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Quando cammino lungo il fiume

Mario Garuti

Amo alcune musiche più di altre, come prediligo leggere e rileggere alcuni libri, fumetti, o lasciarmi incantare dagli stessi quadri, film, video e installazioni. Ma questa mia indole abitudinaria è sempre stata accompagnata dal vitale bisogno di appassionarmi al nuovo.
Ho sempre desiderato.
Al contrario, le opinioni sull'arte, i discorsi sulla musica e la sua fruizione, mi hanno sempre annoiato, con l'eccezione di alcune storiche dissertazioni sull'argomento. Le opinioni rivelano spesso approcci superficiali utili solo a rendersi visibili. Preferisco usare le cose più che parlarci sopra.
Del resto anch'io opino e uso questo testo come pretesto per ri-flettere. Riflettere la mia immagine, apparire e scomparire subito dopo.
Dovrei pensare a qualcosa di sensato. Per far questo devo fermarmi, uscire dal flusso degli eventi per meglio coglierne lo scorrimento. È un momento oscillante, affidato al capriccio di infinite variabili. Tutto questo rende incerto il risultato, ma è necessario osservare attentamente ciò che si vuole descrivere, essere a lui contemporanei.
Per Agamben «appartiene veramente al suo tempo solo colui che non coincide perfettamente con esso né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo senso, inattuale; ma [...] proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo, egli è capace più degli altri di percepire e afferrare il suo tempo [...]. Coloro che coincidono troppo pienamente con l'epoca, che combaciano in ogni punto perfettamente con essa, non sono contemporanei perché, proprio per questo, non riescono a vederla, non possono tenere fisso lo sguardo su di essa».
Essere contemporanei significa quindi soprattutto pensare.
Tutto ciò che è contemporaneo, musica compresa, dovrebbe avere questo tratto distintivo di "tenere fisso lo sguardo" sull'epoca a cui appartiene.
Da un lato è chiaro che la maggior parte della gente che aderisce ciecamente alla consuetudine non potrà facilmente avere una attenzione verso una musica che si definisce "contemporanea" nell'accezione chiarita sopra, né men che meno avvertire il bisogno di desiderarla. Dall'altra parte noi compositori, come molti artisti, siamo così talmente ben inseriti nel sistema di vita borghese-consumista che è difficile definirci "contemporanei". Combaciamo troppo con l'epoca in cui viviamo, ma non lo ammettiamo e ci meravigliamo se non siamo poi riconosciuti dalla società stessa in cui viviamo. Ci dibattiamo alla ricerca di un punto di equilibrio dinamico che possa evidenziare la nostra cifra stilistica evitando però di allontanarci troppo dal consenso del pubblico. La "musica contemporanea" diventa un crinale molto sottile, paradossale quasi quanto il "libero arbitrio".
L'avanguardia è vissuta come una malattia adolescenziale che passa naturalmente con il tempo, senza che si riesca però a riempire il conseguente vuoto intellettuale con una sorta di ecologia culturale che ci faccia riappropriare del suono, del ritmo e della narrazione.
Ad esempio alcuni compositori indicano come tratti distintivi nelle proprie opere delle modalità operative in verità poco pertinenti con la comunicazione, ma altisonanti, come ad esempio la serie di Fibonacci (1,1,2,3,5,8 e via dicendo) utilizzata per garantire coerenza formale.
La stessa pertinenza la potrei riscontrare se dovessi usare la serie di Fibonacci per vestirmi: le mutande me le cambio tutti i giorni, le calze anche, a volte ogni due giorni, la maglietta ogni tre e i pantaloni ogni cinque, otto i giorni per l'eventuale maglione e tredici per il giaccone (le camicie ho smesso di metterle quando mi sono stufato di stirarle).
La serie, ampiamente riconosciuta in natura, sarebbe bello scoprire di averla utilizzata "a posteriori" come risultato naturale dell'opera.
