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Il tema della sicurezza e il nuovo terrorismo in Italia

Valter Bielli
1. Premessa
 
Il terzo millennio contrassegnato dalla fine della guerra fredda, dalla caduta del muro di Berlino pareva l’inizio di una nuova era in cui al conflitto si sostituiva la stagione della cooperazione, della riduzione degli armamenti, di un nuovo mondo pacificato e foriero di sviluppo, di lotta alla fame, di maggior benessere per gli uomini e per la salvaguardia dell’ambiente. Lo scenario attuale è assai diverso da quello ipotizzato ed enormi sono i rischi per la pace, messa a dura prova da guerre locali che chiamano in causa le grandi potenze e mai, dalla fine della seconda guerra mondiale, il mondo è così insicuro.
Una insicurezza accresciuta dalla finitezza delle materie prime e dalla paura delle grandi potenze di perderne il controllo, intrisa da radicalismi religiosi che si accompagnano in un mondo globalizzato a migrazioni che lasciano poco spazio ad integrazioni multietniche quanto invece alla proposizione di microconflitti e turbative fra gruppi, etnie, nonché tra costumi, tradizioni, interessi non sempre collimanti a cui la politica non è ancora riuscita a dare risposte convincenti.
Non è tema di questo scritto affrontare il contesto internazionale che pur incide e spesso determina le dinamiche locali sulla sicurezza e sui rischi del terrorismo, pertanto l’attenzione è soprattutto centrata sul fenomeno nazionale, con osservazioni che riguardano – in specifico – le questioni del nuovo terrorismo.
 
 
2. Stragismo e terrorismo
 
La sicurezza non pare oggi essere messa a rischio da quel fenomeno terroristico nostrano che ha contrassegnato la storia del nostro paese, anche se sbagliato sarebbe il pensare che il terrorismo sia stato completamente sradicato e che non desti più alcun pericolo. Già in passato ci sono state sottovalutazioni che poi drammaticamente ci hanno richiamato una realtà dei fatti ancora intrisa di dolore e di sangue.
In Italia lo stragismo e il terrorismo non sono stati accadimenti nati da gesti folli, ma hanno risposto sempre a precisi disegni politici. Voglio a tal fine ricordare come la prima e assai cruenta strage del nostro paese avvenne oltre sessanta anni fa il 1 maggio 1947 con 12 morti e 27 feriti a Portella della Ginestra, in Sicilia, eseguita dal bandito Salvatore Giuliano su commissione dei circoli reazionari filo-atlantici in combutta con i neofascisti di casa nostra.
Da allora fino ai giorni nostri stragismo e terrorismo hanno segnato la storia del nostro paese e la divisione del mondo seguita a Yalta, la nostra collocazione internazionale, il ruolo dei servizi segreti occidentali e orientali nonché quelli di casa nostra, non sempre sono stati estranei a tali vicende. Il fenomeno dello stragismo e del terrorismo è stato connaturato al dato della lotta politica nel periodo della guerra fredda. È stato utilizzato, a volte foraggiato, coperto, sempre monitorato, infiltrato e quando ritenuto “necessario” favorito nella sua direzione operativa.
Semplificando si può affermare che russi e americani interessati a mantenere l’equilibrio esistente nei rispettivi campi d’influenza legittimassero reciprocamente tutto quanto era ritenuto utile ad impedire qualsiasi cambiamento che potesse turbare l’assetto esistente. Quella divisione del mondo che bloccava autonomia e sovranità nazionale andava bene alle due superpotenze, garantiva loro il controllo completo nel proprio blocco di appartenenza.
Molte vicende, ancora oggi, debbono essere valutate alla luce di questo dato inoppugnabile: gli esempi più eclatanti riguardano la rivolta in ungherese del 1956 repressa dai carri armati russi con gli Stati Uniti spettatori passivi, l’ostilità del patto di Varsavia al compromesso storico e gli attacchi al PCI di Berlinguer con aiuti non solo finanziari alla corrente filosovietica, l’invasione della Cecoslovacchia e la fine della Primavera di Praga, senza che dall’Occidente venisse una reazione adeguata.
 
