute politiche di sostegno alle fonti alternative, iniziate da oltre un decennio, hanno portato e stanno portando a risultati eccezionali, sia in termini occupazionali che di ricadute ambientali. Il successo di un settore come quello delle energie rinnovabili deve avere fondamenta solide sotto il punto di vista legislativo e fiscale, non vive di farraginose misure una tantum, ma premia la capacità di progettare e di portare avanti scelte politiche chiare e coerenti.

L'abbandono di questa strada da parte dell'Italia, evidenziata anche dal fatto che Germania, Giappone, Svezia e Finlandia investono in ricerca e sviluppo per le rinnovabili nel settore privato intorno al 2% del PIL, contro lo 0,5% del nostro Paese, fa suonare un campanello d'allarme per lo sviluppo dell'intero sistema economico nazionale[9].

Secondo l'economista Nicholas Stern «le condizioni di una crescita duratura e sostenibile dipenderanno dall'incisività delle azioni che fin da ora saranno intraprese per la lotta ai cambiamenti climatici»[10]. Ecco perché, nel più generale contesto delle manovre di bilancio preventivate per affrontare la crisi (fiscal stimulus), le quote definite come green stimulusdovranno necessariamente risultare in misura molto consistenti.

L'analisi della dinamica della spesa pubblica in ricerca energetica per i paesi europei negli ultimi anni mette, dunque, indiscutibilmente in rilievo che l'impostazione della nuova politica energetica europea, nel contesto di una visione "globale" che assegna alla tecnologia e al cambiamento tecnologico un ruolo centrale ai fini della realizzazione di uno sviluppo duraturo e sostenibile, si sta costruendo sull'impegno crescente e (laddove già significativo) costante dell'attività dei governi. È un obiettivo ambizioso intorno al quale si è diffusa una crescente consapevolezza e che, naturalmente, deve prevedere un sempre più ampio coinvolgimento di tutti gli attori del sistema economico[11].

Ecco perché, le scelte operate dal governo italiano sui temi energetici appaiono oggi fuori luogo e soprattutto incapaci di fornire una prospettiva di lungo corso al Paese. Se si vuole ipotizzare che il nucleare possa giocare un ruolo rilevante nel sistema energetico mondiale da oggi al 2050, lo scenario dovrebbe mutare radicalmente attraverso la sostituzione di tutti gli attuali 439 impianti presenti sulla Terra per sopraggiunti limiti di età, sostituzione del 50% delle attuali centrali a carbone, copertura del 50% della nuova domanda di elettricità. Questo scenario implicherebbe, su scala mondiale, la costruzione di circa 2500 centrali da 1000 MW ciascuna, ovvero una alla settimana da qui al 2050. Si tratta di uno scenario del tutto irrealistico: non ci sono i tempi tecnici, non si saprebbe dove reperire l'uranio e non esistono depositi adeguati per lo smistamento delle scorie, a cominciare dalle migliaia di tonnellate di plutonio che verrebbero prodotte[12]. Del resto, tutte le analisi più autorevoli riservano al nucleare un ruolo limitato nello scenario energetico futuro: l'Agenzia internazionale per l'energia IEA prevede che nel 2030 esso fornirà il 7% del fabbisogno primario mondiale, una percentuale quasi identica all'attuale. Questi dati rappresentano una sconfitta per una tecnologia che negli ultimi anni ha bruciato oltre il 60% dei fondi per la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie energetiche nei Paesi avanzati.

Occorre dunque rivedere piani e strategie, confrontarsi con il resto dell'Europa per concertare un percorso comune e stabilire chiari step da conseguire attraverso scadenze temporali. Solo in questo modo sarà possibile invertire una rotta che, altrimenti, rischia di portare l'Italia verso una dipendenza energetica totale nei confronti degli altri stati, oltre che far precipitare lo Stato verso una arretratezza tecnologica e di salvaguardia ambientale unica tra i paesi maggiormente sviluppati.



[1] Per l'analisi completa dei dati analizzati si veda http://assets.panda.org/downloads/low_carbon_jobs_final.pdf.
[2] L'ultimo rapporto finanziato dalla Direzione generale energia e trasporti della Commissione europea,  The Impact  of Renewable Energy Policy on Economic Growth and Employment in the European Union     (http://ec.europa.eu/energy/renewables/studies/doc/renewables/2009_employ_res_report.pdf) analizza l'impatto che potranno avere politiche spinte sulle rinnovabili, sia in termini di aumento del Pil che su quello occupazionale.
[3] N. ARMAROLI, V. BALZANI, Energia per l'astronave terra. Quanta ne usiamo, come la produciamo, che cosa ci riserva il futuro, Zanichelli, Bologna 2008.
[4] La relazione completa è presente all'indirizzo internet http://sefi.unep.org/english/globaltrends2009.html.
[5] Il programma di diffusione dei pannelli fotovoltaici prosegue ancora oggi in Germania, consentendo al Paese tedesco di rimanere tra i leader mondiali nella produzione di energia elettrica da fonti alternative (http://www.solarfoerderung.de).
[6] L'Agenzia governativa ambientale degli Stati Uniti ha ufficializzato il sistema del cap and trade, uno strumento innovativo per la riduzione dell'inquinamento, che consente al Governo di fissare gli obiettivi che le industrie devono raggiungere (http://www.epa.gov/captrade/).
[7] Lo studio dell'Unep Global Trends in Sustainable Investments ha evidenziato come i Paesi emergenti stiano puntando decisi verso forme di energia rinnovabile, che consente bassi costi di produzione oltre a benefici in termini ambientali.
[8] La lettura dei dati presenti nel rapporto (http://www.unioncamere.it/index.php?option=com_content&task=view&id=706&Itemid=131) consente di avere un quadro molto preciso di come il comparto produttivo italiano stia attraversando la crisi economica mondiale.
[9] L'analisi della situazione italiana è affidata allo studio di Enea (http://www.enea.it/produzione_scientifica/pdf_volumi/V2009_REA2008_Analisi.pdf).
[10] N. STERN, A Blueprint for a Safer Planet – How to Manage Climate Change and Create a New Era of Progress and Prosperity, The Bodley Head Ltd. (2009); O. EDENHOFER, N. STERN, Towards a Global Green Recovery – Recommendations for Immediate G20 Action, Report submitted to the G20 London Summit, 2 April 2009.
[11] Clean Energy Technologies: ricerca pubblica e nuove opportunità di mercato, dal rapporto ambiente 2008 di ENEA.
[12] N. ARMAROLI, V. BALZANI, Energia per l'astronave Terra. Quanta ne usiamo, come la produciamo, che cosa ci riserva il futuro, cit.
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