Proust scrive: «quando si lavora per piacere agli altri si può non raggiungere lo scopo, ma le cose che si compiono per far piacere a noi stessi hanno sempre la probabilità di interessare qualcuno».
Occorre avere qualcosa da dire e saperlo dire molto bene, in modo storicamente consapevole, infine avere garantite delle esecuzioni altamente professionali. È tutto.
Fortunatamente in molti casi questo avviene.
Va da sé che cattive interpretazioni, inconsapevolezza storica, artigianato scarso e carenza di idee deteriorano il rapporto con l'ascoltatore. Il pubblico va sì educato a una recezione più critica, ma non è così stupido da amare soffrire gratuitamente!
Prendiamo atto anche che lo stato attuale di incomunicabilità, soprattutto in Italia, ha la sua causa principale nell'incapacità della scuola di educare alla musica i ragazzi sin da quando sono piccoli, e dall'operato poco lungimirante dei media e delle strutture pubbliche musicali, strutture decrepite e vanitose, veri e propri sistemi chiusi.
Inoltre oggi è difficile trovare un riferimento unico e aureo del bello o del piacere estetico. Tutte le correnti artistiche e musicali coesistono nella più totale indifferenza.
Il secolo scorso ha liberato forme, suoni, concezioni estetiche di ogni tipo, tutte le culture e tutti gli stili si sono mescolati. Attraverso un'iperestetizzazione generale si è prodotta così una diffusa anestetizzazione individuale. Attraverso i media, l'informatica, i siti, siamo diventati tutti creativi in potenza ma impotenti in atto.
O meglio, non si è persa la capacità di criticità, ma bensì si è ristretto il campo del piacere.
Vivere con piacere il campo infinito del possibile significa comprendere che tutto ha una sua ragione d'essere.
Al contrario, una recezione molto limitata della cultura, ma non solo di questa, comporta uno scambio energetico asfittico che ci fa sopravvivere più che vivere. Il campo d'azione del piacere si restringe e le nostre azioni/reazioni diventano solo compulsive.
Qual è il nesso tra il senno e il senso?
Il vestito corto e leggero, l'armonia delle proporzioni, il seno contenuto e sodo, i fianchi sinuosi, l'evidente licenziosità di un fondo schiena generoso, le capacità attrattive dei suoi movimenti, i suoi capelli ambrati e lisci che cadono sulle spalle... il suo sguardo, seducente, antico... che ti travolge. Un sottofondo musicale appropriato.
Il fascino di sempre. Puoi avere diciott'anni o novanta, non cambia nulla... e ti trovi a casa, nella migliore delle ipotesi, il tuo terzo tritaverdure.
La pubblicità lo sa molto bene. Questi corpi e questi suoni sono ostentati vicino a macchine, divani, detersivi, biscotti e altro.
Da quando arte e musica hanno trovato una loro funzione nella promozione commerciale, il rapporto con la creazione artistica è mutato radicalmente e una parte della cosiddetta arte o musica pura, non applicata (ma esiste?), ha reagito in modo reazionario bandendo la seduzione dalla propria sintassi, preferendo educarci all'ascolto critico. Tra questi due estremi, seduzione ed educazione, si è consumata l'orgia creativa durante il secolo scorso.
Baudrillard descrive lo stato attuale delle cose come una situazione post-orgiastica. L'orgia è stato il momento esplosivo della modernità, quello che ha visto ogni tipo di apparente liberazione.
Liberazione politica, sessuale, dell'inconscio, religiosa e ovviamente artistica dove è stato assunto a modello di rappresentazione tutto il possibile. Una volta ho scritto che necessario è ciò che emoziona. Mi piacerebbe pensare che oggi ci si possa emozionare con tutto ciò che è possibile e che accade senza annichilire per questo il senno.
Esiste una gerarchia tra i vari generi artistici o musicali? Occorre stabilirla? Io non sono interessato a questo giochino.
