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L'universo concettuale della sicurezza:
note sul recente dibattito

Thomas Casadei
I valori che vengono sovente invocati per legittimare le azioni degli uomini e dei governi sono spesso concepiti come potenzialmente antagonisti: un eccesso di libertà genera, anziché ordine sociale, anarchia (in Platone); un eccesso di eguaglianza genera, anziché libertà, tirannia (della maggioranza: in Alexis de Tocqueville e in altri filosofi liberali). Il valore che sta ora occupando un grande spazio pubblico di considerazione è quello della sicurezza: e si parla dunque di uno scambio tra libertà e sicurezza[1], quando si chiedono leggi speciali per far fronte alla minaccia del terrorismo internazionale[2], o quando si mettono in tensione diritti individuali (compreso quello alla privacy) e sicurezza nazionale[3]; ci si interroga sulla relazione tra sicurezza ed efficienza; o ancora si ricorre allo stesso concetto quando si tratta di regolare l’uso dei nuovi media e delle nuove tecnologie (o di comprendere le ambivalenze delle «tecnoscienze»[4]), nonché di ripensare gli spazi urbani[5], di dare corpo ai diritti dei migranti e all’integrazione.
In realtà, naturalmente, il tema della sicurezza è antico: esso corrisponde ad aspetti fondamentali della condizione umana, alla nostra condivisa vulnerabilità ed esposizione al rischio, nozioni queste ultime che stanno catalizzando progressivamente l’attenzione di chi si occupa dei processi e delle trasformazioni sociali[6], nonché delle specifiche questioni concettuali e lessicali che li accompagnano.
Già nella sfera soggettiva studiata dalla psicologia, l’uomo «insicuro» può essere affetto da una patologia specifica, la timidezza, per cui sicurezza è una nozione afferente alla sfera primaria della salute psichica.
Il sapere e la tradizione religiosa hanno sempre offerto una risposta alla umana «mancanza di sicurezza» (e alle paure da questa generata[7]), proponendo certezze, naturalmente, e in certi casi offrendo riparo da un mondo considerato disordinato e ostile: certamen certavi, cursum consumavi, citavano le novizie che trovavano un sicuro riparo dalle insidie del secolo nel chiostro di un convento.
La grande tradizione della filosofia politica e giuridica moderna nasce con il tema della mancanza di sicurezza dello stato di natura, che richiede la costruzione di un ordine artificiale, l’ordinamento giuridico-politico, capace di assicurare la prevedibilità dei comportamenti, la certezza delle aspettative, la fissità rassicurante delle regole[8] – in sintesi, l’universo concettuale della sicurezza è strettamente connesso con lo Stato moderno e le sue configurazioni[9].
Sicurezza è diventata nozione forte nei tempi più recenti per via dei due fenomeni congiunti della globalizzazione, da una parte, e delle nuove tecnologie, dall’altra. Avviene allora che temi che una volta sarebbero stati declinati in termini di «ordine pubblico» vengono ora concettualizzati come problemi di sicurezza sia con riguardo alla microcriminalità urbana sia con riguardo al terrorismo; questioni fondamentali tradizionalmente afferenti alla «giustizia sociale» vengono percepite come problemi di sicurezza (a partire dal posto di lavoro, in fabbrica ma non solo, e dalle più generali politiche di welfare[10]) così come alla sicurezza e alla sua grammatica rinviano le recenti crisi economiche[11]; riflessioni sui diritti soggettivi alla privacy, nonché sull’affidabilità in questo senso delle più recenti tecnologie informatiche, vengono discusse nell’arena pubblica come inerenti alla sicurezza e a questo riguardo vengono approvate normative, convenzioni, nuovi provvedimenti e regole che mutano gli scenari anche costituzionali.
La sicurezza sta in pratica diventando il punto di vista, il catalizzatore semantico, dal quale si concettualizzano molti degli altri valori ai quali si fa riferimento per legittimare una policy o una direzione decisionale[12]: sia che si tratti di questioni ecologiche, di energia più o meno “sicura”, che di affrontare la sfida dei fenomeni migratori[13] che stanno rapidamente cambiando il volto demografico del Paese; sia che si tratti di pensare alle città, ai nuovi conflitti e agli attori sociali[14], che – ancora – alle politiche sociali, nonché di controllo[15], che riguardano le persone che le abitano.
