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Religione e sfera pubblica nel mondo ortodosso

Elio Bromuri

Ortodossia

Avvicinarsi al mondo ortodosso risulta molto impegnativo da una parte e molto rischioso dall’altra. Impegnativo per la lunga storia dell’Ortodossia, la molteplicità delle Chiese che la compongono e la ricchezza delle sue componenti spirituali liturgiche e culturali. L’Ortodossia si autoqualifica come la vera chiesa delle origini, mai trasformata – e quindi mai deformata – e pertanto mai bisognosa di riforma. Il contrario della ecclesia semper reformanda dell’Occidente soprattutto della Riforma protestante, che qualifica i suoi fedeli come simul sancti et peccatores. In maniera più generale, con “ortodossia” si intende la “retta dottrina”, che si può riscontrare come esigenza e richiamo in ogni religione [1]. Ora qui ci riferiamo alle Chiese di rito bizantino e slavo, sia quelle calcedonesi che riconoscono un primato d’onore al patriarcato di Costantinopoli, separate da Roma nel 1054, sia quelle non calcedonesi che non hanno accettato i deliberati cristologici del Concilio di Calcedonia (451). Le Chiese ortodosse autocefale, che hanno cioè una completa autonomia amministrativa, sono sedici: Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme, Russia, Serbia, Romania, Bulgaria, Georgia, Cipro, Grecia, Polonia, Albania, Repubblica Ceca, Slovacchia e America [2]. Rischioso per le differenti condizioni socio-politiche in cui le varie realtà ecclesiali sono state storicamente poste a vivere il mistero cristiano. Possiamo solo indicare l’esistenza di un fondo comune di teologia e spiritualità costituito dall’antropologia soprannaturale che considera il credente trasfigurato e divinizzato ad imitazione di Cristo, attraverso la partecipazione al mistero pasquale che si comunica all’uomo attraverso le energie divine poste in atto dallo Spirito nella divina liturgia.
La ricchezza teologica e di esperienza spirituale, come anche la liturgia, attraverso la mobilità dei popoli di tradizione ortodossa millenaria sono oggi diffuse e conosciute, persino imitate, dalle comunità cattoliche d’Occidente, che hanno preso in molti ambienti l’abitudine di ornare case e chiese di icone di stile bizantino.