La logica del senso mi fa pensare che è l'uso dell'arte a determinarne il valore. Una volta capito questo, posso prendermi la libertà di giudicare una musica cattiva o buona: giudizio soggettivo su quello che penso fatto bene o male, ma me ne guarderò bene da ritenere Topolino meno importante di un testo di Heidegger, o Stockhausen più intelligente dei Beatles.
Questo tipo di giudizio non ha senso. È sterile. Ogni evento ha la sua ragione d'essere ed è funzionale al suo uso.
Se degli eventi sociali passano per creazioni artistiche è solo perché una certa comunità ha deciso di considerarli tali (basti pensare ai ready made di Duchamp o alle performance cageane); da qui, come sostiene Goodman, è più pertinente porsi la domanda di "quando ci sia arte" che non quella di "che cosa sia arte".
Una parte della musica, come dell'arte, nelle avanguardie del secolo scorso, ha rivelato una natura più filosofica che sensoriale. Ha anestetizzato la dimensione sensibile trasformandosi sempre più in una riflessione sul proprio stato di esistenza. Questo accadeva ormai molti anni fa.
Oggi occorre riconoscere i diversi usi che si fanno della musica e capire in quale ambito si sta agendo. Se si vuol fare della filosofia con la musica, si dovrà anche essere consapevoli delle conseguenze in termini di ascolto. Consideriamo inoltre che l'utilizzo di quello che si scrive non dipende unicamente dall'autore, né la sua interpretazione che può differire molto sia in senso positivo che negativo rispetto all'idea che si era fatta il compositore.
Più che un'entità simbolica a sé, l'opera d'arte rientra in una rete complessa di relazioni che ne determineranno l'uso e il suo valore; e le relazioni hanno a che vedere con le emozioni.
Che cosa emoziona? La percezione che ogni cosa sia nel posto giusto al momento giusto.
Tutto può emozionare, basta sapere cogliere ogni più labile respiro o movimento vitale come funzionale all'interno dell'infinito puzzle che è il mondo. Ogni evento ha il suo tempo. Bisogna saper aspettare e allora cogliere la mirabile cifra e ragione di tutto.
Penso che occorra semplicemente educarsi al piacere di consumare ogni tipo di musica. È l'uso delle cose che le valorizza. Qual è l'uso della musica contemporanea? Posso essere d'accordo che chi la scriva non si ponga il problema, ma occorre anche ammettere che se ne dovrà subire le conseguenze.
Ancora Baudrillard chiede: «che fare dopo l'orgia? Non ci rimane che simulare ciò che c'è già stato. Ed ecco che viviamo nella riproduzione indefinita di ideali, di fantasmi, di immagini, di sogni che sono ormai dietro di noi e che dobbiamo tuttavia riprodurre in una sorta di indifferenza fatale».
Meglio l'astinenza.
A un possibile spirito, ente, energia, qualcuno onnipotente, capace di ascoltare e a cui poter rivolgere un desiderio, vorrei far sentire la mia voce per chiedere, anzi pretendere "chiarezza".
Chiarezza per poter discernere. Onniscenza per limitare i danni del libero arbitrio.
Del libero arbitrio non so che farmene; rivendico l'attivazione della mia natura divina.
Se la cifra dell'essere umano è il dubbio, non fatemi credere che questo possa essere nominato come libero arbitrio! Lasciatemi brancolare nel buio senza essere costretto a scegliere.
Lasciatemi camminare lungo il fiume e, attraverso differenti moti dell'aria, sentire i variabili umori delle stagioni, gli intensi profumi, o anche gli sgradevoli ma riconoscibili odori della natura. I canti, i suoni, sempre al posto giusto e al momento giusto, come quello da bordone, ineluttabile, profondo, dello stesso sinuoso corso d'acqua.
Lasciatemi accogliere tutto questo senza dover per forza scegliere che cosa è meglio e che cosa è peggio. Voglio seguire una logica del senso, o meglio il nesso tra il senno e il senso. Lasciatemi ac-cogliere i tempi di tutti gli eventi e gli eventi di tutti i tempi.

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