 
3. Il nuovo terrorismo
 
3.1 Frange di terrorismo “rosso”
La riflessione sul fenomeno terroristico dei giorni nostri necessiterebbe di allargare l’orizzonte conoscitivo anche sul terrorismo islamico, che merita un suo ulteriore approfondimento, che però non è tema di questo scritto.
Un elemento che vale la pena segnalare è riferito alla “memoria storica” del fenomeno in quanto, ad esempio, da una indagine fatta in un liceo milanese risulta che la maggioranza degli studenti pensa che la strage di piazza Fontana sia stata opera delle Brigate rosse e non degli ordinovisti neri. Il terrorismo viene quindi identificato nel sentire comune alle Br e quasi come solo estremismo rosso. Il fenomeno è assai più complesso, va accuratamente studiato, analizzato, compreso nelle sue diversificazioni e frange, nelle sue innumerevoli sigle e gruppuscoli. Se lo si riducesse ad uno solo semplificheremmo ciò che è invece complesso e articolato e non capiremmo il fenomeno e tanto meno si adotterebbero le strategie atte a combatterlo.
Ho già evidenziato come negli episodi di strage e terrorismo la presenza dei servizi segreti si sia riscontrata, ma sbagliato ai fini dell’analisi sarebbe il pensare che terroristi neri o rossi siano sempre stati eterodiretti dalla Cia o dal Kgb, dal Mossad o dalla Stasi. Questa presenza è stata forte e pervasiva, ma la maggioranza dei terroristi agiva in ragione di un proprio convincimento profondo. I “rossi” pensando al sol dell’avvenir, al mondo dell’uguaglianza, al sogno utopico per cui tutto a tal fine si legittimava; i “neri” in ragione dell’anticomunismo viscerale erano disposti a sacrificare tutto.
Hanno trovato protezione, appoggio, aiuti. Influenzati e indirizzati sono stati parte di un progetto più grande, che però non annulla la loro autonoma scelta, la loro determinazione e volontà di perseguire in ragione di una ideologia forte il loro folle progetto politico per il quale erano disposti a tutto e che li ha portati ad azioni tragiche e delittuose.
Al fondo delle loro idee sta il fatto che loro, i brigatisti (o all’opposto i fascisti) agiscono in ragione di quello che dicono di essere, cioè protagonisti di un progetto in cui visceralmente credono, a cui si sono dedicati e che intendono perseguire fino in fondo. Ridurre la storia del terrorismo solo ad infiltrati o ad eterodiretti è un errore, come al contrario sarebbe un errore sottovalutare gli “interventi”, la presenza di apparati nazionali e stranieri all’interno dei tragici accadimenti che hanno segnato il nostro paese.
In Italia negli anni '70 del Novecento è stata combattuta una guerra a bassa intensità e il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro segnano il punto più alto a cui era giunto il terrorismo nel suo attacco allo Stato.
La sconfitta delle Brigate rosse inizia allorquando tutti i partiti fanno fronte comune contro il terrorismo, ma ancor più quando il sindacato, CGIL in testa, chiama alla vigilanza, scende in campo contro ogni forma di tolleranza verso chi predica la violenza e la protegge. Guido Rossa paga con la vita l’aver denunciato chi in fabbrica portava i volantini brigatisti. Alle forze dell’ordine, alla magistratura si affiancò una vera e propria battaglia culturale prima, di mobilitazione popolare poi, tesa ad isolare il terrorismo e la violenza che depotenziò e sconfisse il pericolo terrorista. Si pensò di averlo definitivamente sradicato, si abbassò la guardia e invece alla fine degli anni '80, precisamente nel 1988 a Forlì, viene ucciso Roberto Ruffilli, nel 1999 a Roma Massimo D’Antona, nel 2002 a Bologna Marco Biagi ad opera delle Br, sorprendendo persino i servizi d’intelligence che avrebbero dovuto sapere cosa stava accadendo e quali nuovi fenomeni stavano prendendo forma nel magma dell’estremismo e prevenire e impedire tali omicidi.
Con questi episodi non siamo negli anni '70, ma in una situazione completamente diversa, con un terrorismo falcidiato dagli arresti che tenta di rialzare la testa. Sono, quelli citati, tre omicidi “politici” che bloccano i cambiamenti in atto su temi fondamentali che attengono riforme istituzionali, nuovi rapporti tra sindacati, mondo del lavoro, impresa e governo. Si andavano a prospettare, nei periodi in cui vennero uccisi Ruffilli, D’Antona, Biagi, nuovi scenari e nuovi assetti istituzionali, che vengono bloccati uccidendo i principali studiosi e consiglieri di una fase nuova, mai avviatasi in un paese bloccato e immobile.
Venendo all’ultimo periodo, quello dell’arresto di Nadia Lioce e degli altri appartenenti alla cellula brigatista, convinzione comune era stata quella di avere definitivamente smantellato l’ultimo rigurgito del terrorismo rosso, ma appena poco tempo fa sono state individuate tre presunte cellule terroristiche che lavoravano per la costruzione del Partito comunista politico-militare (Pcp-m) espressione di quella che viene definita “seconda posizione” brigatista[1].