Ortodossia e sfera pubblica

La religione da sempre ed in ogni paese ha costituito anche un “problema politico” ed ha instaurato relazioni più o meno pacifiche, talvolta imponendosi e talaltra sottomettendosi al potere di turno.
Recentemente Benedetto XVI ha riportato l’attenzione sull’imperatore bizantino Manuele II della fine del XIV secolo, ponendo a tema della lezione accademica svolta a Regensburg il rapporto tra la sfera religiosa e la sfera pubblica, tra fede, scelte politiche e ragione. Attraverso le parole dell’imperatore bizantino ha messo in evidenza come un certo tipo di fede, sganciata dal “logos” e rivolta a un “Dio-arbitrio”, possa dare origine ad ogni sorta di mali per la società ed essere causa di violenza.
In questa lezione si può vedere come il corretto rapporto tra fede e ragione provochi una diversa prospettiva nella sfera sociale. Benedetto XVI si preoccupa certamente di salvare la purezza e autenticità della fede, – meglio, delle fedi religiose e, in modo particolare, di quelle abramitiche, che confessano il monoteismo profetico –, ma allo stesso tempo difende la società dal pericolo della guerra santa, del “martirio” aggressivo dei kamikaze, delle crociate e di ogni sorta di strumentalizzazione della religione per scopi politici e militari. Nella riflessione ratzingeriana troviamo un pieno accordo tra “latini” che formano la Chiesa cattolica e “greci” delle Chiese ortodosse ed anche un’apologia del logos contro i tentativi ripetuti nella storia di de-ellenizzare il cristianesimo. Allo stesso tempo, in questa lezione di Ratzinger professore e Papa, divenuta ormai famosa e oggetto di disputa, c’è un evidente richiamo anche a coloro che vogliono ridurre la religione a instrumentum regni, e asservirla al potere.
In tutto ciò, a noi pare, il pensiero cristiano latino occidentale e quello greco orientale sembrano allineati e concordi, partendo d’altra parte dallo stesso presupposto evangelico del «date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio» (Mc 12,13-17) che si esplica nella affermazione «il mio regno non è di questo mondo» (Gv 18,36). Oggi, per la situazione precaria in cui si trova la pratica religiosa nei paesi di tradizione ortodossa, le relazioni tra fede e sfera pubblica nel contesto di nuove correnti politiche del post-comunismo sembrano assimilabili a quelle in atto nelle Chiese cattoliche europee orientate al riconoscimento della distinzione dei poteri e delle sfere di interesse, pur nel riconoscimento e rispetto reciproco e talora di collaborazione, in un orizzonte sempre più pluralistico e complesso. Questo comporta la sconfessione di quanto sostenuto da S. Huntington, secondo cui gli ortodossi potrebbero diventare un’entità culturale separata, facente parte di un’alleanza economica e culturale dominata dai russi, suggerendo che l’Ortodossia appartenga ad una civiltà diversa dal cristianesimo occidentale [3].
A tale proposito sembra illuminante quanto afferma il metropolita Cirillo di Smolensk, Presidente del Dipartimento relazioni esterne del Patriarcato di Mosca: «Oggi la Chiesa ortodossa russa, come altri organismi religiosi presenti nel nostro Paese è separata dallo Stato. Essa non opera e non cerca di operare, come un ministero dell’ideologia» [4].
E tuttavia un aspetto specifico proprio del mondo ortodosso, almeno nel fondo della coscienza collettiva dei popoli che vi appartengono, esiste ed è rintracciabile nella loro storia. Nella parte orientale del mondo cristiano europeo si è avuto uno sviluppo storico diverso da quello della parte occidentale, che ha portato a una diversa formazione di rapporti tra Chiesa e Stato. Si devono tenere presenti tre periodi nella storia delle Chiese ortodosse: il primo è quello dell’impero cristiano, il secondo è quello dell’oppressione da parte di un potere non cristiano (Islam), il terzo è quello della crescita di una coscienza nazionalistica, divenuta estrema nella forma eretica del filetismo (phyle o etnia, tribù), una concezione di nazionalismo esasperato. Tale concezione ha potuto indurre alla giustificazione della “pulizia etnica”, che è il lato oscuro dell’Ortodossia moderna. «Queste tre grandi esperienze comunitarie (controllare, essere controllati e giungere all’indipendenza) sembrerebbero incompatibili tra di loro, ma in realtà esistono fianco a fianco nell’autocoscienza delle Chiese e contribuiscono a determinarne l’atteggiamento attuale nei confronti dello Stato» [5].