Per questo motivo, il termine/concetto sicurezza è uno dei nodi cruciali che la cultura contemporanea affronta con i suoi saperi complessificati[16]; esso è un fuoco privilegiato nel vocabolario della discussione pubblica ma anche, più in specifico, mediatica[17]. Il riferimento ai concetti di sicurezza e insicurezza è sempre più insistente in questo spazio di discorso ove è divenuto un frame egemone, se non addirittura dominante, fino a sovvertire – come avviene nel nostro paese – l’ordine di priorità tra dato statistico dei crimini commessi e percezione sociale della sicurezza oppure fino ad assorbire, entro la sua potente sfera semantica, problemi originati da altri processi (come, ad esempio, i fenomeni della precarietà). L’Italia è di gran lunga il paese dove si muore di più sul lavoro, quasi il doppio della Francia, il 30% in più rispetto a Spagna e Germania: nel 2007 hanno perso la vita 1.170 operai e si sono verificate più morti bianche che omicidi, così come – prestando attenzione ad un altro versante – i decessi in incidenti stradali sono stati otto volte più numerosi degli omicidi. Ma il sistema mediatico e le autorità sono concentrate sulla criminalità, specie quella micro, lasciando ai margini le cause profonde dell’insicurezza: emerge così la questione centrale del rapporto tra sicurezza effettiva e percezione della sicurezza.
Eclatante, a questo riguardo, è il caso di Roma: un’indagine del Censis – da cui ha preso le mosse il World Social Summit del 24 settembre 2008 – rileva come l’urbe sarebbe «la città più spaventata del mondo». In realtà i maggiori timori riguardano però soprattutto la precarietà lavorativa ed esistenziale, come mostrano alcuni dati di una ricerca Ires CGIL del 2008: il 75% dei lavoratori del commercio è precario, come l’87% degli insegnanti e il 57% degli impiegati. Anche nelle fabbriche, stante la stessa ricerca, ormai il 50% degli operai lavora a tempo, e nelle professioni e nella ricerca la quasi totalità degli under 35 non ha alcuna stabilità[18].
Alla sicurezza, al rischio, alla vulnerabilità, si accompagna una parola chiave, anch’essa centrale del lessico politico a cominciare da Hobbes: la paura. Nel dilagante senso di insicurezza, come è stato osservato[19], «si nutrono a vicenda due paure. Una paura reale, concreta, connessa alla socialità e alla sopravvivenza, e una paura strisciante che tocca il significato dell’essere e della sua individualità. La contaminazione tra le due paure è costante, particelle si incontrano, si influenzano, si mescolano fino a produrre una paura ancora maggiore, che esplode nell’immaginario».
La paura di perdere il lavoro, o di non trovarlo affatto (che sta all’origine dell’insicurezza delle nuove generazioni), la paura di non avere un’identità sociale, la paura di ciò che è sconosciuto e diverso – da cui si origina, sulla base di stereotipi e pregiudizi, l’odio per lo straniero[20], per il migrante[21], nonché il «ritorno della razza» nel discorso pubblico[22] e il riesplodere del razzismo –, la paura di non essere omologati, ovvero riconosciuti, e quindi di vivere la solitudine e di essere alla «mercé dei rischi»[23], sono tutte facce dell’enorme incertezza che pervade l’uomo nell’«età della globalizzazione»[24]. Incerto e insicuro, pauroso e timoroso, ansioso e angosciato.
Non si tratta solo di una questione teorica. L’insicurezza colpisce in concreto, in corpore vili, si tramuta in violenza, odio, frustrazione, avvilimento, depressione. Si difende così senza scrupoli il territorio in modo egoistico, si respingono gli sconosciuti, ci si arma: la «fabbrica della paura»[25] e «la fabbrica dell’insicurezza»[26] fabbricano violenza, dal contesto urbano a quello globale.
Insicurezza, paura, incertezza si saldano chiamando così in causa, per converso, la necessità, da un lato, di mettere in atto strumenti di analisi multi e interdisciplinari, dall’altro di pensare a strategie che colgano le cause dell’insicurezza e sappiano suggerire politiche di sicurezza, senza esserne divorati e senza cadere nella logica della mera percezione che detta e orienta l’azione.