Ancora ai giorni nostri si ripresenta un attivismo rivoluzionario che non ha ancora compiuto azioni eclatanti, ma che tende a riorganizzarsi attraverso canali propagandistici, utilizzando bollettini e periodici clandestini. Le indagini hanno evidenziato il tentativo di rimettere a punto “il progetto rivoluzionario” dall’interno del mondo antagonista e a differenza della cosiddetta “prima posizione” non calato dall’alto con un modello fisso, concezione che è propria delle Br-Pcc. La “prima posizione” è quella precipuamente “militarista”, la “seconda” è invece di tipo “movimentista”. Tale distinzione non è di poco conto perché le Br-Pcc sono divenute nel tempo partito che ha organizzato singole azioni armate. È questo il gruppo della Lioce. Diversamente da questo gruppo, “seconda posizione” tende invece a farsi partito, coniuga ideologia a prassi quotidiana, sta nel movimento e nelle lotte sociali. Combina quello che si definisce “entrismo” con il “mimetismo”, si inserisce e cerca di trovare spazio in una situazione socio-politica che appare sempre più frammentata sul piano della rappresentanza, che favorisce il radicamento dell’opzione lotta-armatista.
La situazione attuale è ben diversa da quella degli anni '70 dove tra consenso, contiguità e ammiccamenti esisteva una base ampia di “benevolenza”, ma oggi come allora si ricerca la non ripulsa e condanna per eventuali attentati, utili ai fini del reclutamento. Una rivista, che circola nel variegato mondo dell’eversione, “L’Aurora”, il cui ultimo bollettino è datato primavera 2006, scrive e teorizza queste cose. L’obiettivo dell’eventuale minaccia o attentato deve creare solidarietà, suscitare simpatia. Le azioni delle prime Br andavano in questa direzione per arrivare successivamente agli omicidi mirati.
Per chi punta alla costruzione del Pcp-m si ha in mente un partito; l’azione militare è subordinata alla costruzione dello strumento partito e quindi non è necessario essere in clandestinità, ma possibilmente dirigenti preferibilmente sindacali e militanti a pieno titolo. Questa scelta ha un significato preciso: i rivoluzionari debbono stare preferibilmente dentro i sindacati confederali e dall’interno agire per spostarne l’asse a sinistra, promuovere forme di lotta più radicali, conquistarne l’egemonia.
Certamente è velleitarismo, ma non per chi è proteso a pensare alla rivoluzione permanente, considerata possibile e per la quale urge la costruzione del Pcp-m. Uno degli arrestati[2], Vincenzo Sisi, dichiaratosi prigioniero politico ha rifiutato l’etichetta di terrorista infiltrato in CGIL, rivendicando la scelta dell’impegno nel sindacato in fabbrica a tutela dei diritti dei lavoratori. Abbiamo più a che fare con quadri politici che non con eversori. Se non si comprende questa dinamica risulta poi facile la critica indiscriminata al sindacato di aver abbassato la guardia.
Gli obiettivi dei nuovi brigatisti erano riferiti a persone e cose in cui forte e sacrosanta è l’indignazione operaia: il responsabile delle morti per amianto in fabbrica, un militante nazifascista, proprietario di appartamenti affittati a prezzi da strozzinaggio, la villa di Berlusconi, la sede di “Libero”. Unica eccezione Pietro Ichino, comunque identificato come nemico dei lavoratori precari.
Tutto ciò spiega molto della fase attuale, con “compagni” che si schierano a viso scoperto per la liberazione degli arrestati, con cortei davanti alle carceri rivendicando libertà per le proprie idee e solidarietà per chi si è dichiarato prigioniero politico, quindi come minimo se non terrorista comunque contiguo. Solidarietà e simpatia per siffatte posizioni può apparire inspiegabile ed inimmaginabile, ma per alcuni così non è, tant’è che giustificano, promuovono, declamano, tendono ad organizzare, mettere insieme chi non prende le distanze da queste azioni. Navigando su Internet si scoprono cose interessanti, come ad es. il sito di “Soccorso Rosso” (ora soppresso) in cui c’è molto di più della solidarietà agli arrestati.
Siamo di fronte ad un fenomeno assai limitato, ma che si alimenta di piccoli e numerosi rivoli che cerca un luogo in cui immettersi ed approdare ad un “progetto”. Questi rivoli si sono evidenziati come un fenomeno carsico, con una breve presenza per poi scomparire, ma lasciando qualche segnale come ad es. a Bologna con minacce, provocazioni e piccoli attentati che hanno preso di mira il sindaco della città Sergio Cofferati indicato come la nuova sinistra dell’autoritarismo e della repressione. La campagna dell’ex segretario della CGIL su legalità e sicurezza è stata utilizzata e lo è ancora, come occasione per ricercare simpatie in tutte quelle occasioni in cui si manifesta antagonismo sociale e quasi una chiamata in correo per unire le forze contro quella politica d’ordine che – così si afferma – vorrebbe distruggere ogni contestazione e rendere afona ogni voce radicale. Non siamo di fronte ad un pericolo da codice rosso, ma ad un pericolo da non prendere sottogamba e su cui vale la pena vigilare.
 