Storia

Non potendo ripercorrere una storia ultramillenaria, per molti versi intricata ed anche sfuggente, si può indicativamente osservare che le vicende svolte dalla fondazione dell’Impero bizantino ad oggi sono fondamentali per comprendere non solo gli avvenimenti attuali, come la questione balcanica del dopo Tito, ma anche alcune sensibilità presenti nella società e nella cristianità ortodossa, come la questione del territorio canonico, di cui diremo tra poco. Si deve perciò fare almeno un riferimento alle “ideologie” cristiane del potere, quella sorta in Occidente che prevede il predominio della autorità religiosa (ierocrazia, teocrazia), culminata nel Dictatus Papae di Gregorio VII (1075) e quella prevalsa abbondantemente e per lungo tempo in Oriente della sacralizzazione del potere esercitato dagli imperatori cristiani sulla comunità di fede (cesaropapismo). Anche se la divisione così netta appare schematica, essendo variamente legata a determinati periodi storici, può essere utile per una comprensione più attenta della mentalità ortodossa. La figura dell’imperatore cristiano d’Oriente rappresenta lo sfondo culturale e religioso interpretativo delle relazioni tra lo Stato e la Chiesa come si sono sviluppate nell’ambito dell’Ortodossia, con la famosa immagine della synphonia, come criterio del rapporto tra i due poteri, da circoscrivere dentro la cosiddetta ideologia imperiale che ha il suo primo fondamento in Eusebio di Cesarea, biografo di Costantino. Per Eusebio l’imperatore cristiano non è soltanto immagine (eikon) di Dio ma suo vicario in terra. Questa ideologia si basa sul concetto dell’uomo divinamente scelto, dotato di virtù e carismi, che ha ricevuto un’investitura dall’alto ed esercita un potere che ha valore e caratteristiche di un potere divino. Egli è il difensore e protettore della Chiesa, e cioè di tutta la comunità, essendo stato unto con il myron, il sacro crisma. In tal senso l’imperatore è considerato come vescovo laico e in quanto tale può legiferare nella sfera ecclesiastica, pur nel rispetto della dignità dei vescovi. La storia dell’Ortodossia e dell’Impero bizantino è colma di vicende che attengono al rapporto tra l’autorità dei sacerdozio e quella dell’Impero, ambedue a loro modo sacre. Costantino, pur battezzato alla fine della vita, è considerato dagli ortodossi santo. Ma in qualche modo tutti gli imperatori sono santi o, se vengono meno ai loro doveri o perdono la fiducia della comunità dei fedeli, vengono ripudiati a furore di popolo come abbandonati da Dio e usurpatori. La Chiesa ha il dovere di sottostare all’imperatore e il compito di pregare per lui. Nella storia delle eresie e nella lotta iconoclastica si può osservare che, comunque, la Chiesa guidata dai vescovi non è caduta nel totale asservimento sotto gli imperatori cui ha saputo resistere nei momenti del pericolo [6].
Tutto questo si articola nelle varie Chiese locali, che quando è caduto l’Impero bizantino si sono affermate in nazioni indipendenti e dichiarate autocefale, per cui questa unità di fede e di popolo ha assunto un carattere nazionale e si è costituita come un elemento di identità nazionale. Una posizione di preminente rilievo ha la Chiesa ortodossa russa, sia perché è la Chiesa più numerosa dell’intera Ortodossia, sia per le vicende della sua storia, legata alla dichiarazione di Mosca come la terza Roma, dopo la caduta dell’Impero d’Oriente (1453); una storia schematicamente suddivisa in periodo zarista, periodo della persecuzione comunista e periodo post-comunista [7].


La questione del “territorio canonico”