Sicurezza è dunque termine complesso che rimanda alla difesa da pericoli o aggressioni esterne, ma anche all’esigenza di stabilità interna, sia sul versante della prevenzione dei reati sia – aspetto oscurato negli ultimi decenni, dopo essere stato quello saliente – su quello della sicurezza sociale[27]. È sia security, ovvero «sicurezza esistenziale», sicurezza sostenibile e cura razionale dei progetti di vita dei cittadini, sia safety, ovvero «incolumità», vera e propria difesa degli stessi cittadini e delle istituzioni che li rappresentano[28]. Ma per perseguirne i fini, e non incorrere in assai pericolose deformazioni della realtà, occorre mettere in atto un approccio “olistico”, o “integrato”, che colga appieno le diverse forme di sicurezza (e insicurezza), le loro correlazioni con altri fattori, le loro tensioni con altri elementi (in primis i diritti fondamentali delle persone). Solo adottando un tale approccio, ci pare, si può cercare di far uscire la sicurezza da quel ventre oscuro che è il suo habitat naturale ed evitare che derive securitarie non facciano altro che alimentare nuova insicurezza, che la paura sia la soluzione, o addirittura un «investimento politico»[29], che la sicurezza stessa diventi un’ossessione.


[*] Il presente contributo, così come parte della progettazione della sezione, nasce nell’ambito delle attività svolte all’interno del C.R.I.S. – Centro di Ricerca Interdipartimentale sulla Sicurezza dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Devo ad una conversazione con Gianfrancesco Zanetti la messa a punto dell’intelaiatura concettuale dell’articolo. Alcune idee qui sviluppate sono state presentate, in forma ancora embrionale, in due lezioni seminariali su Sicurezza, paura e vulnerabilità nella società del rischio, nell’ambito del corsodi Sociologia del diritto (Prof. Francesco Belvisi) il 28 e 29 novembre 2007 presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Modena e Reggio Emilia, e in un intervento su Vulnerabilità e sicurezza sociale: percorsi di ricerca nella tavola rotonda dedicata al tema della sicurezza entro un approccio “olistico” promossa dal C.R.I.S. presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Modena e Reggio Emilia il 22 luglio 2008. Ringrazio il Prof. Michele Colajanni per avermi stimolato ad approfondire alcuni nodi decisivi legati alla sicurezza e a mettere a punto un metodo di indagine congruo ad una nozione così complessa e sottoposta, in tempi recenti, ad una articolata risemantizzazione.
[1] Si veda, a titolo esemplificativo, M. WALZER, Libertà e sicurezza, Laterza, Roma-Bari 2006. Cfr., anche, P. CERI, La società vulnerabile. Sicurezza e libertà, Laterza, Roma-Bari 2003; J. WALDRON, Security and Liberty: The Image of Balance, in “Journal of Political Philosophy”, n. 2, 2003, pp. 191-210.
[2] Che il potere politico debba trasformarsi stabilmente di fronte all’emergenza è stato riconosciuto a volte anche nella cultura liberal, come attesta l’opera di B. ACKERMAN,La costituzione d’emergenza:come salvaguardare libertà e diritti civili di fronte al pericolo del terrorismo (2004), prefazione a cura di A. Ferrara, Meltemi, Roma 2005.
[3] Attorno a questo nodo si vedano, tra altri studi, i contributi di P. MARCONI, Dalla libertà alla sicurezza; A. PINTORE, Le due torri: diritti e sicurezza ai tempi del terrore; T. PITCH, La guerra preventiva: prevenzione e sicurezza; G. REBUFFA, Vi sono veramente derive totalitarie?, raccolti in Filosofia giuridica della guerra e della pace, a cura di V. Ferrari, FrancoAngeli, Milano 2007, rispettivamente alle pp. 269-278, 279-310, 311-316, 317-320 (ma di Pitch si veda, più ampiamente, La società della prevenzione, Carocci, Roma 2006). Sulla national security americana si veda M. DEL PERO, «Sicurezza nazionale»: il caso degli Stati Uniti, in “Contemporanea. Rivista di Storia dell’800 e del ’900”, n. 4, 2008, pp. 713-718.
[4] Cfr. M. NACCI, La paura che viene dalla tecnoscienza, in “Contemporanea. Rivista di Storia dell’800 e del ’900”, n. 4, 2008, pp. 732-738.