3.2 Frange di terrorismo di destra e mondo degli ultras
Accanto al terrorismo rosso permane la presenza di quello di destra che ha caratteristiche simili, non uguali, ma speculari e che tenta di trovare simpatie inserendosi nelle lotte sociali, nelle aree del disagio, nelle borgate, tra gli occupanti delle case abusive e attorno ai temi della sicurezza urbana. Con la nascita dell’attuale governo sembra aver preso maggior consistenza confidando su tolleranza e acquiescenza soprattutto in riferimento a posizioni razziste, xenofobe e di intolleranza verso ogni tipo di “diversità”, processi che si stanno dilatando nel paese e che prendono sempre più piede.
Non da ultimo uno dei luoghi privilegiati del reclutamento del terrorismo eversivo è quello delle curve degli stadi, degli ultras delle squadre di calcio. Tale fenomeno per gli interessi economici che mette in circolo, per la cultura della sopraffazione e della violenza che lo sostiene e non viene combattuta efficacemente dalla maggioranza delle società, è infiltrato e in casi non isolati egemonizzato da gruppi della delinquenza organizzata che ne fanno strumento e base per le loro attività. Si possono a tal fine saldare fenomeni mafiosi o camorristi con il tifo e con ideologie eversive e terroriste. Gli ultimi episodi di “tifo violento” portano questo segno.
 
 
4. Qualche osservazione conclusiva
 
Il pericolo terrorista permane e non è stato completamente superato, va evitato che si riproduca; per questo è indispensabile prendere tutte le misure necessarie perché non si abbiano a ripetere altri lutti e tragedie.
È necessario studiare scientificamente il fenomeno, proporne un’analisi corretta, distinguere l’estremismo dal terrorismo e dentro il fenomeno terrorista non semplificare ciò che è complesso e che va affrontato in tutte le sue sfaccettature.
La sicurezza con la legalità è un bene comune e riguarda tutti noi, a tal fine l’applicazione della legge attraverso una magistratura indipendente e completamente autonoma, forze dell’ordine, servizi di intelligence capaci e coordinati, certezza della pena per chi commette reati sono condizioni basilari per una civile convivenza.
Ma accanto a queste condizioni elementari che uno Stato deve offrire ai propri cittadini è indispensabile l’impegno di tutti per combattere ogni forma di violenza, una capacità dei gruppi dirigenti di dare rappresentanza sociale a ciò che si agita nel paese, attuare politiche di governo verificabili ed efficaci soprattutto a favore dei più disagiati, investire sulla difesa dei valori e dei principi a partire dalla democrazia, mettere in campo una politica intesa come missione, far crescere partecipazione consapevole, valorizzare comunità accoglienti e solidali, pensare ad una città luminosa e gioiosa, con quartieri aperti, non divisa per ceto, per censo o per provenienza, vissuta, aperta, che si fa conoscere ed amare dai propri abitanti e che vigila e isola chi vuol turbare il bene comune.
Le ricette per città sicure, per combattere ogni forma di terrorismo esistono, non sono semplici e neppure facili, ma è possibile provarci e riuscirci.


[1] Area che nonostante l’assenza di azioni armate, aveva sempre mantenuto aperto un canale dottrinario-propagandistico con la diffusione periodica di bollettini clandestini, attraverso i quali indicava progetti o programmi del costituendo “partito comunista combattente”, denominato successivamente “partito comunista politico-militare”.
[2] Ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Milano Guido Salvini in data 8.02.07 per «aver costituito, diretto, organizzato, finanziato e partecipato al Pcp-m che anche con l’uso di armi si propone con finalità terroristiche e di eversione dell’ordine democratico».
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