Oggi, pur in una situazione di debolezza e di difficoltà, il patriarcato di Mosca non esita di rivendicare il primato assoluto e l’esclusività territoriale dell’Ortodossia sul suo territorio, considerando abusivo ogni altro credo religioso che voglia ivi stabilirsi, e non esita a chiedere ai poteri statali di difendere tale posizione ricorrendo a leggi e provvedimenti giuridici e amministrativi, in contrasto con l’evoluzione della attuale società caratterizzata da grande mobilità di persone e scambio d’idee. Nasce da ciò l’accusa di “proselitismo” rivolta alla Chiesa cattolica e ad altre confessioni religiose che si insediano nel territorio russo. E soprattutto da tale concezione ha origine la contesa con la Chiesa cattolica per avere osato insediare in Russia tre amministrazioni apostoliche cattoliche latine[8].
Su tali temi e sulla più ampia questione dei rapporti con il mondo attuale la Chiesa ortodossa russa è divisa in due correnti. Da un lato, la corrente dei tradizionalisti che, idealizzando il periodo zarista, vivono di sogni nostalgici e, di fronte alle difficoltà economiche e sociali, considerano il ritorno alla tradizione ortodossa come la soluzione di tutti i problemi; essi sono fortemente legati alla restaurazione di una religione civile. Dall’altro, la corrente degli innovatori che, invece, è aperta ad una concezione più dialogica ed ecumenica dell’Ortodossia in cammino verso la liberazione dalla soggezione ai poteri esterni, quali sono stati lo zarismo e il comunismo e quindi ad un’idea di comunità di fede che si confronta con le altre fedi e con il mondo contemporaneo in modo libero e consapevole.
Un banco di prova che la Chiesa ortodossa si trova davanti, quella del “territorio canonico”, esploso soprattutto nella contesa tra Mosca e Roma, nasce da lontano, dall’indicazione di san Paolo di non annunciare il Vangelo se non dove non è ancora giunto (Rom 15,19-20), una regola, valida anche per l’Occidente, secondo cui è vietato ad un vescovo interferire negli affari di una diocesi non sua. Da parte ortodossa la questione assume un significato più ampio che ha coinvolto alcuni ambienti politici e l’opinione pubblica di tutti i paesi ortodossi [9]. Il comportamento cattolico è stato giudicato «aggressivo, espansivo, missionario» per aver “invaso” il territorio russo [10], ed ha provocato la rottura delle relazioni tra cattolici e ortodossi, appena recentemente riallacciati. Cosa possa comportare questa mentalità per il futuro della Chiesa ortodossa nei confronti delle altre Chiese e della sfera pubblica nazionale e internazionale non è possibile definirlo, anche perché le Chiese ortodosse stanno cercando la loro strada, riformulando i loro processi formativi in ambito ecclesiastico. Si può solo rilevare che esse sono lontane dal considerare la “laicità” dello Stato e delle sue istituzioni alla maniera dell’Occidente. Nelle scelte più particolari ed articolate la Chiesa ortodossa si sta confrontando con la novità, la modernità, la globalizzazione, la libertà di coscienza, la mobilità e pluralità delle culture che passano sul territorio e lo invadono da ogni parte, rendendolo campo di confronto di idee anche religiose.
Questo è quanto possiamo trarre come conseguenza da un’ampia riflessione svolta dal già citato metropolita Cirillo di Smolensk e Kaliningrad, presidente del Dipartimento delle relazioni ecclesiali esterne del Patriarcato di Mosca, espresse durante la Conferenza interconfessionale internazionale sul Millennio (Mosca 23-25 novembre 1999) [11]. Il suo intervento portava il titolo Dio ci ha chiamati alla pace (cfr. 1Cor 7,15). Partendo dalla crisi della Russia il metropolita fa notare che essa prima di tutto ha carattere spirituale e personale, e per questo gli sforzi pur nobili dei politici sono destinati a risultare vani. La storia insegna quanto peso abbia avuto il Vangelo nella «configurazione dello stato russo». Per oltre mille anni la Chiesa ortodossa ha avuto «un ruolo decisivo nella formazione della tradizione spirituale e culturale del popolo». Oggi non si richiede il ripristino del modello di relazione fra Chiesa e Stato predominante nel periodo pre-rivoluzionario della storia russa. Cirillo nota che anche allora gli spiriti più illuminati e gli ecclesiastici più insigni erano ben lontani dall’idealizzare quel sistema in cui la Chiesa poteva essere considerata come una parte dell’apparato statale. «Oggi la Chiesa ortodossa russa è separata dallo Stato», dichiara il metropolita. Subito dopo però precisa che la Chiesa non può essere separata dalla società; essa non ha diritto di prendere le distanze dai problemi, inclusi quelli politici, che preoccupano la gente. Egli ricorda che il popolo ha dichiarato nei sondaggi di avere fiducia nell’influsso positivo che la Chiesa ortodossa ha sulla sfera pubblica e per questo è oggetto d’attenzione da parte dei partiti politici. Essa tuttavia non partecipa alla battaglia per le elezioni politiche, mentre è disposta a collaborare per la soluzione di problemi concreti della società. In altri termini, la posizione del metropolita è espressa con la formula: «La Chiesa ortodossa russa accetta la separazione fra Chiesa e Stato, ma non la separazione fra fede e vita e fra fede e società». Questo comporta la disponibilità della Chiesa ad una “cooperazione partenariale” in diversi settori della vita sociale, quali la cultura e l’educazione dei giovani. Cirillo rileva ancora che tale posizione è stata codificata dai sinodi episcopali del 1994 e 1997, in cui si precisa la volontà di collaborare senza coinvolgimenti politici e con la condizione che il sistema politico non sia permeato di illegalità e immoralità, disordine e dittatura e purché non abbia tra i suoi membri degli ecclesiastici, cui è proibito di partecipare a campagne elettorali o di divenire membri di partiti politici. La Chiesa ortodossa quindi prende le distanze dalle pubbliche istituzioni, resa saggia dall’esperienza del passato in cui la cooperazione con lo Stato è divenuta a volte tempestosa e non sempre il suo abbraccio è stato un sostegno, quanto piuttosto un soffocamento.