[5] Sulle politiche della sicurezza con riferimento alla configurazione degli spazi si veda P. MARCONI, Spazio e sicurezza. Descrizione delle paure urbane, Giappichelli, Torino 2004.
[6] Basti qui citare gli studi di U. BECK sulla «società del rischio» (da ultimo Conditio humana: il rischio nell’età globale [2007], Laterza, Roma-Bari 2008) o le tesi di Z. BAUMAN formulate in numerose opere dedicate alle nuove dimensioni dell’«insicurezza» (da ultimo: Paura liquida [2006], Laterza, Bari-Roma 2008), o ancora lo studio di W. SOFSKY, Rischio e sicurezza (2005), Einaudi, Torino 2005.
[7] Si veda, in proposito, il classico J. DELUMEAU, Il peccato e la paura. L’idea di colpa in Occidente dal XIII al XVIII secolo (1983), il Mulino, Bologna 1987. Cfr. anche Id., Rassicurare e proteggere (1989), Rizzoli, Milano 1992.
[8] Su questo aspetto costitutivo della modernità politica, paradigmaticamente rappresentato dalla riflessione di Thomas Hobbes, si è soffermato di recente D. FISICHELLA, Alla ricerca della sovranità. Libertà e sicurezza in Thomas Hobbes, Carocci, Roma 2008. Di un ritorno ad Hobbes, e di una «nuova cultura hobbesiana» tratta il contributo sopra citato di P. Marconi.
[9] Si possono inserire in questo contesto anche le letture della «domanda politica di sicurezza» nel corso dell’Ottocento e del Novecento messe a punto dalla biopolitica: cfr. A PETRILLO, Sicurezza, in R. BRANDIMARTE, P. CHIANTERA-STUTTE, P. DI VITTORIO, O. MARZOCCA, O. ROMANO, A. RUSSO, A. SIMONE (a cura di), Lessico di biopolitica, Manifestolibri, Roma 2006, pp. 292-293.
[10] Un riferimento importante sono, sotto questo profilo, i lavori di R. CASTEL, del quale si veda L’insicurezza sociale. Che significa essere protetti (2003), Einaudi, Torino 2004.
[11] Sulle quali si veda A. VOLPI, Dalla sicurezza del mercato artificiale al rischio epidemico. La stagione della crisi finanziaria, in “Contemporanea. Rivista di Storia dell’800 e del ’900”, n. 4, 2008, pp. 698-705.
[12] Sulle trasformazioni del concetto in correlazione con «gli aspetti organizzativi dell’apparato statuale (funzioni di polizia)» ma anche con la forma contemporanea assunta dalla «politica come politics», si veda A. PETRILLO, Sicurezza, cit., pp. 289-294. Cfr. anche N. LABANCA, Sicurezza, in M. FLORES, Diritti umani. Cultura dei diritti e dignità della persona nell’epoca della globalizzazione, 2 voll., Utet, Torino 2007, vol. II.
[13] Sulla connessione tra perdita di sicurezza esistenziale, logiche della paura e fenomeno migratorio ha di recente scritto pagine illuminanti Z. BAUMAN: si veda L’odio per lo straniero nasce dalla paura, in “La Repubblica”, 29 settembre 2008. Si tratta di un’anticipazione dalla Prefazione del filosofo polacco al volume di L. DONSKIS, Amore per l’odio. La produzione del male nelle società moderne, Erickson, Gardolo (TN) 2008.
[14] Un lavoro pionieristico a questo proposito è stato svolto, a metà degli anni Novanta, dagli enti locali dell’Emilia Romagna con il progetto “Città sicure”: sul punto C. BRACCESI, Lo sviluppo delle politiche di sicurezza, in R. SELMINI (a cura di), La sicurezza urbana, il Mulino, Bologna 2004.
[15] A questo riguardo il riferimento imprescindibile è agli studi di David Garland.
[16] Per un quadro recente, con riferimento alla letteratura italiana, si veda F. BATTISTELLI, La fabbrica dell’insicurezza, FrancoAngeli, Milano 2008, parte I – cap. I: “Sicurezza, sicurezze”, e cap. II: “Il volto multiforme della sicurezza. Teorie, concetti, ricerche”.
[17] Sul punto si vedano M. BELLUATI (a cura di), L’in/sicurezza nei quartieri. Media, territorio e percezioni d’insicurezza, FrancoAngeli, Milano 2004, e, più di recente, F. TONELLO, La sicurezza nei mass media, in “Contemporanea. Rivista di Storia dell’800 e del ’900”, n. 4, 2008, pp. 706-713. Sempre sulla percezione della (in)sicurezza connessa ai media si veda la seconda edizione dell’indagine Demos, “La sicurezza in Italia: significati, immagine e realtà”, curata da I. DIAMANTI per la Fondazione Unipolis in collaborazione con l’Osservatorio di Pavia: http://www.fondazioneunipolis.org/SiteCollectionDocuments/2008_Unipolis_Report_cover2.pdf.
[18] Si veda in proposito J. BUFALINI, Roma ha paura, ma soprattutto del futuro, in “l’Unità”, 24 settembre 2008. Per un’articolata disamina si veda ora F. BATTISTELLI, La fabbrica della sicurezza, cit., parte II “La sicurezza e la città: il caso di Roma”, pp. 93-187.
[19] V. VIGANÒ, Quando vince la paura, in “l’Unità”, 24 settembre 2008. Cfr., anche, L. NARDI, Il senso di insicurezza, in M. BARBAGLI (a cura di), Rapporto sulla criminalità in Italia, il Mulino, Bologna 2003, pp. 525-554.
[20] Si veda, a titolo esemplificativo, Z. BAUMAN, L’odio per lo straniero nasce dalla paura, cit.
[21] Si vedano, da ultimo, i saggi di S. BONI, Stereotipo, valore, discriminazione: considerazioni socio-antropologiche e F. OLIVERI, La critica dei pregiudizi sui migranti come strategia contro le discriminazioni razziali, in TH. CASADEI (a cura di), Lessico delle discriminazioni: tra società, diritto e istituzioni, Diabasis, Reggio Emilia 2008, rispettivamente alle pp. 23-41 e 73-94.
[22] Cfr. É. BALIBAR, Le retour de la race: un“cosmopolitisme inversé”? Entretien avec Th. Casadei, in “Cosmopolis”, n. 1, 2007, pp. 125-141:http://www.cosmopolisonline.it/20070705/balibar.html.
[23] Per un’attestazione di questo processo, nel nostro paese, si veda il Rapporto sullo stato sociale 2008, a cura di F.R. PIZZUTI, Utet, Torino 2008, ove sono messe a fuoco le cause dell’«incertezza pervasiva» e «il tendenziale slittamento dei rischi sociali dalla collettività all’individuo».
[24] Si veda al riguardo E. PULCINI, Paura globale. Trasformazioni della paura nell'età della globalizzazione, in S. MAFFETTONE, G. PELLEGRINO (a cura di), Etica delle relazioni internazionali, Marco, Cosenza 2004, pp. 91-110.
[25] Così C. MASINA BURAGGI, La fabbrica della paura, in “il Margine”, n. 6, giugno 2008, pp. 18-24.
[26] Cfr. I. DIAMANTI, Come si fabbrica l’insicurezza, in “La Repubblica”, 23 novembre 2008.
[27] Su questo snodo si veda G. SILEI, Sicurezza e insicurezza sociale, in “Contemporanea. Rivista di Storia dell’800 e del ’900”, n. 4, 2008, pp. 687-698. Per una «prospettiva integrata» che tiene insieme «sicurezza sociale» e quella che viene definita «sicurezza strategica» (espressione ritenuta più appropriata rispetto a quella di «sicurezza civile» di Castel), si veda F. BATTISTELLI, La fabbrica della sicurezza, cit., pp. 18-28.
[28] Queste due dimensioni della sicurezza, cui ne viene affiancata una terza (quella della certainty, ovvero della certezza cognitiva), sono state tratteggiate da Bauman in La solitudine del cittadino globale (1999), Feltrinelli, Milano 2000.
[29] B. SPINELLI, Il villaggio della paura, in “La Stampa”, 27 aprile 2008. L’articolo prende spunto dal volume di L. MUCCHIELLI (sous la direction de), La frénésie sécuritaire. Retour à l'ordre et nouveau contrôle social, La Découverte, Paris 2008. Della stessa Spinelli si veda Il valzer della paura, in “La Stampa”, 6 luglio 2008.
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