Conclusione

A conclusione il metropolita Cirillo manifesta tutta la sua vena profetica, il suo assillo per le sorti della sua patria, fino a prevedere una catastrofe universale se gli uomini non riscopriranno la loro fede e l’obbedienza al Creatore: «Il XXI secolo o sarà religioso o sarà l’ultimo secolo della storia umana» [12]. Non esistono alla fine una sfera pubblica e una privata, una sfera ecclesiastica e una laica, una sfera profana e una sacra, dato che tutti sono accomunati in un destino di sconfitta da scongiurare ritornando a vivere secondo gli antichi valori. Non è più tempo di rivendicazioni particolari, ma di salvezza generale. Nel linguaggio ortodosso di sempre, e oggi ancora in modo più libero e articolato, la Chiesa ortodossa si presenta come salvatrice della patria e dell’intera umanità dalla deriva dell’autodistruzione. Si può auspicare che voglia farlo in sintonia con un Occidente a sua volta capace di rispettare e apprezzare le diversità orientali ed avviare così il continente ad un cammino storico con il respiro di «entrambi i polmoni» [13].


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[1] Cfr. N. LOSSKY, voce Ortodossia, in G. CERETI – A. FILIPPI – L. SARTORI (a cura di) Dizionario del movimento ecumenico, EDB, Bologna 1994, p. 817 e voce Ortodossi bizantini, ivi, p. 815.
[2] Cfr. voci Ortodossia, Chiese orientali, Chiesa ortodossa russa, Chiesa greco-ortodossa e affini in C. ANDRESEN - G. DENZLER Dizionario storico del cristianesimo, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1992, pp. 483, 172, 163, 157; J. BINNS, Le Chiese ortodosse, S. Paolo, Cinisello Balsamo 2005; O. CLEMENT, La chiesa ortodossa, Queriniana, Brescia 2005.
[3] Cfr. S. HUNTINGHTON, Lo scontro delle civiltà, Garzanti, Milano 2000, p. 236 s.
[4] CIRILLO DI SMOLENSK, Chiesa ortodossa russa. Non possiamo separarci dalla società, in “Regno-attualità”, n. 22, 1999, p. 785.
[5] J. BINNS, Le Chiese ortodosse, cit., pp.172-173; sul filetismo vedi ivi, p. 194.
[6] Per uno studio sull’argomento si veda G. DAGRON, Empereur et prètre, Etude sur le ‘cesaropapisme’ byzantin, Gallimard, Paris 1996; sulla concezione dell’Imperatore bizantino nel pensiero di Eusebio da Cesarea si veda EUSEBIO DA CESAREA, Elogio di Costantino, Discorso per il trentennale, Discorso regale, a cura di M. AMERISE, Edizioni Paoline, Milano 2005, pp. 51-63.
[7]Cfr. A. ROCCUCCI, La chiesa ortodossa russa nel XX secolo, in A. PACINI (a cura di), L’Ortodossia nella nuova Europa, Dinamiche storiche e prospettive, Edizione Fondazione G. Agnelli, Torino 2003, pp. 237-283.
[8]W. KASPER, Le radici teologiche del conflitto tra Mosca e Roma, in “La Civiltà cattolica”, 153/2, 2002, p. 531.
[9] A. GARUTI, Libertà religiosa ed ecumenismo. La questione del “territorio canonico” in Russia, Cantagalli, Siena 2005, pp. 13 ss.
[10] Ivi, pp. 14 ss.
[11] CIRILLO DI SMOLENSK, Chiesa ortodossa russa, cit., pp. 785 ss.; cfr. CIRILLO DI SMOLENSK, La Chiesa ortodossa russa e la sfida della globalizzazione: la tensione tra i valori della tradizione e i valori liberali, in A. PACINI (a cura di), L’Ortodossia nella nuova Europa, cit., pp. 331-342.
[12] CIRILLO DI SMOLENSK, Chiesa ortodossa russa, cit.
[13] Secondo la felice espressione di V. Ivanov, ripresa da Giovanni Paolo II, in J. BINNS, Le Chiese ortodosse, cit., p. 256.
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